Il personaggio

«Il Risorgimento passò da Capolago, crocevia dimenticato di idee»

A colloquio con Pietro Berra, giornalista culturale: «Un luogo che contribuì all'Unità d'Italia»
© Shutterstock
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
18.12.2022 15:30

Una barca attracca a Capolago. Arriva da Lugano. Come tutte. Come tutte le imbarcazioni che attraversano il Ceresio verso Sud. Perché il ponte diga di Melide non c’è ancora e chi vuole andare a Como o a Milano dal Ticino ha solo un’alternativa veloce. Salire su una barca, appunto e sbarcare a Capolago, che «a quel tempo era un punto di snodo di importanza europea», dice Pietro Berra, giornalista culturale per il quotidiano di Como, La Provincia, che a Capolago, anzi, alla Tipografia Elvetica e alle persone che la animarono nella prima metà dell’Ottocento ha dedicato un libro, Il contrabbandiere di libri, stampato, guarda caso, dalla Tipografia Helvetica, casa editrice rinata sulle ceneri di quella senza la H, che tra il 1830 e il 1853 è stata la tipografia clandestina dei patrioti del Risorgimento italiano.

Una figura dimenticata

Quasi un cerchio che si chiude, anzi si apre. Perché ai patrioti italiani che a Capolago gettarono le basi dell’Italia unita fino a oggi non era stata data ancora abbastanza luce. Non era. Perché se si esclude un obelisco che ancora oggi campeggia sul lungolago di Capolago in pochi ad esempio sanno chi è stato Luigi Dottesio, uno dei personaggi reali protagonista del romanzo storico di Berra. Non una figura marginale, quella di Dottesio, eppure quasi dimenticata. Non solo in Svizzera. Ma anche in Italia. «L’idea di far rivivere senza retorica alcuni dei personaggi del Risorgimento italiano mi è venuta per molti motivi - spiega Berra - uno è che l’epoca risorgimentale è stata un periodo nel quale i protagonisti si sono battuti per ottenere molte libertà e conquiste: si pensi solo alla battaglia per far attraversare il confine alla ferrovia svizzera che gli Austriaci hanno osteggiato fino alla fine». Un cerchio che si apre e si chiude in continuazione, visto che l’obelisco dedicato a Dottesio è stato eretto nel 1911 proprio accanto ai binari che corrono veloci verso l’Italia.

Vincenzo Vela, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi. Sono molti i personaggi che hanno gravitato attorno alla Tipografia Elvetica aperta nel 1830 dall’esule genovese Alessandro Repetti «su idea del Dottesio - riprende Berra - che fu un martire della libertà di stampa, perché non solo progettò l’idea della casa editriche ma organizzò anche il contrabbando dei libri vietati dagli austriaci e ritenuti invece da Giuseppe Mazzini l’arma più potente a disposizione dei rivoluzionari. Tuto questo, avvalendosi degli spalloni attivi sui monti tra il Canton Ticino e il lago di Como nonché di una rete di librai militanti diffusa in tutto il Lombardo-Veneto».

La fine tragica

Una circolazione delle idee oltre che delle persone. Idee rivoluzionarie e per questo represse insieme agli uomini e alle donne che le diffondevano dagli oppressori, gli Austriaci. A farne le spese fu soprattutto Dottesio che venne catturato, arrestato e infine ucciso nel 1851 a Venezia. Una fine tragica, disumana ma ancheincomprensibile. «Una fine di cui non riuscirò mai a liberarmi - confida Berra - perché da Silvio Pellico in poi Dottesio è l’unico a venir impiccato solo per aver diffuso dei libri. L’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria non concesse la grazia. Cosa che invece accadde a Giuseppina Bonizzoni, la donna a cui era legato Dottesio, che finì a sua volta in carcere per le sue idee. Tra loro, tra l’altro, era nata una modernissima storia d’amore interclassista».

La vendetta

Vita, morte e amore, quindi. Perché il libro ripercorre anche questa storia. Una storia d’amore tra un’agiata madre di sei figli e un comasco di umili origini mosso da fervidi ideali che dei sei figli non era neppure il padre. «Nonostante le ripetute richieste e i tentativi la Bonizzoni dovette aspettare 27 anni per riavere i resti del suo amato». Un supplizio. Che sa tanto di vendetta. «Una settimana prima dell’esecuzione mortale di Dottesio, l’imperatore Francesco Giuseppe fece una visita a Como e il palco dal quale avrebbe dovuto parlare fu trasformato dai lariani in latrina...», osserva Berra. Uno sgarro di troppo da parte di una città che si era dimostrata ostile agli Austriaci anche in passato. Nel 1848 anche i comaschi, come i milanesi, si erano sollevati seppur per pochi mesi all’Impero e tra i ribelli c’era guarda caso anche Dottesio che dopo l’insurrezione aveva perso anche il suo lavoro in Comune e aveva riparato in Ticino. Uno sgarro di troppo che il fervido idealista pagò con la vita.

Il tiramisù

Questi e altri anedotti sono racchiusi tra le 370 pagine del libro. Una pubblicazione non proprio agilissima. Volutamente. Perché l’autore ha scavato tra lettere, documenti e carteggi per cinque anni prima di dare alle stampe il volume. Un’operazione non priva di difficoltà costata inoltre molto lavoro. Ma anche un’operazione unica. Perché prima di Berra «soltanto Ignazio Silone aveva fatto qualcosa di simile sulla Tipografia Elvetica, organizzando una mostra sulla casa editrice in Senato a Roma durante il ventennio fascista».

Vita, morte, amore ma anche curiosità sono emerse dai carteggi. Come quella che lega una contessa di Treviso, Giuseppina Tiretta, al tiramisù, il classico dolce italiano. Anche lei patriota. Anche lei cercò di salvare la vita al Dottesio senza riuscirci. E anche lei finita nei libri di storia «per aver unito tra loro tre ingredienti delle tre regioni del Nord Italia, dando vita al tiramisù», annota Berra.

Oggi Capolago non è più uno snodo d’importanza europea e neppure un crocevia di patrioti risorgimentali. A ricordare quel periodo è rimasto un obelisco con una targa dedicata a un comasco quasi sconosciuto, ma anche una casa editrice con la H davanti ad Elvetica e un libro sul Risorgimento nato «a casa dello scrittore Gianni Biondillo - rivela Berra - Con noi c’era anche Milo Miler che si sorprese che io conoscessi la storia della tipografia». Uno sguardo, qualche parola e l’idea non era più sulla carta. Anzi sì. Ma questa è un’altra storia. La storia del contrabbandiere di libri.

In questo articolo: