Il lupo, da predatore a preda senza casa

Una vittoria per chi vorrebbe vedere il lupo sempre più ai margini, una sconfitta per chi, invece, vorrebbe tutelarlo. Sì. Ieri il Consiglio degli Stati ha ribadito che intende consentire l’uccisione del grande predatore anche nelle bandite di caccia e nelle riserve per gli animali selvatici. Secondo la maggioranza del plenum, che ha accolto per 24 voti a 16 una proposta della propria commissione preparatoria, negli ultimi anni i branchi di lupi sono cresciuti in maniera significativa con tutte le conseguenze del caso per gli allevatori. Finora, la legislazione vigente prevede la possibilità di abbattere singoli canidi problematici. Situazioni, queste, che non mancano di sollevare nuvole di polemiche in tutto il Paese. Ora la palla andrà al Nazionale, che dovrà discutere della revisione della legge sulla caccia nelle prossime sessioni.
Per le associazioni in difesa dell’ambiente e della protezione degli animali, come detto, si tratta di un brutto colpo. Che lascia intravedere pericolosi spiragli a quella che è già stata definita una «legge d’abbattimento». In sostanza, secondo gli oppositori, ci si è spinti troppo oltre, con il rischio di aprire la porta a innumerevoli abusi. Una sorta di «far west» in salsa elvetica. «Il lupo è un animale territoriale, la legge attuale già prevede l’abbattimento di singoli individui» spiega a proposito Francesco Maggi, responsabile del WWF sezione Ticino. «La scienza, del resto, parla chiaro. Aprire la caccia senza confini o cacciare lupi in branco, provoca effetti negativi all’agricoltura e all’ecosistema. Al posto di predare animali selvatici, come possono essere cervi o caprioli, i lupi se minacciati andranno ad accanirsi su vittime facili, come pecore e capre. La legislazione in vigore allo stato attuale è già abbastanza permissiva in materia di abbattimento dei grandi predatori».
Maggi, nell’esporre le proprie considerazioni, è tassativo: «Ciò che sta accadendo in Parlamento a Berna è una modifica della legge sulla caccia che va ben oltre a qualsiasi limite» spiega. «Questa è una legge che mira a ridurre la protezione delle specie. Non è solo il lupo a essere in pericolo. C’è anche la lince, il castoro, e poi cosa ancora? Ogni animale che provoca disturbo, in Svizzera, viene messo nella lista delle specie cacciabili. Non mi sembra un messaggio positivo da veicolare. Come WWF intendiamo combattere questa possibile modifica di legge. Noi siamo per il mantenimento della normativa attuale, la protezione delle specie in Svizzera deve essere tutelata. Ecco perché, quando la modifica verrà pubblicata sul foglio ufficiale, raccoglieremo le firme per un referendum».
Di tutt’altro avviso, evidentemente, il presidente dell’Unione contadini ticinesi Omar Pedrini. «La decisione del Consiglio degli Stati è sicuramente positiva dal nostro punto di vista» dice. «I contrari alla modifica della legge sulla caccia sostengono che le bandite svizzere sono piccole (Simonetta Sommaruga, in rappresentanza del Consiglio federale, ha non a caso fatto notare che un branco ha bisogno di un territorio di 250 km, ossia più del doppio della superficie delle nostre riserve, ndr). Vero. Però sono molto numerose: ciò significa che il predatore può facilmente rifugiarsi in queste aree protette. Ecco perché togliere il vincolo è la strada giusta da imboccare». Pedrini tiene a precisare che «non significa sparare a tutto ciò che si muove. Semplicemente, quando un lupo viene definito problematico dalle autorità si concedono gli strumenti per abbatterlo, non si pongono dei confini geografici che lasciano il tempo che trovano». A livello ticinese è ancora presto per stilare un bilancio sull’attività di predazione dei lupi. Gli ultimi dati disponibili sono relativi allo scorso anno, quando nel nostro cantone sono stati 16 gli animali da reddito (pecore e capre) uccise dal grande predatore. «Nel corso di quest’estate, in alta Leventina, sono stati una cinquantina i capi predati» sostiene Pedrini. «Un numero molto elevato».
I contrari alla modifica di legge sostengono che il lupo contribuisce a tenere sotto controllo le popolazioni degli ungulati. Questa la risposta del presidente dell’Unione contadini ticinesi. «Lo dico chiaro e tondo: dal ritorno del lupo dalle nostre parti, il numero di cervi nei nostri prati e nei nostri campi non è certo diminuito. Del resto molte voci contrarie al progetto di modifica di legge non si basano su una vera conoscenza della natura e delle nostre montagne. Spesso si lascia parlare l’ideologia, non l’esperienza in materia. L’agricoltura e l’allevamento di montagna svolgono un ruolo importante nel nostro ecosistema». Il riferimento è chiaro: si vogliono tutelare coloro che lavorano sugli alpeggi. «Già la politica agricola ci mette in difficoltà, se poi ci si mettono anche i grandi predatori è meglio chiudere bottega» commenta Pedrini. «Certo, il Cantone propone degli indennizzi per ogni capo predato. Ma non è una questione di soldi, bensì di orgoglio. Ne va del futuro stesso del mestiere di allevatore».
"Ma perché deve sempre essere lui il cattivo?"
C’era una volta il lupo, il lupo che faceva paura, che minacciava i bambini di notte, oppure nel bosco, anche di giorno. Rappresentava il lato oscuro della vita. E poi è arrivato un altro tipo di lupo, più imbranato che cattivo, maldestro, a volte ozioso, un lupo persino timoroso. È avvenuto un ribaltamento della prospettiva. Il lupo e noi. Lupo Alberto è il lupo ed è noi. Ideato da Silver – nome d’arte per Guido Silvestri – nel 1973, è il classico esempio di «animale antropomorfo». Lo stesso autore, che sarà presto ospite della Fiera del fumetto di Lugano (dal 20 al 22 settembre), spiega: «Ho fatto riferimento, in questo senso, alla nostra cultura popolare, alla nostra tradizione. Le fiabe sono sempre state piene di lupi. Io ho contribuito all’immagine del lupo “buono”, anche se poi bontà e cattiveria sono una la faccia dell’altra. Lupo Alberto è innegabilmente un lupo meno aggressivo, meno sanguinario rispetto a quello derivante dalla cultura popolare. È per l’appunto un lupo antropomorfo, alla fine un ragazzo, uno di noi: rappresenta il genere umano, quello che ero io all’epoca in cui lo creai, un tipo emotivamente allo sbando, con delle idee non molto chiare sulla vita, con la forte volontà di non farsi ingurgitare dalla società e di mantenersi libero e indipendente rispetto a un sistema».
Alberto insomma non poteva essere che un lupo, anche se tradotto in un universo umorista, appunto ribaltato. «A un certo punto della vita ci si inizia a porre delle domande sugli stereotipi che ci trasciniamo dalla nascita. Quello del lupo cattivo è uno di questi stereotipi. Perché il lupo deve essere cattivo, addirittura il cattivo? Possono essere domande oziose, certo, ma tutta la letteratura umoristica e tutto il cinema umoristico si basano sul ribaltamento degli stereotipi. Io ho anche fatto innamorare Alberto, molto tranquillo nel suo essere lupo, di una gallina». Già, Marta. «Marta appare sin dalla seconda striscia. Il loro rapporto mi serviva a mo’ di battuta, sempre all’interno di un meccanismo di ribaltamento delle prospettive abituali. Il lettore vede un lupo avvicinarsi quatto quatto a un pollaio. Il lupo entra e ne esce, di corsa, con una gallina. Facile pensare: adesso se la mangerà. Invece nel fumetto i due, lupo e gallina, finiscono a baciarsi nel boschetto». Ed ecco la più classica delle battute di Silver, con Alberto che, scampato alle pallottole durante la fuga, ammette: «Marta, non possiamo continuare a incontrarci così!». Silver spiega: «L’aspetto animalesco subito passa in secondo piano. Alberto e Marta a quel punto sono due persone innamorate, una che non vuole perdere la propria libertà, l’altra che vuole costruire una famiglia».
Lupo Alberto, così come Willy il Coyote – «di cui è nipote, nella mia prospettiva», ammette Silver – e altri ancora (basti pensare al Leo Lupo di Nicoletta Costa, amico del popolare Giulio Coniglio), ha contribuito appunto a ribaltare il ritratto del lupo, anche se nell’immaginario popolare il lupo cattivo trova ancora un suo ruolo, una sua collocazione. Lo stesso Silver riconosce: «Io ho sempre combattuto questo stereotipo, ma avendo avuto e cresciuto cinque figli, devo ammettere di averne fatto uso in passato. Non si può negare come l’impatto emotivo del lupo feroce, del lupo che divora le persone in un sol boccone, sia forte: colpisce, fa presa. E io stesso ne ho fatto uso con i miei figli. Ma è un peccato, è sempre un peccato alimentare gli stereotipi. Spero che prima o poi riusciremo a considerare i lupi come parte della nostra storia, come parte di noi».