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«Il 2024 è stato un anno complesso» ma Federviti vuole guardare avanti

Questa mattina a Mendrisio l’assemblea dell’associazione di categoria - L’occasione per fare il punto sui temi di oggi e di domani
© CdT
Paolo Galli
05.04.2025 06:00

Ogni settore ha le proprie sfide da affrontare. La questione dei dazi lo ha evidenziato in maniera fin clamorosa. Un po’ come aveva fatto la pandemia, e come aveva poi ribadito l’inizio della guerra, con tutte le sue conseguenze. In questo senso, il peso delle associazioni mantello diventa decisivo. Questa premessa sarà, probabilmente, anche quella che avanzerà stamani Davide Cadenazzi in occasione dell’annuale assemblea dei delegati di Federviti, la federazione dei viticoltori della Svizzera italiana, a Mendrisio. Una federazione confrontata, proprio come altre, con le tante sfide del presente, con uno sguardo al futuro e con addosso le fatiche del passato. «Il 2024 è stato un anno, in effetti, abbastanza complesso, per noi», esordisce infatti Cadenazzi, da noi raggiunto. «È stato un anno di cambiamenti, soprattutto interni a Federviti, visto che abbiamo dovuto pensare a qualcosa di diverso in termini di sostegno all’associazione. Troppi viticoltori infatti non sostengono Federviti e, di conseguenza, non sostengono il suo lavoro capillare». Tradotto: il lavoro si è concentrato su una nuova forma di finanziamento, più solidale. «Senza un adeguato sostegno, corriamo il rischio di non riuscire a rappresentare la categoria». Senza citare la formazione continua garantita dalla federazione, così come gli approfondimenti scientifici, i contatti con la politica e con le altre professioni, per esempio per definire il prezzo dell’uva». Secondo il presidente, troppi viticoltori non contribuiscono a rendere possibile tale lavoro: da qui, «la necessità di cambiare, adesso, con urgenza».

La formazione

Uno dei temi che più hanno occupato Federviti è stato quello del patentino fitosanitario. Molto è stato detto e scritto. Parecchio è stato il lavoro dietro le quinte da parte della federazione, anche sui dettagli di questa novità. Non a caso, proprio ieri, la stessa Federviti ha comunicato che il corso organizzato in febbraio per l’ottenimento dell’autorizzazione speciale per l’impiego professionale e commerciale di prodotti fitosanitari è stato un «successo» e ha permesso di «formare 69 viticoltori» ai quali è stato rilasciato il patentino. Il corso ha visto la partecipazione di viticoltori «provenienti da tutte le aree viticole cantonali, con alle spalle esperienze professionali diversificate. La maggior parte dei partecipanti era composta da uomini, con una percentuale di donne che ha rappresentato l’8% del totale. Il partecipante più giovane aveva 21 anni, mentre il più anziano 83». Il presidente Cadenazzi non si nasconde: «Sono felicissimo del successo di questo corso, perché abbiamo raggiunto l’obiettivo con l’aiuto delle singole sezioni e con tanta buona volontà da parte di tutti».

La situazione internazionale

Tra gli altri temi - alcuni annosi - che verranno affrontati, anche la viticoltura di collina, con l’obiettivo di preservarla e valorizzarla. «Vive schiacciata tra due mondi, il bosco e le zone edificabili. È una questione di integrazione, ma soprattutto di tradizione», sottolinea Cadenazzi. E poi c’è, evidentemente, la materia prima: l’uva. L’annata non è ancora iniziata, «ma già si assiste a un primo risveglio delle piante». Mentre parla con noi, il presidente di Federviti è a Corteglia e osserva «qua e là qualche germoglio. Nel Sopraceneri alcuni si sono già aperti». Sembra quasi che la sfida, la prima sfida, non sia legata alla salute o alla quantità della materia prima. Si va al di là. Si entra anche in una dimensione globale, sociale. Si parla di abitudini di consumo e di potere d’acquisto. «Sì, le sfide in questo senso sono enormi, sono legate al mercato del vino, più stanco a causa della situazione internazionale e, stringi stringi, della situazione economica in cui si trovano le singole famiglie». Cadenazzi rivendica il ruolo del vino, dell’uva, nella tradizione del nostro territorio. «È tradizione, è cultura, è territorio, sì. E al di là di un discorso di reputazione del vino, messa recentemente a dura prova, il problema principale è che la gente ha meno soldi in tasca». E non occorre una laurea in economia per comprendere che ciò si ripercuote lungo tutta la filiera, fino al settore primario. Ma tutto questo ragionamento, riflette Cadenazzi, è per permettere a tutti di comprendere che «il futuro è difficile da leggere, per la nostra categoria, è difficile da capire, perché da un lato c’è una situazione internazionale particolarmente influente, dall’altro si sta radicando una maniera nuova di consumare il vino. È per questo che occorre sedersi a tavolino e fare un discorso comune tra le varie famiglie dell’interprofessione, perché le cose cambiano velocemente, mentre noi - legati anche a una questione di stagionalità - tendiamo a cambiare più lentamente. Se ci facciamo la guerra tra noi, abbiamo tutti da perderci qualcosa. Questo è un discorso che, con le nuove generazioni anche nelle altre associazioni, sta dando buoni frutti».

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