Fact-checking

Il «prebunking», una nuova strategia per combattere le false notizie

Il meccanismo, che si contrappone al più conosciuto debunking, secondo alcuni ricercatori può essere visto come una «vaccinazione attitudinale»: ne parliamo in questa puntata di CdT Check
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Facta.News
06.09.2022 14:30

Il 24 agosto 2022 è stato pubblicato sulla rivista Science Advance uno studio riguarda un nuovo approccio nella lotta alla disinformazione di cui si parla molto negli ultimi mesi. Si intitola Psychological inoculation improves resilience against misinformation on social media (in italiano, «L'inoculazione psicologica migliora la resilienza contro la disinformazione sui social media») e analizza come educare il pubblico a proposito della disinformazione sia utile per cadere meno in errore, limitando le possibilità di considerare vere notizie che in realtà non lo sono. 

In inglese questa pratica viene indicata con il termine «prebunking», che si contrappone al più conosciuto «debunking». La differenza dei due termini è segnalata dal loro prefisso: nel primo caso si tratta di un intervento preventivo, nel secondo di una verifica dell’informazione in seguito alla sua circolazione. Scopriamo meglio di che cosa stiamo parlando. 

Prebunking ≠ debunking

Prebunking e debunking sono espressioni proprie del mondo del fact-checking. In entrambi i casi, si parla di strategie utili per contrastare il diffondersi di notizie false. 

Nel primo caso si tratta di un’azione preventiva. Il pubblico viene informato circa la presenza di alcuni filoni della disinformazione, vengono illustrate le principali tecniche con cui le notizie false sono create e le modalità con cui solitamente si diffondono. In questo modo, ci si augura che un pubblico consapevole abbia maggiori possibilità di riconoscere una notizia falsa o un contenuto potenzialmente dannoso e abbia quindi maggiori strumenti per proteggersi quasi «d’istinto». 

Un meccanismo che ha qualcosa in comune con la vaccinazione, che permette al nostro organismo di riconoscere il virus che lo colpisce: proprio per questo alcuni ricercatori parlano di prebunking come di una «vaccinazione attitudinale».

Il termine debunking, oggi più conosciuto rispetto a prebunking, indica invece la verifica delle notizie in seguito alla loro diffusione. Si tratta di individuare un dato contenuto e verificarne tutte le informazioni fattuali, così da stabilirne il grado di veridicità (o di falsità). In parole ancora più semplici, è attività che fanno, ogni giorno, progetti come Facta News. 

Che cosa dice il recente studio

Lo studio da poco pubblicato – e curato da dei ricercatori dell’Università di Cambridge insieme a Jigsaw, ramo di ricerca di Google che, tra le altre cose, si occupa della creazione di strumenti online utili a giornalisti e ricercatori – ha sottoposto un campione di utenti YouTube alla visione di una serie di video di 90 secondi in cui venivano spiegate le più comuni tecniche di manipolazione per la diffusione di notizie false. Giocare su emozioni come la paura, identificare un capro espiatorio, utilizzare false dicotomie, ricorrere ad argomenti incoerenti o che si escludono a vicenda, attaccare singoli individui sono solo alcuni esempi. 

In seguito, gli utenti (tra loro diversi per orientamenti politici e livello di istruzione) sono stati chiamati a completare alcuni sondaggi per testare le proprie capacità nel riconoscere se in una data notizia fosse stata utilizzata una qualche tecnica di manipolazione. 

È emerso che gli utenti che hanno visualizzato i filmati relativi alle strategie emotive con cui la disinformazione spesso viene diffusa avevano una probabilità di 1,5/1,67 volte maggiore di riconoscere la stessa tecnica di manipolazione in futuro. D’altra parte, coloro che hanno guardato i video relativi alle false dicotomie hanno quasi il doppio delle probabilità di riconoscere la tecnica (e quindi di non cadere in errore). In generale, dopo la visione dei contenuti di prebunking, la capacità degli utenti di riconoscere le tecniche di manipolazione è aumentata in media del 5 per cento.

Alcune tecniche di prebunking…

Come raccontato da First Draft nel 2021, il prebunking non è una tecnica univoca e, ad oggi, può essere messo in pratica in almeno tre modi: il prebunking basato su fatti e dati, quello basato sulla logica e quello basato sulle fonti.

Nel caso in cui l’azione di prebunking sia basata sui fatti e i dati, il processo consiste nel correggere una specifica narrativa falsa, fornendo all’utente gli strumenti utili per interpretare correttamente un dato o una statistica. Una volta insegnato come funziona un certo strumento, l’utente sarà in grado di verificare in autonomia se un dato è corretto o meno.

La seconda tecnica è quella utilizzata nello studio di cui abbiamo appena parlato e incentrata sulla logica: spiegare all’utente le principali tecniche utilizzate per la diffusione di false notizie è utile per renderle riconoscibili in futuro, qualsiasi sia il contesto in cui vengono inserite. Questo secondo metodo è quello che, finora, ha dimostrato il maggior successo.

Infine, c’è il prebunking basato sulla fonte. Indicare all’utente le fonti inaffidabili può essere una buona strategia per limitare la diffusione di false notizie.

…e qualche critica

Come succede con qualsiasi novità, anche per il prebunking non si delinea un futuro semplice. Sono infatti già state mosse alcune critiche a questo metodo come, ad esempio, il fatto che il sistema si basi su una precedente scelta di ciò che è disinformazione e ciò che non lo è. Ma a chi spetta questa scelta? Chi stabilisce quale strategia comunicativa può rientrare nella categoria della manipolazione e quando non è così? La presenza di colossi come Google impegnati in simili ricerche spesso spaventa il pubblico e potrebbe minarne la fiducia. 

Inoltre, nelle mani sbagliate il prebunking potrebbe essere un altro strumento con cui diffondere false notizie, facendo sì che la disinformazione possa sfruttare a proprio vantaggio le scoperte fino ad ora fatte da chi vorrebbe arginarla. Jon Roozenbeek, uno degli autori dello studio, ha precisato che il prebunking non può essere considerato l’unica strategia nella lotta alla disinformazione, ma deve essere sempre accompagnato dalle altre tecniche e accorgimenti fino ad oggi messi in pratica.

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