Violenze e abusi

«Il bambino ha diritto al rispetto e va protetto nella sua vulnerabilità»

I numeri registrati dalle istituzioni e i casi di cronaca possono indebolire la fiducia degli adulti nell’affidare i minori a terzi – Myriam Caranzano: «Un clima di sospetto fragilizza tutto, è importante rendere forti i bambini con conoscenze e competenze specifiche»
©Gabriele Putzu
Paolo Galli
08.09.2025 06:00

Di fronte ai recenti fatti di cronaca, ai numeri certificati dalle istituzioni, deve venire spontaneo interrogarsi sulle contromisure messe in atto per frenare gli abusi e le violenze sui minori. Il mondo adulto fa abbastanza per proteggere il mondo dei piccoli? Il tanto ventilato cambiamento culturale sta portando a frutti concreti? E come la mettiamo con le derive e i rischi digitali, allora? Le domande da porsi sono molte e richiedono risposte urgenti, anche perché, di fatto, un genitore deve per forza di cose affidarsi e affidare i propri figli ad altre figure di riferimento. Quindi le responsabilità si moltiplicano. Il problema esiste - oggi lo sappiamo - e allora possiamo e dobbiamo affrontarlo. Lo sottolinea anche Myriam Caranzano, già direttrice dell’ASPI (Aiuto, sostegno e protezione dell’infanzia), esperta a livello internazionale e oggi presidente di GAVA, il Gruppo di ascolto per le vittime di abusi in ambito religioso recentemente creato in Ticino. «Il cambiamento maggiore è che oggi è scientificamente dimostrato che si può fare prevenzione sulla violenza sui bambini. Da decenni, infatti, numerosi attori, professionisti, enti, si sono uniti in una grande rete internazionale per prevenire la violenza». Un evento di portata maggiore si è svolto a Bogotà nel novembre dello scorso anno: alla prima Conferenza ministeriale globale per la fine della violenza contro i bambini (EVAC) hanno partecipato 1.400 delegati, tra cui oltre 130 governi, 80 ministri, bambini, giovani, sopravissuti, organizzazioni della società civile, accademici ed esperti, agenzie internazionali e finanziatori, tutti determinati e uniti per sostenere una visione comune e ambiziosa che mira a eliminare tutte le forme di violenza contro i bambini». La seconda Conferenza è già stata programmata per il 2026. Per tanto tempo, si è considerata «normale la violenza sui bambini, oppure come una fatalità. Ora è cresciuta la consapevolezza del problema della violenza - in tutte le sue forme - sui bambini e delle sue conseguenze», sottolinea ancora Caranzano.

Il sostegno alla genitorialità

Ricordiamo quanto emerso dallo studio Optimus, del 2018: in Svizzera, tra i 30.000 e i 50.000 bambini sono confrontati con la violenza, in tutte le sue forme. Nel mondo intero si arriva a quota un miliardo. Sotto la guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, un gruppo di agenzie internazionali ha sviluppato e approvato un pacchetto di misure chiamato INSPIRE, sette strategie per porre fine alla violenza contro i bambini: attuazione e applicazione delle leggi; norme e valori; ambienti sicuri; il supporto a genitori e caregiver; rafforzamento economico; garanzia dei servizi di supporto; educazione e abilità per la vita. Insomma, tutta una serie di garanzie da offrire ai bambini, ma anche agli adulti. Anche i genitori vanno accompagnati. E la stessa Myriam Caranzano, ricordando le sette strategie dell’OMS - che dove sono state applicate hanno portato a una riduzione della violenza del 20-50% - sottolinea proprio l’importanza del sostegno alla genitorialità. «Come risultato di anni di sensibilizzazione, tanti genitori della nostra società sono consapevoli della pericolosità dell’uso della violenza nei confronti dei bambini. C’è chi continua a banalizzarne le conseguenze. Altri sono in difficoltà, perché di base non basta sapere che non si può usare la violenza. Come fare? A volte sembra chiarissimo, e poi arriva la situazione di crisi. Il sostegno alla genitorialità è dunque essenziale perché si tratta di imparare un’altra modalità, o un’altra “lingua”, non più quella della legge del più forte, ma quella della relazione basata sull’empatia, il rispetto».

L’importanza della prevenzione

Le istituzioni che dovrebbero proteggere i bambini sono talvolta quelle da cui emergono abusi. Pensare alla Chiesa può essere facile, collegandoci anche a quanto emerso dallo studio dell’Università di Zurigo o ai fatti di cronaca. Come si può affrontare questo paradosso senza cedere al sospetto generalizzato o, al contrario, alla negazione? Myriam Caranzano spiega: «Un clima di sospetto generalizzato, di paura, fragilizza tutti, gli adulti e soprattutto i bambini, i quali percepiscono di pelle le emozioni degli adulti. Dunque, è controproducente in ottica di prevenzione. Per i bambini: è importantissimo renderli forti attraverso le conoscenze - ad esempio, ricordando il principio secondo cui “il tuo corpo è tuo, nessuno può farti del male, le tue parti private sono private, nessuno le può toccare, fotografare” - e le competenze. Della serie: “Se qualcuno non rispetta queste regole, urla di NO e corri a dirlo a qualcuno!”». E per gli adulti? Vari fattori: «Le procedure di prevenzione, a cominciare dal riconoscere che il problema esiste e può presentarsi ovunque; un codice di condotta; la massima trasparenza; momenti di formazione e sensibilizzazione; una procedura in caso di sospetto. Tutto questo contribuisce alla prevenzione. Bisogna anche ricordare che la maggior parte degli abusi avvengono all’interno delle famiglie».

Un gruppo di lavoro

Myriam Caranzano conosce gli strumenti internazionali ed è attenta osservatrice delle dinamiche nazionali. Sottolinea: «In Svizzera ci sono diversi postulati e mozioni al Consiglio federale che chiedono di migliorare la prevenzione degli abusi sui bambini. Per rispondere a queste sollecitazioni, è stato creato un gruppo di lavoro con rappresentanti della Confederazione, di conferenze intercantonali, dei servizi specializzati di prevenzione, rappresentanti degli attori che lavorano con i bambini e che sono menzionati nei disegni di legge, e rappresentanti degli attori che sono tenuti a farlo». Ne fa parte anche la stessa dottoressa Caranzano. Insomma, l’impressione è di essere all’inizio di un cammino. Ma ci sono alcune urgenze. «Il cambiamento culturale più urgente ci chiede di riconoscere il bambino come un essere umano degno di rispetto e soggetto di diritto. Il bambino ha diritto allo stesso rispetto degli adulti e per di più ha bisogno di essere protetto, proprio perché è un bambino, ossia un essere umano particolarmente vulnerabile. Spesso si sente dire che i bambini sono il nostro bene più prezioso. Perché allora si trattano male? Tante cose sono ancora accettate per i bambini - sberle, sculacciate, punizioni, umiliazioni - ma non lo sarebbero mai su un adulto. Perché una sberla data a un bambino è considerata educazione e per un adulto un reato penale? Questo dovrebbe cambiare, speriamo a breve».

Alain De Raemy: «Le figure di riferimento educano i minori alla libertà»

Monsignor de Raemy, alla luce dei fatti di cronaca, può venire meno la fiducia da parte delle famiglie nelle istituzioni e nelle figure di riferimento a cui si affidano i propri figli. Qual è la sua riflessione in merito?
«Le figure di riferimento, quando lo sono davvero, a cominciare dai genitori, educano alla libertà. Tanto più un uomo o una donna di fede, per il quale non è mai la propria persona né la propria opinione che conta di più, giacché per un credente solo Dio è Maestro, Giudice e Signore delle nostre vite e del mondo. I problemi cominciano quando questo viene dimenticato. E capisco bene chi si sente tradito da un’istituzione come la Chiesa quando una sua figura di riferimento ha sfruttato il suo ruolo spirituale per altri scopi. Non c’è contraddizione più dannosa».

Che cosa significa, per lei, essere adulti responsabili davanti alla vulnerabilità dei minori?
«Tutelare la vulnerabilità e la dignità dei minori comincia con un’educazione a scuola e in famiglia che giovi loro a scoprire la loro libertà: libertà nel dire anche di no a chi rappresenta un’autorità, quella libertà di coscienza che non aderisce indistintamente a tutto quello che viene chiesto da un adulto. L’ASPI insiste molto su questo aspetto delle cose nei corsi di prevenzione che facciamo in diocesi. Una figura di riferimento, e tra queste anche i famigliari più vicini, possono purtroppo abusare della loro “naturale” autorità».

La Chiesa sta dando prova di accresciuta sensibilità, anche nel riconoscere e affrontare la problematica, ma troppe volte, anche nel recente passato, è mancata ai propri compiti di reale accudimento. Perché? E come garantire davvero un altro approccio?
«Anche la legge e i provvedimenti più acuti non sono mai purtroppo una garanzia di corretta applicazione. Basta guardare al Vangelo per capire quanto siano sempre state contrarie attraverso i secoli alcune pratiche dei cristiani che erano riflessi alle abitudini di un’epoca - quella che chiamiamo anche la «mentalità» - ma non un’applicazione conseguente dell’insegnamento di Gesù. Poi, ogni caso di abuso è diverso nella sua complessità e nelle persone coinvolte. Non di rado a chi deve vigilare e aiutare non viene detto tutto e dunque non si riesce a decidere in scienza e coscienza».

Che ruolo può avere la Chiesa nel favorire una cultura della cura e della protezione?
«Facendo tutto quello che può fare con il “privilegio” di essere un’istituzione internazionale con regole universali ben precise e riconosciute oltre i confini politici e culturali, che permette di superare quei limiti di una mentalità che talvolta da sola non riesce ad accelerare la dovuta evoluzione delle abitudini».

Quali raccomandazioni darebbe ai genitori e agli educatori, di fronte ai pericoli e ai rischi relativi alla sicurezza dei minori?
«Raccomando quell’educazione alla già citata concreta libertà che non è rinuncia alla responsabilità parentale di guida precisa e chiara nella scoperta della vita, anzi, ne è parte essenziale».