Il nuovo aumento dei casi? «Nessun impatto critico»

Messa un po‘ in secondo piano rispetto alla crisi ucraina, la COVID-19 è però ancora una presenza fissa in Svizzera e nel mondo. Certo, la situazione non è critica come qualche mese fa, ma con l’allentamento delle restrizioni deciso lo scorso febbraio, il numero dei contagi ha ripreso a salire. Nelle ultime 24 ore, ad esempio, si sono registrati 29.026 nuovi casi di coronavirus in Svizzera, mentre 184 persone sono state ricoverate in ospedale. I decessi giornalieri sono invece 13. A titolo di paragone, esattamente una settimana fa, l’UFSP aveva annunciato 26.050 casi, ovvero 2.976 in meno. Lo stesso giorno si contavano 10 decessi e 133 ricoveri. A trovarsi attualmente in cure intensive sono 622 persone. I pazienti COVID occupano il 17,10% dei posti disponibili in questi reparti, con un tasso d’occupazione del 74,20%. E proprio domenica, l’epidemiologo Marcel Salathé ha descritto la situazione sanitaria come «preoccupante» e ha invitato il Consiglio federale ad aspettare prima di togliere le ultime restrizioni.
L’immunizzazione
L’aumento dei casi, spiega al CdT il presidente della Conferenza dei direttori cantonali della sanità, Lukas Engelberger era prevedibile e per ora non è il caso di allarmarsi. «Grazie all’alto tasso di immunizzazione e al minor carico di malattia della variante Omicron, l’attuale alto numero di nuovi casi, unito a un numero molto più alto di casi non segnalati, non ha ancora un impatto critico sul sistema sanitario in tutta la Svizzera». Tuttavia, avverte, con un declino dell’immunità e/o la comparsa di nuove varianti del coronavirus, la situazione può anche nuovamente aggravarsi negli ospedali. C’era da aspettarsi che il numero di casi sarebbe aumentato dopo che le misure di protezione sono state ampiamente revocate a metà febbraio», ammette il consigliere di Stato di Basilea Città.
Le terapie intensive
A oggi, il tasso di occupazione delle unità di terapia intensiva in Svizzera è del 70%. Questo dato ci permette di dormire sonni tranquilli? Cosa succederebbe se la situazione si dovesse nuovamente aggravare? Ancora Engelberger: «I Cantoni devono prendere precauzioni affinché le capacità di trattamento dei pazienti di COVID-19 possano essere sostanzialmente aumentate. Questo soprattutto in vista del periodo autunnale e invernale. Abbiamo strumenti che si sono dimostrati efficaci nella gestione della crisi fino ad ora e con i quali la cura dei pazienti può essere sempre garantita. Questi includono trasferimenti di pazienti a livello regionale o nazionale e il rinvio di interventi non urgenti. Inoltre, il comitato esecutivo della Conferenza dei direttori cantonali della sanità ha adottato diverse raccomandazioni sulla sicurezza del personale sanitario». Insomma, in prima linea, ora, ci sono nuovamente i Cantoni. «Con il passaggio pianificato dalla situazione particolare a quella normale, si sta verificando un cambiamento di responsabilità. Confederazione e Cantoni la condividono nella situazione particolare, mentre nella situazione normale essa spetta ai Cantoni». E gli stessi Cantoni, prosegue Engelberger, «continuano a garantire un’ampia capacità di test e un accesso alle vaccinazioni». Nella situazione normale sono di loro competenza anche le misure di protezione della popolazione: «Possono contare sulla legge sulle epidemie (articoli 33 e 40). La Confederazione, d’altra parte, continua ad avere la responsabilità principale del monitoraggio della COVID-19 e dei sistemi di reporting. Se la situazione dovesse peggiorare e la salute pubblica fosse messa in pericolo in tutta la Svizzera, la Confederazione dovrebbe di nuovo prendere misure in conformità alla legge sulle epidemie».
La task-force si scioglierà
La guardia resta dunque alta, sia a livello cantonale che federale. E nonostante lo scioglimento, a fine marzo, della task force scientifica , assicura Engelberger, «la Conferenza dei direttori cantonali della sanità rimarrà in contatto con il Consiglio federale attraverso diversi canali di scambio».