«Il Gruppo Wagner è una sfida per la Russia»

Nel pantano ucraino, dove per ora non si intravede alcuno spiraglio di negoziazione, nelle ultime settimane alcune milizie russe che combattono a fianco dell’esercito di Kiev sono riuscite ad aprire un insidiosissimo varco di scontro nell’area di confine della città russa di Belgorod. Ne abbiamo discusso con il collega del TG5 Luigi De Biase, che da anni si occupa di Russia e di Europa dell’Est. Ecco la sua analisi sugli ultimi sviluppi del conflitto.
L’Ucraina sembra alzare il tiro nella zona di confine tra Kharkiv e la città russa di Belgorod, dove si registrano continue incursioni da parte (sembra) di miliziani russi in aperto conflitto con il Cremlino. Cosa sta accadendo più precisamente?
«L’attacco a Belgorod (quello principale è avvenuto il 22 maggio scorso, ndr) è stato rivendicato da due organizzazioni di combattenti russi schierate al fianco dell’esercito ucraino, la Legione per la libertà della Russia e il Corpo dei volontari russi. Queste unità sono, però, composte da poche decine di effettivi, con ogni probabilità meno di cinquanta. Chi sono, allora, gli altri elementi del commando? Molti provengono da gruppi vicini a “Bratsvo”, un movimento politico, religioso e militare fondato a Kiev fra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila da Dmitro Korchinsky, una sorta di Dugin ucraino che in precedenza aveva guidato gli ultranazionalisti dell’OUN. Bratsvo significa letteralmente “fratellanza”. In più occasioni Korchinsky ha parlato dei suoi seguaci come di “talebani cristiani”. Bratsvo ha dato origine negli ultimi anni a diverse sigle dell’universo neofascista e suprematista, da Tradizione e Ordine al Battaglione Revanche. Con l’inizio della guerra, sotto il comando dei servizi segreti militari, questi uomini hanno preso parte a diverse incursioni sul territorio russo. È accaduto certamente a Belgorod. Ed era accaduto alla fine di dicembre nella vicina Bryansk, quando i russi avevano eliminato quattro sabotatori legati a Bratsvo in missione oltre le linee nemiche».
In un momento in cui armi e munizioni iniziano a scarseggiare, qualcuno, come Sergei Markov, l’ex consigliere del presidente russo Putin, ha affermato che l’enorme deposito di armi di Cobasna, in Moldavia, potrebbe essere a rischio per un possibile attacco ucraino. Quanto è realistica questa ipotesi, dato che sul territorio della Transnistria vi sono non più di duemila soldati russi e poche migliaia di militi moldavi inclusi i riservisti?
«A questo punto della guerra l’esercito ucraino ha la piena capacità di stabilire il controllo sulla Transnistria e sulle sue infrastrutture militari, compreso il deposito di Cobasna. È chiaro a tutti, però, che questa operazione alzerebbe ulteriormente il livello dello scontro, anziché ridurlo. Il presidente ucraino Zelensky non può assumere in modo autonomo una decisione del genere senza rischiare di alienarsi almeno una parte del sostegno di alcuni dei suoi partner».
Il Gruppo di mercenari Wagner è in rotta di collisione con Mosca. Qual è la sua chiave di lettura sull’atteggiamento del leader dei mercenari, Evgenii Prigozhin, emerso ancora più chiaramente nella battaglia per Bakhmut?
«Credo che le parole di Evgenii Prigozhin debbano essere prese sempre con estrema cautela. Prigozhin vorrebbe ovviamente una posizione di privilegio rispetto ai militari nella cerchia del Cremlino. Ma le sue dichiarazioni sono comunque comprese in un gioco delle parti che coinvolge tutti gli apparati russi. L’ascesa del Gruppo Wagner rappresenta, in ogni caso, una sfida per la stabilità del Paese. In Russia stanno nascendo compagnie paramilitari legate a istituzioni locali, è il caso dei battaglioni volontari Tavrida e Livadia in Crimea, e a grandi compagnie, come Gazprom. Questa tendenza potrebbe mettere in discussione il principio di monopolio dell’uso legittimo della forza su cui lo Stato si fonda».
Visto che si è trovato in diversi Stati della Federazione russa, quanta compattezza ha riscontrato a favore di Putin?
«La mia impressione è che Vladimir Putin rappresenti ancora un punto di equilibrio in Russia sul piano politico, economico e istituzionale. Le regioni e le Repubbliche periferiche hanno garantito sinora ampio sostegno alla guerra in Ucraina, basti pensare che Putin ha assegnato proprio la settimana scorsa a un militare yakuto di nome Aleksander Kolesov l’onorificenza di Eroe della Russia, un caso molto raro quando si parla di cittadini delle minoranze etniche. La militarizzazione complessiva della società potrebbe, però, spingere sul lungo periodo alcune di queste Regioni verso progetti di maggiore autonomia. Diversi studiosi già parlano di un possibile processo di “decolonizzazione” ».
Negli scorsi giorni dalla Bielorussia - storica alleata della Russia sono giunti segnali contraddittori: tra questi la grazia (giunta a sorpresa) accordata dal presidente Lukashenko al bloggeroppositore Roman Protasevich, mentre le armi nucleari russe venivano trasferite su suolo bielorusso «pronte all’uso». Qual è la sua chiave di lettura?
«Il caso Protasevich riguarda la politica interna. È possibile che l’establishment politico bielorusso, a partire dal presidente, Alexander Lukashenko, voglia trasmettere attraverso la grazia a questo giovane nazionalista un messaggio di unità al Paese. La questione delle armi nucleari è politica estera. Le leadership di Russia e Bielorussia si sono certamente avvicinate a partire dalle proteste che hanno attraversato Minsk dal 2020 in avanti. Lukashenko allora ha convinto Putin a offrirgli sostegno. Il prezzo dell’aiuto ricevuto, alla luce della guerra in Ucraina, si sta rivelando elevato. La presenza di armi nucleari in Bielorussia potrà anche avere scarsi effetti sul piano pratico nel confronto con la NATO. Ma nell’equilibrio fra Mosca e Minsk sottopone certamente i bielorussi a un controllo ancora più stretto da parte dei russi».