Il «franco digitale» della BNS sta dando buoni risultati

Si chiama Helvetia III ed è il progetto pilota della Banca nazionale svizzera (BNS) per l’emissione di una wholesale Central Bank Digital Currency (wCBDC), ovvero una moneta digitale di una banca centrale accessibile alle banche e alle istituzioni finanziarie che partecipano al sistema clearing SIC in tempo reale (RTGS). Il progetto, che pone la BNS all’avanguardia in questo ambito, è stato inaugurato a inizio dicembre 2023 e ieri, in occasione del BIS Innovation Summit a Basilea, l'istituto centrale ha fatto il punto della situazione a poche settimane dalla conclusione del progetto, previsto per il prossimo mese di giugno.
Premessa: non si tratta dell’emissione di un «franco svizzero digitale» per i consumatori, un’operazione che la BNS ha più volte ribadito di non voler effettuare, limitandosi - come altri istituti centrali - alla sola sperimentazione sul piano tecnologico. La wCBDC in franchi svizzeri serve per regolare le transazioni (settlement) con obbligazioni «tokenizzate» sulla piattaforma SIX Digital Exchange (SDX) basata sulla tecnologia distributed ledger (la Blockchain, per capirci). Lo scopo? Garantire «un sistema finanziario più sicuro, più efficiente e più trasparente», sostiene la BNS. Dall’inizio del progetto pilota, spiega la BNS, quattro emissioni di obbligazioni tokenizzate e una transazione sul mercato obbligazionario secondario sono state eseguite con successo sulla piattaforma SDX con wCBDC.
Ma la BNS sottolinea due sfide : la gestione della moneta digitale nell’ambito del partenariato con parti terze (SDX) e la «frammentazione» della moneta centrale.
«Per la BNS come per tutte le banche centrali è fondamentale – ai fini di una conduzione efficace della politica monetaria così come della riduzione dei rischi di credito e liquidità nel sistema bancario – “governare” la base monetaria», spiega Edoardo Beretta, professore titolare di Economia all’USI di Lugano. «Fra gli obiettivi enunciati dalla BNS con Helvetia III - prosegue - vi sono, quindi, proprio una più stretta integrazione fra asset e moneta centrale e il superamento di quei “compartimenti stagni” a livello di infrastrutture, che ancora caratterizzano il sistema bancario e finanziario».
Secondo il professor Beretta, «l’introduzione di una wCBDC comporterebbe a tutti gli effetti un “bacino” di moneta centrale ulteriore a quelli già esistenti, fra cui monete e banconote (detenibili dal pubblico) e depositi a vista presso la stessa (detenibili dalle sole banche commerciali). Un’eccessiva “frammentazione” della base monetaria, sia per tipologia di strumenti, sia per eventuale emissione su molteplici piattaforme di gestione da parte di terzi comporterebbe quindi una maggiore difficoltà di controllo e gestione efficaci da parte della banca centrale».
Più in generale, l’esperto dell’USI ritiene che le sfide per la BNS consistano perlomeno: nell’approntare un’infrastruttura tecnologica sì poco «frammentata» ma anche che non «accentri» eccessivamente i rischi su una sola piattaforma; nel promuovere (se fra gli obiettivi) la tokenizzazione degli asset e la tecnologicizzazione dei pagamenti più in generale senza però danneggiare il contante (che è, attualmente, l’unica forma di moneta di banca centrale detenibile anche dal largo pubblico); nell’esaminare con prudenza sì gli aspetti operativi e tecnologici connessi alle CBDC ma anche quelli psicologici più profondi, che tuttora caratterizzano gli individui quando si interfacciano con pagamenti, risparmio, crisi ecc.