Il PLR rischia di pagare caro il dilemma europeo

Oggi i fari della politica federale sono puntati sul Wankdorf di Berna, dove il PLR è impegnato in una partita di fondamentale importanza. I delegati si ritrovano nella sala conferenze dello stadio per prendere posizione sui nuovi accordi bilaterali con l’UE – la consultazione a livello nazionale si chiuderà il 31 ottobre – e decidere sul tipo di referendum a cui sottoporre, un domani, l’intero pacchetto.
Il tema europeo divide il partito da decenni e anche in questa occasione fa riaffiorare vecchi traumi. Un’eventuale seria spaccatura potrebbe complicare il cammino degli accordi portati avanti in prima persona dal consigliere federale Ignazio Cassis, già avversati dall’UDC e da una parte degli ambienti economici. Ma soprattutto rischierebbe di indebolire elettoralmente il partito stesso, impegnato in un testa a testa con il Centro, dal cui esito dipenderà il secondo seggio in Consiglio federale.
L’ultimo barometro elettorale della SSR ha confermato quanto sia fragile la posizione del PLR. I dissensi esistono per motivi diversi – e ci mancherebbe – anche in altri partiti, ma è il PLR quello a rischiare più grosso alle elezioni. In queste condizioni, uno scontro interno lacerante potrebbe avere ripercussioni.
Gli ultimi giorni hanno anche mostrato come sia teso il clima nel partito, con la discesa in campo a mezzo di stampa di ex-consiglieri federali, divisi fra chi, come Pascal Couchepin, sostiene i nuovi accordi perché li considera una positiva estensione della via bilaterale; e chi, invece, come Johann Schneider-Ammann, teme che questi accordi si traducano in una perdita di sovranità, diano vita a un mini-SEE e mettano in pericolo l’ordine economico liberale svizzero.
Anche a causa di queste tensioni – l’intervento di Schneider -Ammann è stato seguito da reazioni sopra le righe nel campo avverso – il vertice sta cercando di prevenire fratture e di pilotare il partito verso una posizione unitaria, in grado di trovare un punto d’incontro fra due fronti ancora molto distanti.
Proprio perché consapevole della delicatezza del dossier, il presidente uscente Thierry Burkart si era mosso con largo anticipo per trovare una sintesi tra favorevoli e contrari. Solo che invece di avvicinarsi, le posizioni si sono irrigidite e oggi ai delegati verranno illustrate due tesi di segno opposto.
Ma il fatto di dichiarare apertamente le divisioni interne piuttosto che soffocare il dissenso, come era avvenuto nel 1992 con lo Spazio economico europeo, potrebbe facilitare il lavoro del vertice e di chi ha come prima priorità quella di non spaccare il partito.
Sullo SEE, la stragrande maggioranza dei delegati si schierò per il sì. Da un sondaggio post-voto, però, risultò che solo il 62% degli elettori liberali votò a favore dell’adesione. Il 38% si espresse contro, seguendo le indicazioni di due pezzi da novanta della politica nazionale, come Jean-Pierre Bonny e Otto Fischer, rimasti in minoranza nel partito. Il PLR fece le spese della frattura prodotta da quella storica votazione popolare. Da allora, l’UDC è costantemente cresciuta, erodendo molti consensi in casa liberale, fino a diventare la prima forza politica svizzera.
Il dilemma ora si ripresenta e rischia di essere pagato a caro prezzo. La questione europea non ha cessato di creare tensioni, al di là del sostegno, mai venuto meno, alla via bilaterale classica.
Nel 1995 il partito inserì nel programma l’adesione a lungo termine all’UE, per poi fare una decisa retromarcia nel 2010. In quell’occasione i delegati dissero no a larga maggioranza anche a una nuova intesa sul modello dello SEE e a un Accordo quadro.
Quest’ultimo tornò sul tavolo qualche tempo dopo. Inizialmente scettico sulla necessità di concludere un’intesa istituzionale con Bruxelles, nel 2019 il gruppo parlamentare saltò il fosso e a proposito del testo negoziato parlò di «un sì della ragione». Fu poi il Consiglio federale, due anni dopo, a chiudere in anticipo la partita con la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen.
Nel frattempo, molti hanno riconosciuto che rispetto a quella versione, la nuova sia stata migliorata in diversi punti. Anche per questo il pacchetto dovrebbe trovare il sostegno della maggioranza dei delegati. Un no è poco verosimile e sarebbe una sorpresa.
È probabile, tuttavia, che nella presa di posizione vengano elencate anche varie criticità, da correggere intervenendo sulle misure attuative interne (leggi svizzere), in particolare per quanto riguarda la ripresa del diritto europeo e il mercato del lavoro. Sarebbe quindi una sorta di «sì, ma».
Per evitare spaccature è anche possibile che si proponga di sottoporre il pacchetto al referendum obbligatorio, come chiedono i contrari. La doppia maggioranza di popolo e Cantoni, infatti, aumenterebbe la soglia di difficoltà per l’approvazione dei nuovi bilaterali.
L’esito e soprattutto la misura del voto di oggi saranno un segnale importante per capire il grado di coesione e quale direzione vuole prendere il PLR. In ogni caso, si tratta solo di un primo passo in un processo molto lungo.
Il dissenso su certe questioni di fondo è destinato a riemergere, soprattutto in un partito che per definizione non può ingabbiare la libertà di opinione. Il compito di gestirlo e soprattutto di tracciare la rotta con messaggi chiari spetterà alla nuova copresidenza, composta da Susanne Vincenz-Stauffacher e Benjamin Mühlemann.