La storia del totocalcio

Il sogno di diventare milionario che trascina una Nazione

Prima dell’avvento del concorso, il calcio non era lo sport più popolare in Italia - Emergono i primi scandali scommesse
(foto CdT)
Stefano Olivari
09.02.2019 06:00

Il Totocalcio non ha futuro ma il suo grande passato è fondamentale per capire la storia d’Italia del Dopoguerra. «Vado a giocare alla SISAL» è un’espressione che qualunque italiano dai quarant’anni in su ha sentito uscire dalla bocca del proprio padre. Sebbene la denominazione Totocalcio sia arrivata già nel 1948, per tutti i giovani italiani usciti dalla guerra, il gioco sarebbe infatti rimasto «la SISAL». Questa premessa non è fine a sé stessa, ma è necessaria per capire che un gioco mai visto prima e riguardante uno sport che all’epoca non era il più popolare in Italia – a quei tempi stravincevano infatti ciclismo e boxe, il sorpasso mediatico del calcio è storia solo degli anni Sessanta – ebbe la fortuna di capitare nel momento giusto, con il primo concorso un mese prima del referendum Monarchia-Repubblica. In un’Italia povera ma affamata di sogni, che si aggrappava a quel pezzetto di carta sperando che il ricevitore, quasi sempre anche tabaccaio, non avesse perso le matrici. Bisogna poi ricordare che agli albori del gioco le ricevitorie offrivano premi per così dire a margine, a volte anche case o auto, contando sull’estrema difficoltà dei pronostici, con il risultato di scatenare una passione che andava ben al di là di quella per il calcio. Il vero avversario in questa corsa all’oro era il Lotto, ma il Totocalcio fin da subito ebbe una sua ritualità che conquistò le masse. Soprattutto quelle maschili, con percentuali molto oltre il 90%: fino a quasi i giorni nostri è stato quasi impossibile vedere una donna in una ricevitoria italiana, nonostante l’interesse femminile per il calcio sia molto aumentato.
Per tanti il Totocalcio divenne quasi un secondo lavoro, come giocatori e anche come scrutatori. Tutto veniva infatti controllato soltanto da esseri umani. Alle 19 della domenica circa 300 incaricati si dedicavano allo spoglio di tutte le matrici di tutte le giocate arrivate anche dalla più remota provincia. Spoglio manuale, finendo il giorno dopo e generando contenziosi legali infiniti perché qualche matrice vincente poteva sfuggire, non essere stata spedita in modo corretto dal ricevitore o riportare qualche errore di compilazione. Anche nell’aumento del prezzo per colonna (la giocata minima era di due colonne) ci sono storia, politica e avidità italiane, ma soprattutto inflazione. 30 lire a colonna nel 1946-47 (come potere d’acquisto equivalenti a 1,2 franchi di oggi), 50 dal 1948, 75 dal 1962 (dopo 14 anni allo stesso prezzo questo aumento fece scalpore), 100 dal 1970, 150 dal 1975, 175 dal 1976, 200 dal 1980 e 250 dal 1981. E proprio negli anni Ottanta che il Totocalcio esplose come fenomeno di massa, grazie alle mille trasmissioni delle giovani tivù locali e ai primi personal computer con una certa diffusione. Un gioco che rimaneva saldamente nelle mani dello Stato e in cui il banco non poteva perdere, visto che il 26,80% del totale delle giocate andava proprio allo Stato, il 26,20 al CONI (il comitato olimpico, che poi li distribuiva alle varie federazioni), l’8 alle spese di gestione e soltanto il 38 al montepremi. In altre parole, se tutti avessero vinto sarebbe tornato indietro comunque solo il 38% di quanto giocato.

Dal primo montepremi, 463.846 lire (18.000 franchi del 2019), la strada percorsa è stata tanta ed i nomi dei primi milionari sono rimasti nella memoria collettiva. Già all’ottavo concorso, sempre nel 1946, si superò la fatidica soglia del milione: con 1.696.000 lire a testa festeggiarono una casalinga di Bologna e un disoccupato di Genova. Il primo a cambiare vita sul serio fu nel 1947 un falegname di Treviso, Pietro Aleotti, con 64 milioni: circa un milione e mezzo di franchi odierni. Negli anni Ottanta ci fu una crescita incredibile di interesse e montepremi, nonostante soprattutto nelle grandi città la concorrenza del Totonero, che nel 1980 portò al primo grande scandalo scommesse del calcio italiano. E il Totocalcio divenne per certi versi uno dei simboli dell’Italia ottimista di quegli anni, allo stesso modo in cui lo era stato durante la ricostruzione post-bellica. L’informatizzazione intanto aveva permesso di calcolare in poche ore vincitori e vincite, che venivano ufficializzati durante la prima trasmissione che mostrava i servizi delle partite: Novantesimo Minuto, in onda su Rai Uno poco dopo le 18. E il gioco,da individuale, divenne in molti casi collettivo attraverso sistemi elaborati dal computer in base a parametri dati (triple, doppie, numero di errori possibili per colonne, eccetera) e soprattutto la cosiddette «carature», cioè piccole quote di sistemi costosissimi che venivano messe in vendita singolarmente nei bar. Il paragone con gli odierni sindacati di scommettitori fa quasi tenerezza, ma un po’ rende l’idea.
Fa impressione ricordare come gli anni d’oro del Totocalcio siano relativamente recenti, mentre è scontato osservare che il declino è iniziato ben prima della legalizzazione delle scommesse a quota fissa nel 2006. Con la diffusione di Internet, a metà degli anni Novanta, i giocatori più evoluti hanno iniziato a frequentare i siti inglesi ed il processo è stato irreversibile. Da lì il Totocalcio è uscito dalle abitudini dei più giovani e dal parlare comune, fatta eccezione per l’uso di 1, X e 2 per sintetizzare un risultato, anche se ancora nel 2004 la raccolta di Totocalcio e dei mai decollati giochi collegati (Totogol e 9) era di 443 milioni di euro.
Ci potrà mai essere un altro Totocalcio in Italia? La risposta è un facile no, perché la sua ritualità si innestava in quella del campionato, con tutte le partite alla stessa ora della domenica. Una ritualità durata fino al 1993, con i primi contratti con la pay-Tv e i primi posticipi. Oggi resta solo la nostalgia per quel mondo perduto, fatto di abitudini un po’ provinciali ma anche molto umane. O forse eravamo solo più giovani.