Il libro pirata del Corriere della Sera

MILANO - Il "Corriere della Sera" ha proposto ieri un'iniziativa sulla carta lodevole: la pubblicazione di un volume in edicola e in libreria oggi dal titolo "Je Suis Charlie. Matite in difesa della libertà di stampa". Il tomo di circa 300 pagine raccoglie buona parte delle vignette prodotte in Italia e nel mondo in sostegno di Charlie Hebdo nei giorni successivi all'attacco terroristico che ha ucciso 12 persone. Tutti i proventi (il costo è di 4.90 euro) saranno girati alla redazione del giornale stesso e alle vittime della tragedia. " Un modo per non dimenticare e per riaffermare la libertà di espressione, nel rispetto di tutti", scrive la direzione del "Corriere della Sera" nel presentare la pubblicazione.
Ma, c'è un "però". Un grossissimo "però". il "Corriere" non ha chiesto ai disegnatori interessati se poteva ripubblicare il loro lavoro in questo libro, di fatto compiendo una flagrante violazione della legge sulla proprietà intellettuale. Fra gli autori che si sono visti "saccheggiare" l'opera figurano i più grandi fumettisti italiani contemporanei: Leo Ortolani (il creatore di Rat-Man), Roberto Recchioni (fra le altre cose curatore di Dylan Dog), Milo Manara, Gipi, Giacomo Bevilacqua, e numerosi altri ancora. Fumettisti che non hanno mancato di far sentire la propria voce e di manifestare il proprio sdegno per l'operazione commerciale del "Corriere", che dal canto suo ha risposto alle critiche ribadendo che tutto il ricavato andrà alle vittime della strage e a "Charlie Hebdo" e che dati i tempi stretti non è stato possibile ottenere velocemente l'assenso formale degli autori dei disegni. D'altronde, ricordano, "in seconda pagina [del nostro libro] c'è scritto con chiarezza che 'l'editore dichiara la propria disponibilità verso gli aventi diritto che non fosse riuscito a reperire'".
Ciò potrebbe dare soddisfazione finanziaria agli autori, ma è - crediamo - troppo poco e troppo tardi. Il potere decisionale dei fumettisti è già stato leso, e questo comporta un'altra serie di considerazioni, ben sottolineate da Recchioni in un intervento sul suo blog. Fra queste: e se l'autore non avesse voluto far parte di questa operazione? E se non condividesse le opinioni degli altri autori e non volesse esserci associato? E se non avesse voluto commercializzare l'opera in prima istanza perché frutto di un momento estemporaneo e a quello legato? Senza dimenticare, come ricorda ancora Recchioni, che in stampa sono andate anche immagini a bassa risoluzione prese qua e là dai social network che potrebbero non rendere giustizia all'autore del disegno, al contrario degli originali.
Questo senza considerare l'ironia insita in tutto ciò: alla base di un libro voluto per esaltare la libertà di stampa (ma senza le vignette più controverse, per scelta editoriale!), vi è un furto ideologico.
Come si è arrivati a tanto? Fra le ipotesi più gettonate vi è quella che, essendo le vignette state pubblicate sui social media, esse siano diventate come di pubblico dominio e quindi liberamente riutilizzabili da chiunque volesse, dato che facebook e co. fra i termini d'uso chiedono di cedere i diritti di pubblicazione. L'idea è però respinta dal giornalista esperto d'informatica Paolo Attivissimo, da noi contattato: "Il fatto di pubblicare su Facebook o Twitter una vignetta non significa rinunciare ai propri diritti d'autore. Le condizioni di contratto di questi social network concedono una licenza di pubblicazione al social network stesso. Non danno il permesso ad altri di rubare. Citare, sì; fare embedding, anche; ma non di prendere, stampare e vendere come ha fatto il "Corriere della Sera"". Per Attivissimo si tratta piuttosto di un altro esempio di un certo "malandazzo" di alcuna stampa online: "Tante testate giornalistiche sui loro siti online ripubblicano video trovati su Youtube ponendoci sopra il loro nome e il simbolo della riproduzione riservata, che è un modo di fare scorretto (i contenuti non sono effettivamente loro), e il principio è simile a quanto successo per questa pubblicazione. Sul perché si agisca così, purtroppo non posso entrare nella testa di chi ha preso la decisione, ma sicuramente non è un modo di fare a norma di legge. Sarebbe auspicabile che gli organi preposti a tutelare gli autori (in Italia è la SIAE) prendessero posizione e pretendessero che il "Corriere" restituisca quanto dovuto ai fumettisti con tariffe di mercato. Potrebbero esserci addirittura gli estremi per il sequestro dell'opera, come avviene normalmente nei casi di pirateria audiovisiva".
Sequestro o meno (ieri il libro è arrivato nelle edicole), la vicenda lascia una certa amarezza: c'era proprio bisogno di macchiare in modo così grossolano un'iniziativa in sé lodevole (come sottolineato anche dai disegnatori parte lesa)?