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Il fantastico viaggio che ci svelerà gli albori del Cosmo

L’astrofisico italiano Daniele Gasparri spiega quali orizzonti si potranno raggiungere grazie ai nuovi telescopi terrestri e spaziali – «Ci permetteranno di osservare tutta la storia dell’Universo, da 14 miliardi di anni fa sino a oggi»
Così si osserva a occhio nudo la Via Lattea nel limpidissimo cielo del deserto cileno di Atacama. © Daniele Gasparri
Nicola Bottani
Nicola Bottani
04.12.2021 06:00

I viaggi di SpaceX e Blue Origin, società fondate dai miliardari statunitensi Elon Musk e Jeff Bezos, hanno riportato alla ribalta delle cronache le missioni nello spazio. Musk, addirittura, mira alla conquista di Marte con un equipaggio umano in capo a una manciata di anni. Fino a dove, però, riesce già oggi l’uomo a spingersi nello spazio, utilizzando gli strumenti di osservazione di cui dispone sulla Terra e anche in orbita attorno al nostro pianeta?

La domanda l’abbiamo girata a Daniele Gasparri, giovane scienziato che sta studiando all’Università di Atacama, la cui sede è nella città cilena di Copiapò, per ottenere il dottorato in astronomia e scienze planetarie. Non è un caso, se Daniele Gasparri si trova in quella parte del mondo. Lì c’è il deserto di Atacama, considerato come il più arido al mondo e il cui cielo, di conseguenza, è eccezionalmente limpido, quindi particolarmente adatto per fare osservazioni astronomiche.

L’osservatorio dell’ESO al Cerro Paranal. © Daniele Gasparri
L’osservatorio dell’ESO al Cerro Paranal. © Daniele Gasparri

Fino ai confini più estremi
Nel deserto di Atacama c’è l’ESO, ossia l’European Southern Observatory, uno degli osservatori astronomici più importanti del mondo. A Daniele Gasparri chiediamo prima di tutto di farci capire fin dove riesce a spingersi lo sguardo degli scienziati, grazie agli strumenti di cui dispongono in quella zona del mondo.

«Per noi uomini viaggiare fisicamente nell’Universo è un’operazione incredibilmente difficile ma è sorprendente, invece, quanto sia semplice viaggiare istantaneamente fino ai confini del Cosmo con i nostri telescopi, nello spazio e nel tempo. Il progresso tecnologico negli ultimi vent’anni è stato impressionante e l’Europa, rappresentata proprio dal consorzio ESO, è ormai un punto di riferimento mondiale. L’osservatorio più avanzato si chiama VLT (Very Large Telescope) e al momento riesce a superare in risoluzione persino il telescopio spaziale Hubble. Riusciamo a vedere galassie situate ai confini dell’Universo osservabile e pianeti attorno ad altre stelle distanti migliaia di migliaia di miliardi di chilometri».

Dopo di che Daniele Gasparri aggiunge: «E questo non è che l’antipasto: tra pochi anni sarà completato, sempre da ESO, quello che sarà il telescopio ottico più grande mai costruito, con un diametro di ben 39 metri. E tra poche settimane verrà lanciato il più potente telescopio spaziale della storia, il James Webb Space Telescope. Questi nuovi telescopi ci permetteranno di andare ancora più in profondità e di osservare praticamente tutta la storia dell’Universo, da quasi 14 miliardi di anni fa sino a oggi. Siamo all’alba di una nuova, grande rivoluzione scientifica che cambierà la nostra concezione del Cosmo».

L’astrofisico italiano Daniele Gasparri. © Daniele Gasparri
L’astrofisico italiano Daniele Gasparri. © Daniele Gasparri

Condizioni eccezionali
Torniamo ora al cielo di Atacama: è davvero il cielo più scuro e limpido al mondo? «Senza dubbio: è proprio il più scuro e limpido al mondo. Ci sono oltre 320 notti all’anno completamente prive di nubi, l’umidità è di solito attorno al 10-15 per cento e le luci delle grandi città, tanto comuni in Europa, qui sono un miraggio. Mi piacerebbe descrivere la meraviglia di questo cielo a chi ci legge ma è letteralmente impossibile immaginare qualcosa che non si è mai visto. Noi siamo la prima generazione della storia dell’umanità che non ha memoria di come sia un cielo incontaminato, non offuscato dalle nostre luci artificiali. In Italia e in Europa non esiste angolo dal quale si possa vedere il cielo che per migliaia di anni ha accompagnato la nostra storia. Ora quello che osserviamo è solo una distesa grigia illuminata dalle nostre mal orientate e troppo potenti luci. Il cielo del deserto di Atacama è talmente scuro e trasparente che i pianeti di notte proiettano ombre e la parte più brillante della Via Lattea riesce a illuminare il paesaggio al punto che si potrebbe leggere il titolo di un quotidiano senza bisogno di illuminazione. Se io stesso non avessi visto questo cielo con i miei occhi, non crederei che possa esistere, eppure c’è, ed è straordinario».

Veduta notturna nel deserto di Atacama. © Daniele Gasparri
Veduta notturna nel deserto di Atacama. © Daniele Gasparri

Un immenso stupore
Come ci si sente al cospetto di tanta bellezza e di un infinito come quello dell’Universo, anche come scienziato e dunque uomo quanto mai razionale? «Per quanto si possa essere razionali, quando si sta da soli nel mezzo del deserto, nel silenzio più totale, sommersi da un mare di stelle sopra di noi, l’emozione prende il sopravvento. All’inizio può somigliare più a una prova di coraggio perché non siamo più abituati a tutto questo e sembra che il cielo ci cada addosso, mentre siamo circondati dall’oscurità più totale. Poi, però, molto rapidamente subentra lo stupore per un Universo che si riesce a vedere con i propri occhi, a toccare con le proprie mani e ad ascoltare attraverso il sontuoso silenzio della natura circostante».

E stando con il naso all’insù? «Si ammirano migliaia di stelle e non si può non pensare alle straordinarie distanze e all’immensa vastità che sono sopra di noi. È un’esperienza che cambia la nostra prospettiva del mondo e della vita e che spero ognuno, almeno una volta, possa fare. Non è necessario essere astronomi, basta ricordarsi di essere umani, curiosi esploratori che hanno fatto dell’osservazione del Cosmo la loro fonte di ispirazione per migliaia e migliaia di anni».

La Valle della Luna nel deserto di Atacama. © Shutterstock
La Valle della Luna nel deserto di Atacama. © Shutterstock

La vera domanda da porsi
Quindi, siamo alle prese con distanze quasi inimmaginabili, per chi non è del mestiere. Tornando al discorso iniziale, l’uomo avrà abbastanza tempo dalla sua per tentare balzi che vadano verso galassie e mondi al di là della nostra Via Lattea, raggiungendo così nuovi mondi con equipaggi di sapiens? «La Terra sarà ancora abitabile per circa un miliardo di anni e il Sistema solare sarà ancora un posto relativamente accogliente almeno per altri 5 miliardi di anni. Ma le distanze, al di là dei pianeti, sono spaventose. La stella più vicina al nostro Sole – Proxima Centauri – è distante qualcosa come quarantamila miliardi di chilometri e al momento, per raggiungerla, ci metteremmo 50.000 anni per un viaggio di sola andata. Personalmente, credo che sarà molto difficile per l’umanità riuscire a esplorare anche solo la propria galassia, la Via Lattea, perché le leggi della fisica, e non la nostra tecnologia, dicono che non è possibile viaggiare più veloci della luce. E a questa velocità avremmo comunque bisogno di 2,5 milioni di anni solo per arrivare alla galassia più vicina, ossia quella di Andromeda».

Insomma, è inutile farsi grandi illusioni... «Bisogna solo cambiare la definizione di “viaggio”: invece di farlo con il nostro corpo, possiamo esplorare tutto l’Universo con telescopi sempre più grandi e potenti. È un altro tipo di viaggio ma non meno emozionante. E se trattiamo bene il nostro pianeta, appunto, potremmo stare tranquilli per un altro miliardo di anni. Un tempo di gran lunga maggiore rispetto a quello che hanno avuto a disposizione tutte le specie viventi complesse che finora hanno vissuto sulla Terra. La vera domanda, di conseguenza, è piuttosto questa: noi uomini riusciremo a non estinguerci prima di allora?».

I nostri ricordi sono in marcia verso l'infinito

Che cosa rimarrà della storia del nostro sistema solare e dunque della Terra quando inevitabilmente la loro vita si concluderà, quanto meno nella forma che conosciamo adesso? Non se ne saprà più nulla oppure nell’Universo resteranno comunque delle tracce di noi e del pianeta che ci ospita?

A dare una risposta a queste domande è ancora Daniele Gasparri, insieme al quale abbiamo ripreso – citando alla lettera ampi passaggi dello stesso – un suo articolo che è stato pubblicato nel maggio di quest’anno sul blog e sul gruppo Facebook intitolati Passione Astronomia (via FB, fra l’altro, il nostro interlocutore propone periodicamente spettacolari osservazioni live del cielo di Atacama).

La macchina del tempo
«L’Universo – spiega Daniele Gasparri – è di fatto una straordinaria macchina del tempo. Quello di noi abitanti della Terra è giocoforza limitato, ma tutta la storia del nostro pianeta continuerà a viaggiare nell’Universo grazie a quel fantastico e lunghissimo nastro trasportatore che è la luce, che raggiungerà anche il punto più sperduto del Cosmo. Qualsiasi effetto e oggetto cosmico che osserviamo dalla Terra, infatti, non lo vediamo in diretta, bensì con lo scarto temporale dettato dalla distanza che ci separa. O meglio, dallo scarto dovuto al tempo che la luce che ne trasporta le immagini impiega per giungere fino al pianeta su cui viviamo».

Sguardo verso l’infinito dall’osservatorio dell’ESO al Cerro Paranal. © Daniele Gasparri
Sguardo verso l’infinito dall’osservatorio dell’ESO al Cerro Paranal. © Daniele Gasparri

Chi vedrebbe cosa
Quindi, già ora eventuali osservatori che si trovassero su altri mondi potrebbero osservare quel che è accaduto sin qui sulla Terra... «È proprio così. Se in questo momento ci fossero degli abitanti di un pianeta a 80 anni luce che riuscissero a osservare la Terra, vedrebbero le terribili vicende della Seconda guerra mondiale e anche i nostri bisnonni ancora giovani, per esempio, impegnati ad arare la terra per cercare di far crescere nel modo migliore i loro figli».

E poi: «Da un pianeta a poco più di 200 anni luce si osserverebbero invece la Rivoluzione francese e un mondo popolato di ulteriori persone che per il nostro oggi non esistono più. Un altro osservatore che si trovasse a 2.000 anni luce potrebbe vedere in diretta le epiche vicende dell’Impero romano, mentre gli eventuali abitanti di una galassia distante 65 milioni di anni luce assisterebbero all’estinzione dei dinosauri, apparsi sulla Terra e poi scomparsi quando l’uomo era ancora ben lungi da lasciarvi le sue impronte. Infine, gli osservatori di un pianeta a 4,6 miliardi di anni luce potrebbero osservare le convulse fasi della formazione del nostro sistema solare e della Terra. Oltre questa distanza, nella nostra direzione apparirebbe solamente una distesa di gas, debolissimi, nascosti, sovrapposti, quasi impossibili da catturare con lo sguardo, beninteso disponendo di un adeguato strumento di osservazione, cosa che vale anche per gli altri ipotetici casi che ho elencato».

© Shutterstock
© Shutterstock

Una memoria perenne
Insomma, la memoria delle vicende di questa nostra Terra, quelle umane comprese, rimarrà sempre viva? «Con lo scorrere del tempo il nastro trasportatore costituito dalla luce continuerà ad affidare fatti e vicende del nostro pianeta a particelle tanto piccole da essere invisibili ma così ben organizzate da riuscire a creare, tutte insieme, una meravigliosa sinfonia di ricordi, salvaguardando in tal modo un contenuto preziosissimo. Queste particelle sono i fotoni, che appunto trasmettono in tutto l’Universo tutto ciò che è accaduto, accade e accadrà su questa nostra Terra».

Ma sarà davvero per sempre? «Se l’Universo dovesse esistere per sempre, il nastro trasportatore percorrerà una distanza infinita. Finché il Cosmo sarà in vita, lo sarà anche il nostro ricordo. Per coloro che avranno la fortuna, o la sfortuna, di assistere alle vicende di questo nostro pianeta, quello che vedranno sarà il loro presente, la loro realtà del momento. Soprattutto, però, avranno modo di seguire l’evoluzione continua di un’umanità in ogni caso straordinaria, pur se sarà vissuta per un tempo brevissimo, rispetto a quelli straordinariamente lunghi dell’Universo».

Alla scoperta del cielo stellato

Per iniziare
Per iniziare a capire e osservare il cosmo vi consigliamo il libro di Daniele Gasparri Primo incontro con il cielo stellato, pubblicazione indipendente del 2020 e giunta alla quarta edizione.

L’autore
Daniele Gasparri, classe 1983, è di origine umbra. Si è laureato in astronomia all’Università di Bologna con laurea magistrale in astronomia e cosmologia e ora studia all’Università di Atacama per ottenere il dottorato in astronomia e scienze planetarie. Ha pubblicato oltre 35 libri dedicati all’astronomia e svolge anche l’attività di divulgatore scientifico.

Sistema solare, distanze e unità di misura

I nostri otto pianeti
I pianeti del nostro sistema solare sono 8. Li elenchiamo a partire dal più vicino al Sole, indicandone perielio e afelio, ossia la distanza minima e quella massima che raggiungono orbitandogli attorno.

Mercurio
perielio 46.001.272 km
afelio 69.817.079 km

Venere
perielio 107.476.002 km
afelio 108.941.849 km

Terra
perielio 147.098.074 km
afelio 152.097.701 km

Marte
perielio 206.644.545 km
afelio 249.228.730 km

Giove
perielio 740.742.598 km
afelio 816.081.450 km

Saturno
perielio 1.349.467.375 km
afelio 1.503.983.449 km

Urano
perielio 2.735.555.035 km
afelio 3.006.389.405 km

Nettuno
perielio 4.459.631.496 km
afelio 4.536.874.325 km

Per dare un’idea dell’enormità di queste distanze, basti pensare che la minima e la massima distanza della nostra Luna dalla Terra sono di 362.600 e 405.400 km.

I cinque pianeti nani
Attorno al Sole orbitano anche cinque pianeti nani.

Cerere
perielio 380.951.000 km
afelio 446.428.000 km

Plutone
perielio 4.436.820.000 km
afelio 7.375.930.000 km

Haumea
perielio 5.257.418.127 km
afelio 7.714.119.736 km

Makemake
perielio 5.760.700.000 km
afelio 7.939.700.000 km

Eris
perielio 5.650.923.304 km
afelio 14.591.223.838 km

Nel 2006 Plutone, per le sue caratteristiche, è stato ufficialmente riclassificato da pianeta a pianeta nano dall’Unione astronomica internazionale.

L’unità astronomica
In astronomia, per facilitare l’espressione delle distanze, sono utilizzate altre unità di misura anziché i km. La prima è l’unità astronomica (abbreviazione: au). Un’unità astronomica corrisponde a 149.598.000 chilometri, ossia alla distanza media della Terra dal Sole. Quindi, noi siamo a 1 au dalla nostra stella, Mercurio a 0,387 e Nettuno a 30,06.

L’anno luce e il parsec
Per definire distanze ancora più grandi si utilizza l’anno luce. Poiché la velocità della luce nel vuoto è di 299.792,458 km al secondo, un anno luce corrisponde a 9.460.730.472.581 chilometri (sono 9.461 miliardi di km, arrotondando un po’). La Terra è a 0,00001581 anni luce dal Sole, la cui luce impiega all’incirca 8 minuti e 19 secondi a raggiungerla. Fra le unità di misura segue poi il parsec che equivale a 3,26 anni luce.