Il giornalismo investigativo riparte dalla Grande rete

Che fine ha fatto il giornalismo investigativo? Se lo chiedono in molti constatando un calo generale di questo tipo di contributi informativi, almeno nei media tradizionali. La ragione è semplice: i costi. Ma qualche speranza, per quanti sono convinti dell'importanza delle inchieste giornalistiche per il bene della democrazia, oggi viene da Internet. Vediamo perché.Uno dei ruoli fondamentali del giornalismo è quello di vigilare sul potere e tenerne sotto controllo l'operato. Nell'ottemperare a queste funzioni, gli organi di stampa dovrebbero lavorare come «watchdog» (cani da guardia, n.d.r.), guardiani della democrazia pronti ad intervenire in caso di illeciti, corruzione, malgoverno o abusi. Il fine è il servizio pubblico. Il mezzo, invece, l'informazione dei cittadini. Il giornalismo investigativo, con la sua vocazione al disvelamento della verità dove questa è oscura, è la tattica più potente che i media hanno a loro disposizione per svolgere questa attività. Seguire una pista, fare domande, indagare fino alla scoperta di qualcosa che prima dell'arrivo della lente di ingrandimento del reporter non era possibile conoscere. La storia del giornalismo è piena di esempi virtuosi di questo tipo e il caso più noto è forse quello del Watergate, uno scoop che, portato in superficie da due giornalisti del Washington Post nei primi anni '70, contribuì sensibilmente alle dimissioni dell'allora presidente degli USA Richard Nixon.
Cos'è cambiatoMa quello investigativo, contrariamente ad altre forme di giornalismo più immediate, è complesso, rischioso e costa molto in termini di risorse e competenze. Realizzarlo, quindi, implica che i giornali abbiano una tradizione e una cultura pronta ad accoglierlo e giornalisti pronti a scendere sul campo per scandagliare fatti e piste. Come è purtroppo ben noto a chi segue le vicende dei giornali, la calata drastica degli introiti pubblicitari e la radicale messa in discussione dei modelli economici che hanno sempre garantito ai giornali di sopravvivere, hanno costretto molti di essi a operare dolorosi tagli di budget e di staff, limitando la capacità dei giornalisti di guardare oltre alla loro routine di redazione. Al problema, il giornalista del Los Angeles Times Dean Starkman ha dedicato un libro, The watchdog that didn't bark, denunciando come la crisi avesse quasi causato la scomparsa del giornalismo investigativo costringendo al silenzio il cane da guardia.Eppure, proprio il Web – che troppo spesso viene accusato erroneamente di essere la causa di tutti i mali del giornalismo – è uno degli alleati più forti che il giornalismo investigativo ha a sua disposizione. La Rete e il digitale, infatti, hanno facilitato enormemente l'accesso alle informazioni, le connessioni con possibili fonti e i linguaggi del giornalismo investigativo, ampliandone lo spettro. Un interessantissimo campo di innovazione, ad esempio, è il data journalism, il «giornalismo di precisione», fatto sulla base dell'analisi di dati digitalizzati di diversa natura. Bilanci pubblici, dati ambientali, dispacci di guerra: gli archivi, soprattutto digitali, offrono spunti innumerevoli per possibili indagini. Questo tipo di lavoro giornalistico si presta anche facilmente all'incontro con altre tecnologie, come mappe interattive cliccabili con cui presentare i dati e all'ibridazione delle competenze del giornalismo, come è nel caso delle sempre più numerose redazioni che decidono di assumere programmatori per sviluppare progetti di questo tipo.
Ottimi progettiProPublica, una testata online americana dedita al giornalismo investigativo, ha fatto di questo approccio uno dei sui marchi di fabbrica, pubblicando regolarmente grandi inchieste fondate sui dati, mentre in Svizzera la Neue Zürcher Zeitung ha realizzato diversi ottimi progetti di data journalism e da qualche tempo anche la SRG si è dotata di una redazione specializzata nell'analisi dei dati. Il lavoro sui dati del quotidiano zurighese, in particolare, è stato anche premiato lo scorso anno in relazione al progetto The migrant files, realizzato insieme ad altre nove testate europee e dedicato all'immigrazione nel Vecchio Continente. L'imponente lavoro di analisi dei dati svolto dai giornalisti, in questo caso, ha consentito di raccontare la storia di ben 13.744 migranti, storie che altrimenti non sarebbero venute alla luce.
L'approccio collaborativoL'approccio internazionale e collaborativo al giornalismo sta inoltre guadagnando terreno e diversi gruppi indipendenti di reporter lavorano sempre più spesso a progetti collettivi. Uno dei progetti più recenti di questo tipo è stato realizzato dall'italiano Investigative reporting project Italy (Irpi), insieme a Correctiv!, un centro per il giornalismo investigativo tedesco, e all'African network of centers for investigative reporting (Ancir) per il progetto Mafia in Africa, una lunga e approfondita indagine sulle infiltrazioni mafiose in Africa, finanziata dall'Innovative journalism grant e dal Journalism fund, due sigle che da diverso tempo forniscono supporto economico a iniziative investigative di questo tipo. Questi esempi, definiti cross-border, sono anche importanti per il lavoro di connessione tra diverse culture giornalistiche che sono in grado di operare, avvicinando giornalisti di background diversi e contesti sulla carta molto distanti.Troppo frequentemente, infatti, il giornalismo, anche quello investigativo, rischia di peccare di etnocentrismo e chiudersi all'interno dei propri steccati culturali e tradizionali e perdere una vera prospettiva globale sul contemporaneo. Ne è convinta, ad esempio, Anya Schiffrin, docente della Columbia University, autrice di Global muckraking. 100 years of investigative journalism from around the world», un libro che racconta la storia del giornalismo investigativo in tutto il mondo, compresi contesti poco noti, come l'Africa o l'Asia.Il testo, un'antologia di articoli commentati che hanno fatto la storia dell'informazione, è uno spunto utilissimo per ricordarci che è proprio anche grazie a testate coraggiose come il Vrye Weekblad – che chiuse nel 1994 per via dei costi della battaglia legale contro il regime sudafricano – se abbiamo letto delle violenze durante l'apartheid o che è per via del coraggio di giornalisti come Horacio Verbitsky che, nel 1995, riuscì a intervistare un ufficiale pentito della giunta militare argentina, se conosciamo l'incubo dei desaparecidos. Un reminder di come il giornalismo che sa mordere è sempre l'anticorpo più forte nelle mani della democrazia.