Il filosofo: «Bogart non sarebbe stato Bogart senza la sua sigaretta»

«Louis, credo che questo sia l’inizio di una bella amicizia». È l’ultima battuta del film Casablanca. Ilsa è partita. Rick, Humphrey Bogart, no, lui resta. Ha la sigaretta in bocca, anche se alle sue spalle, nell’hangar, la scritta sul muro lo dice chiaramente: «Défense absolue de fumer». Un’icona è tale anche (e soprattutto?) dove non dovrebbe esserlo. «Bogart non sarebbe stato Bogart, senza la sigaretta. L’icona è Bogart con la sigaretta; i due elementi sono legati: la sigaretta non è un ‘in più’, è come la bistecca con le patate fritte per Kit Carson». A sottolinearlo è Michele Amadò, filosofo, professore di estetica e retorica, attivo presso USI e Supsi.
Sigaretta, pipa, sigaro: esiste una precisa estetica del fumare.
«Il gesto di fumare la pipa è un gesto contemplativo, estetico per eccellenza: uno che fuma e si prende il tempo per farlo, è un godere il tempo, mandando in fumo i pensieri sbagliati e prendendo quelli giusti. La sigaretta è legata a un’estetica cinematografica e fotografica. Noi abbiamo degli esempi anche ticinesi: pensi alle foto dei politici di trenta o quarant’anni fa, nella sala del Gran Consiglio, fumavano tutti. Mentre pipa e sigaro sono contemplativi, la sigaretta non contempla, agisce. Due mondi diversi come concetto estetico. La sigaretta è un elemento di consumo veloce, è la tensione che viene mantenuta. Pipa e sigaretta, due modi di vivere diversi. Ora mi chiedo: cosa vuol dire non fumare più? Subentra un imperativo etico, che non ha nulla di estetico. Un’etica può esistere senza estetica. L’ossessione del non fumare è solo etica, non prevede nulla a livello di estetica».
Parla di ossessione, non di virtù.
«Be’, la virtù è qualcosa di bellissimo. La virtù non è qualcosa che rinuncia alla bellezza. Questa allora non è virtù, è un’ossessione ideologica. La virtù è un’altra cosa. Aristotele ci insegna. Il non fare mai niente di troppo, il troppo storpia, prosegui e centra il bersaglio, dove il bersaglio è sempre qualcosa di contemplativo. Questo mondo ha perso molto della bellezza originale, lo diceva Dostoevskij. Lo ha perso nel fatto di non saper vagliare la virtù estetica. La virtù è la moderazione, non è ideologica. L’assenza di fumo è solo una deontologia, neanche un’etica».
La stazione è un luogo contemplativo, di attesa. Lì la sigaretta cosa diventa?
«Be’, la sala d’attesa è la sala della pipa. La sigaretta ha il ruolo della noia. Il fumo in generale è attesa: attendo e cerco di riempire il vuoto. In un suo saggio, Heidegger si soffermò proprio sulla noia, sulla noia profonda. Fa l’esempio di una cena, di una cena organizzata perché voluta: voluta, già, eppure mangiamo e beviamo e infine tiriamo fuori pipe e sigarette e fumiamo. A un certo punto facciamo i cerchi con il fumo, battiamo le dita sul tavolo, andiamo a casa e ci diciamo: che noia che è stata. Quelle sigarette sono fumate per noia profonda: siamo annoiati da noi stessi, non c’è attorno a noi qualcosa che ci annoi. Questa è una via che ci porta all’essenza del vero, all’incontro con l’essere, non è una cosa negativa. In stazione, nell’attesa di treni che non arrivano, ci innervosiamo, ma la noia è comunque di noi stessi. Heidegger non condanna il fumo. Il fumo ha un ruolo importante nella storia, nella religione, non lo svaluterei così».
Le sigarette elettroniche cosa ci dicono dell’estetica della società moderna?
«Quello è un rituale terribile a livello estetico. È una copia mal fatta, non una copia artistica, è una scimmiottatura. Qualcuno abbia il coraggio di andare all’origine, all’originale: ciò che sostituisce l’origine è vecchio già quando nasce».