Il ciclone giudiziario in Liguria fa temere un’altra Tangentopoli

«Nuova tangentopoli», «sistema spregiudicato di potere finalizzato unicamente al consenso», «commistione mafia e politica». L’arresto ai domiciliari del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, fermato il 7 maggio scorso dalla guardia di finanza alle 3 del mattino in un albergo di Sanremo, ha riportato - secondo qualcuno - le lancette della storia italiana indietro di qualche decennio. A detta di altri, ha invece confermato come una parte della magistratura, quella ovviamente più politicizzata e a sinistra, interpreti il proprio ruolo con oliati meccanismi a orologeria. Pronti a mettersi in moto a ridosso di un appuntamento con le urne: in questo caso, le Europee e le amministrative del prossimo 9 giugno.
Detto che in Italia, Paese della campagna elettorale permanente, si vota ogni sei mesi - motivo per cui non c’è inchiesta che non sia accompagnata dal ticchettio dei conti alla rovescia provenienti da seggi sparsi un po’ dappertutto - quanto emerge dalle carte delle Procure di Genova e La Spezia merita comunque attenzione. Anche perché frutto di tre anni di indagini.
L’avvio dell’inchiesta
L’inchiesta che ha messo a soqquadro la Liguria e agitato gran parte della politica nazionale è partita da La Spezia, dove la Procura ha aperto un fascicolo a carico di Matteo Cozzani - già sindaco di Portovenere e dal 2020 capo di gabinetto del governatore Toti - per «corruzione elettorale aggravata dall’agevolazione mafiosa», in particolare del clan Cammarata del Mandamento di Riesi (Caltanissetta). In occasione delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020, sostengono i pm spezzini, Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, esponenti di Forza Italia in Lombardia (considerati molto vicini al coordinatore regionale Alessandro Sorte) e rappresentanti della comunità riesina di Genova, assieme a Venanzio Maurici, sindacalista della Cgil in pensione, avrebbero promesso posti di lavoro e il cambio di un alloggio di edilizia popolare per convogliare i voti degli appartenenti alla comunità riesina di Genova (si parla di almeno 400 preferenze, ndr) e dei siciliani verso la lista “Cambiamo con Toti Presidente”.
Il 17 maggio 2021, i finanzieri intercettano una chiamata ricevuta da Cozzani. Al telefono c’è Alberto Amico, classe 1963, presidente di Amico&Co, azienda leader nella riparazione e ristrutturazione di superyacht. Amico si sfoga con il capo di gabinetto della Regione: «Sono 6 anni - dice - che aspettiamo il rinnovo della concessione mi farebbe piacere quel... pizzico più di attenzione...noi siamo abbastanza allineati..». Le fiamme gialle annotano a margine dell’intercettazione: «Poco tempo dopo veniva riscontrato un finanziamento della cifra di 30 mila euro in favore del Comitato Toti… operazione che veniva segnalata come “sospetta” dalla Banca d’Italia, analogamente a quanto verificatosi con riferimento ad altri finanziamenti».
L’inchiesta, così, si allarga. Un filone passa per competenza territoriale a Genova, dove nell’ottobre del 2022 approda, proveniente dal Palazzo di Giustizia di Como (città in cui era rimasto 7 anni) il procuratore capo Nicola Piacente.
Gli addebiti
La tesi che emerge dalle 650 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmate dal giudice per le indagini preliminari (GIP) di Genova Paola Faggiani è chiara: esiste in Liguria un «sistema di potere che si poggia su favori in cambio di tangenti tra amministrazione pubblica (Regione e Autorità portuale) e aziende private». Alcuni esempi. Il presidente Toti e il suo capo di gabinetto Cozzani sono accusati di aver accettato la promessa di Francesco Moncada, consigliere di amministrazione di Esselunga (e marito della figlia del fondatore Bernardo Caprotti), di un finanziamento illecito rappresentato dal pagamento occulto di alcuni passaggi pubblicitari sul pannello esposto sulla Terrazza Colombo per la campagna elettorale comunale del giugno 2022 a fronte dell’impegno di sbloccare due pratiche di Esselunga pendenti in Regione e relative all’apertura di due punti vendita a Sestri Ponente e a Savona.
Ancora: la Procura di Genova contesta a Toti di avere accettato dagli imprenditori Aldo e Roberto Spinelli (padre e figlio, il primo molto noto per essere stato in passato presidente delle squadre di calcio del Genoa e del Livorno) promesse di vari finanziamenti e di aver ricevuto 74.100 euro, erogati tra dicembre 2021 e marzo 2023, per «trovare una soluzione» per la trasformazione della spiaggia di Punta Dell’Olmo da libera a privata.
Altra vicenda: il rinnovo della concessione demaniale per il terminal Rinfuse al porto di Genova, questione che Aldo Spinelli giudica «di vitale importanza» avendoci investito sopra almeno 15 milioni di euro. Per ottenere altri 30 anni di concessione, scrivono i magistrati, Spinelli ha versato e promesso 400 mila euro a Emilio Signorini, già a capo dell’Autorità portuale, tra i pochi a finire in carcere nell’àmbito di questa inchiesta. L’iter burocratico, però, si inceppa. Non va avanti. Non tutti sono d’accordo nel comitato dell’Autorità portuale, in particolare il rappresentante della stessa Regione, l’avvocato Andrea Lamattina e Giorgio Carozzi, che rappresenta la città metropolitana di Genova. In un’intercettazione si sente l’avvocato dire: «Ho già detto a Bucci (Marco, sindaco di Genova, ndr) che io non me la sento. Piuttosto mi dimetto. È troppo sputtanante (…) usciamo di lì dentro e ci prendono tutti per il culo. Dicono “Belin, guarda quelli! Quanto avete preso? Trent’anni a un terminal Rinfuse?”». Spinelli, allora, va nell’ufficio di Toti per chiedere di mettere le cose a posto. Il governatore «sollecita» il sindaco Bucci a parlare con Carozzi perché non «può votare contro» e va «raddrizzato». Lamattina e Carozzi, scrivono ancora gli inquirenti, «vengono lavorati ai fianchi» con «ingerenze e pressioni». Alla fine, si decide una clausola nel rinnovo che sembra accontentare tutti.
Fondi tracciati
La difesa di Toti insiste sul fatto che ogni contributo, ogni finanziamento è tracciato, quindi lecito. E che il governatore ligure ha utilizzato i fondi solo per scopi politici, non personali. Ma, scrive nell’ordinanza la GIP Paola Faggiani, «Pressato dalla necessità di reperire fondi per affrontare la campagna elettorale, Giovanni Toti ha messo a disposizione la propria funzione, i propri poteri e il proprio ruolo in favore di interessi privati e in cambio di finanziamenti, reiterando il meccanismo con diversi imprenditori».