Prospettive

Il devastante terremoto diventa un test per Erdogan

Il sisma che ha sconvolto Turchia e Siria avrà un impatto anche sul piano politico – Ankara sta attraversando una fortissima crisi economica, mentre fra pochi mesi si terranno le elezioni presidenziali – Sullo sfondo c’è il grande problema dei rifugiati siriani
© AP/Emrah Gurel
Marta Ottaviani
07.02.2023 22:30

Non esiste un momento o un luogo che riescano ad annullare completamente le conseguenze di una catastrofe naturale come i terremoti che hanno colpito la Turchia e la Siria. Va però detto che per il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non potevano capitare in un periodo e in una parte del Paese più infausta. La tragedia che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, potrebbe costare fino a 20mila morti, per non parlare dei miliardi di dollari necessari alla ricostruzione, impatta sui piani del numero uno di Ankara sotto tre aspetti. 

Il primo è quello economico. I sismi si sono verificati in una delle zone più povere del Paese, dove sono stati colpiti i centri maggiormente industrializzati, quindi Gaziantep e Adana. Questo significa il blocco, o quantomeno il rallentamento delle attività produttive, in una Turchia che sta attraversando un momento economico molto delicato, a causa dell’inflazione record, che è arrivata a superare l’80% e della svalutazione della moneta nazionale su euro e dollaro, che ha reso la vita difficile per mesi a consumatori e imprenditori. Problema nel problema, la zona colpita dai terremoti è una di quelle dove si concentra la maggior parte dei rifugiati siriani, che in Turchia in tutto sono oltre tre milioni. In oltre dieci anni di permanenza nel Paese, a fronte di una minoranza che ha saputo integrarsi, il resto vive ancora di espedienti e pesa sulle strutture pubbliche, con tutte le conseguenze sulla quotidianità delle comunità e sulla sicurezza. Se già in condizioni ordinarie, l’impatto della migrazione di massa ha iniziato a farsi sentire, figuriamoci in una situazione di estrema emergenza.

Il calendario elettorale

Il secondo aspetto è quello elettorale. Il presidente Erdogan, da calendario costituzionale, è obbligato a convocare le elezioni presidenziali e parlamentari entro il 18 giugno. Prima della sciagura dell’altra notte, in Turchia si era diffusa l’indiscrezione che il Capo di Stato stesse pensando al voto anticipato al 14 maggio, in modo tale da poter sfruttare come arma elettorale la minaccia di veto a Finlandia e Svezia per il loro ingresso nella NATO e gli sforzi compiuti per giungere a una mediazione fra Russia e Ucraina. Ad avvalorare questa tesi c’è il fatto che, in meno di tre settimane, sono stati colpiti due avversari che, per motivi diversi, impensieriscono Erdogan. Il primo è il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, che per molti nel 2019 è stato autore di un vero e proprio miracolo, avendo battuto il candidato dell’Akp, il partito del presidente, alle elezioni amministrative. Nel caso della megalopoli sul Bosforo, il voto era stato ripetuto due volte, perché la prima il giovane esponente del partito repubblicano aveva vinto per poche centinaia di voti. In quell’occasione, Imamoglu aveva criticato la decisione dell’Alta Commissione Elettorale, perché secondo lui (e molti altri), politicamente motivata e per questo motivo era stato messo sotto processo. La condanna in primo grado è arrivata a gennaio, rendendolo così per molti giuristi, non candidabile. Pochi giorni dopo, l’Hdp, il Partito curdo Democratico dei Popoli, ha fatto sapere che gli sono stati tagliati i fondi per la campagna elettorale.

L’incontro con i vertici politici

Questa la situazione fino all’inizio di questa settimana. La tragedia che si è abbattuta sulla Turchia rischia di rendere in salita la strada di Erdogan verso la rielezione. Il suo miglior alleato, ancora una volta l’opposizione. La coalizione parlamentare opposta a quella islamo-nazionalista, e composta da ben sei partiti con anime diverse, non ha ancora deciso chi sarà lo sfidante del presidente. Nelle ore successive la tragedia, il capo di Stato ha incontrato i vertici dei partiti politici, segno che questo è il momento dell’unità e che, se potesse, il voto lo posticiperebbe a tempi migliori. Ma non può per Costituzione.

Equilibrio difficile

Ma la tragedia che ha colpito Turchia e Siria si è abbattuta con forza anche sui piani diplomatici del presidente. Erdogan è stato costretto ad accettare l’aiuto straniero, cosa che, in presenza di un sisma meno violento non avrebbe mai fatto, e deve concentrare le sue forze su una situazione oggettivamente difficile, proprio mentre era impegnato non solo a rendere più difficile la vita alla NATO, ma anche a mediare nella crisi ucraina. Il presidente era anche in predicato per incontrare il presidente siriano Bashar al-Assad, dietro la mediazione russa. In una situazione del genere è difficile che questo avvenga a breve. E, come non bastasse, c’è il problema di tutti i rifugiati che Erdogan stava cercando di rimandare nel Nord della Siria, per la precisione nella zona di influenza creare dalla Turchia, anche per riequilibrare demograficamente la maggioranza curda. Il piano del presidente è sfumato. L’unica cosa che può fare è sfruttare l’ondata di solidarietà per riavvicinarsi a Paesi, come gli Stati Uniti, che potrebbero rilevarsi vitali per il ritorno di investitori nella Mezzaluna, cosa della quale ora Ankara ha quanto mai bisogno.

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