Il reportage

Il Nordafrica si è schierato con la Palestina

Migliaia di persone sono scese nelle piazze delle varie capitali per urlare il loro sostegno alla causa palestinese – E a Tunisi si ricorda il bombardamento del 1985 in cui persero la vita anche 18 tunisini – Anni di sforzi diplomatici sembrano andati sprecati
© Reuters/Chedly Ben Ibrahim
Matteo Giusti
16.10.2023 18:30

L’attacco di Hamas e la risposta dell’esercito israeliano hanno avuto un effetto deflagrante in tutto il Nordafrica. Il venerdì di preghiera è stato trasformato in un giorno di rabbia nelle capitali arabe dove migliaia di persone si sono riversate nelle piazze di Algeri, Tunisi, Tripoli e Il Cairo. Sventolando bandiere palestinesi e gridando slogan anti-israeliani, gli abitanti del Nordafrica hanno urlato il loro sostegno alla causa palestinese, riportando i loro Paesi indietro di decenni.

Le manifestazioni al Cairo

In Egitto, stato chiave per la stabilità del Medioriente, la grande moschea Al- Azhar ha chiamato a raccolta migliaia di fedeli nonostante il governo del generale Al-Sisi avesse vietato le manifestazioni. Accanto ai religiosi le dieci più importanti organizzazioni per i diritti hanno raccolto firme per presentare al governo un documento di condanna per Israele e hanno manifestato davanti al sindacato dei giornalisti e all’università americana del Cairo, vista come un simbolo dell’Occidente.

Una situazione difficile per il Paese che per primo riaprì i rapporti diplomatici con Tel Aviv nel 1979 e che stava lavorando da tempo per una duratura stabilizzazione della regione.

Anche la Libia, che non ha mai voluto rapporti diplomatici con Israele, ha visto Tripoli ribollire di rabbia e solidarietà per i palestinesi di Gaza e illuminare le cinque torri El Emad con i colori della bandiera della Palestina. Quando alcuni mesi fa il ministro degli Esteri libico aveva incontrato il suo omologo israeliano, le proteste avevano costretto lo stesso ministro a scappare in Grecia.

Algeria, posizione ambigua

Complicata anche la situazione in Marocco, Stato che ha sottoscritto gli «Accordi di Abramo» per la normalizzazione dei rapporti con Israele. Rabat, Casablanca e Marrakech hanno visto centinaia di persone chiedere la rottura di ogni rapporto con Tel Aviv e anche alcuni membri della casa reale marocchina hanno espresso totale appoggio ai palestinesi.

Algeri ha visto una folla di oltre duemila persone radunarsi in piazza 1. Novembre in sostegno a Gaza, ma il presidente Tebboune ha poi deciso di vietare ogni tipo di manifestazione per garantire l’ordine pubblico. Una mossa inaspettata, visto che l’Algeria è sempre stato uno dei più strenui difensori della causa palestinese, ma sembra usare quello che accade a Gaza più in funzione anti-Marocco che pro-Palestina, accomunando Rabat con l’Occidente e quindi nemico del fronte arabo unito.

«Senza compromessi»

Ma il Paese che ha visto la reazione più veemente è stata la Tunisia. Nonostante Tunisi sia stata l’ultima capitale a muoversi, sono stati tantissimi i tunisini che in piazza della Kasbah si sono radunati per far sentire la loro voce. Politici, rappresentanti della società civile, universitari e semplici cittadini hanno indossato le loro kefieh e sventolato forte le due bandiere della Tunisia e della Palestina rispondendo all’appello dell’UGTT, il potente sindacato dei lavoratori. L’enorme corteo ha sfilato sotto gli alberi di Avenue de la Liberté passando davanti alla grande sinagoga, ma senza incidenti.

«Oggi il popolo della Tunisia è tutto qui, niente ci unisce quanto il sostegno ai fratelli palestinesi», gridano insieme Ayoub e Riadh, due studenti universitari di un collettivo per i diritti civili. «Resistere, dobbiamo resistere senza cedere a nessun compromesso». I due giovanissimi vengono applauditi dai manifestanti vicini, e un gruppo di avvocati, intervenuti in strada con la toga per farsi riconoscere, rincara la dose. Youssef Khrairef si erge a portavoce del gruppo e punta il dito contro Israele e gli Stati Uniti. «Israele ha commesso molti crimini e non ho paura a parlare di genocidio. L’unica volta che la Palestina ha provato a difendersi, tutti si sono schierati con Israele. Gli Stati Uniti sono i diretti responsabili degli atti di Israele e della violenza contro i palestinesi, e noi tunisini conosciamo bene questa violenza».

Il 1. ottobre del 1985, Israele bombardò il quartier generale dell’OLP ( Organizzazione per la Liberazione della Palestina) di Yasser Arafat a Tunisi, dove si era trasferita dopo lo scoppio della guerra civile libanese. Questo attacco portò alla morte di 50 palestinesi e 18 tunisini e innescò una grave crisi diplomatica.

In piazza anche il movimento per i diritti LGBT, che chiede la fine di ogni violenza anche da parte di Hamas. «Noi siamo con il popolo palestinese, che sappiamo bene non essere rappresentato solo da Hamas», spiega il portavoce Brahimi. «Vorremmo che la Palestina fosse libera e in pace. La violenza complica solo le cose».

«Gaza prigione a cielo aperto»

Nabil Hajji è il segretario generale di Attayar, un importante partito di opposizione, e spiega quanto la Tunisia sia coinvolta. «Tutti i tunisini portano nel cuore la causa palestinese, e decine di loro sono morti combattendo accanto ai fratelli palestinesi. Non c’è nessun tipo di anti-semitismo, Israele occupa un Paese dove c’è un popolo massacrato, saccheggiato e scacciato dalle proprie terre. Si tratta di un’occupazione razzista e fascista, ed è una lotta legittima che dovrebbe essere condivisa da tutti quelli che difendono i diritti e la libertà. Evocare l’antisemitismo serve solo a distorcere la realtà e a condannare la legittima lotta del popolo palestinese. Seguendo questa logica, potremmo accusare Israele di essere islamofobo, e se uno Stato europeo fosse invaso da uno Stato musulmano potremmo accusare la sua lotta per l’indipendenza di islamofobia».

Parole forti e decise di questo importante uomo politico che non vuole sentire parlare di Gaza. «Non è Gaza, ma la Palestina. Gaza è una prigione a cielo aperto, il più grande campo di concentramento della storia. Più di 2 milioni di persone sotto assedio, private di acqua, elettricità e rifornimenti, contro un esercito fra i più equipaggiati del mondo che attacca soprattutto anziani e bambini. Si tratta di un genocidio».

Normalizzazione più lontana

La posizione di Hajji sulla normalizzazione dei rapporti con Tel Aviv è netta. «Siamo totalmente contrari. Nessun rapporto diplomatico, economico o culturale con lo Stato sionista occupante. Noi abbiamo anche presentato una legge che vieti questa normalizzazione. Una posizione condivisa anche dall’attuale governo di Kais Saied. Noi saremo sempre dalla parte dei palestinesi come tutto il popolo tunisino».

Anni di trattative diplomatiche distrutti in pochi giorni, sull’onda lunga dell’attacco di Hamas, con il Mediterraneo che torna a essere una polveriera pronta a esplodere e a travolgere l’Europa.

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