Italia

Il caso della suora arrestata per legami con la ‘ndrangheta

In manette 25 persone sospettate di far parte di un'associazione mafiosa attiva nel Bresciano: la religiosa avrebbe sfruttato il suo ruolo per accedere alle carceri e fare da intermediaria tra il clan e i detenuti
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Red. Online
05.12.2024 15:05

C’è anche una suora tra le 25 persone arrestate in Italia nell'ambito di una maxi operazione della Polizia di Stato e dei militari della Guardia di finanza, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Brescia, in quanto sospettate di avere legami con una banda criminale 'ndranghetista.

Stando ai media italiani, dalle prime ore di questa mattina gli agenti hanno eseguito 25 misure cautelari e sequestrato preventivamente oltre 1,8 milioni di euro. Numerose perquisizioni sono avvenute nelle province di Brescia, Reggio Calabria, Milano, Como, Lecco, Varese, Verona, Viterbo e Treviso.

L'associazione mafiosa di matrice 'ndranghetista era operativa nel territorio bresciano e sarebbe stata dedita a estorsioni, traffico di armi e droga, ricettazioni, usura, reati tributari e riciclaggio. Gli investigatori hanno pure contestato ad alcune persone finite in manette il reato di scambio elettorale politico mafioso. Tra i fermati ci sono pure l'ex consigliere comunale di Brescia di Fratelli d'Italia Giovanni Acri, per il quale sono stati disposti gli arresti domiciliari, e Mauro Galeazzi, ex assessore in quota alla Lega a Castel Mella, nel Bresciano, già arrestato in passato per tangenti, poi scarcerato e assolto.

La suora, in particolare, avrebbe sfruttato il suo ruolo per agire da intermediaria tra un clan 'ndranghetista e i detenuti, trasmettendo ordini e istruzioni e ricevendo informazioni utili per pianificare strategie criminali. Secondo gli investigatori, la religiosa, una 57.enne originaria di Cremona e residente a Milano, era «a disposizione del sodalizio per garantire il collegamento con i sodali detenuti in carcere».

Secondo il Corriere della Sera, la suora prestava servizio nel carcere di San Vittore, a Milano, svolgendo anche servizi come volontaria nel carcere di Brescia. Gli inquirenti hanno affermato che il suo «ruolo spirituale» le garantiva il contatto con i prigionieri e le consentiva di avere «libero accesso alle strutture penitenziarie».

Stando alle indagini, la 57.enne avrebbe trasmesso «ordini, direttive, aiuti morali e materiali ai soggetti sodali o contigui al sodalizio reclusi in carcere», ricevendo dai detenuti «informazioni utili per meglio pianificare strategie criminali di reazione alle attività investigative delle Forze dell'ordine e dell'Autorità giudiziaria» e proponendosi per favorire «lo scambio informativo tra i detenuti e i loro prossimi congiunti nel caso di divieti di colloqui», e infine «risolvendo dissidi e conflitti tra i detenuti all'interno del carcere».

Gli indagati avrebbero favorito la cosca calabrese Tripodi, «sia al fine di conseguire vantaggi patrimoniali illeciti che di mantenere e rafforzare la capacità operativa del sodalizio e la fama criminale del gruppo criminoso».