Salute

In aumento i bambini diabetici, e sono sempre più piccoli

Nell’ultimo decennio i casi diagnosticati sono cresciuti, specialmente nella fascia di età sotto i cinque anni - In Ticino si contano un centinaio di pazienti - Il dottor Piero Balice: «Con il progresso scientifico, la qualità della vita è molto migliorata»
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Martina Salvini
16.05.2024 06:00

«Fino a vent’anni fa, i casi di diabete venivano diagnosticati principalmente a bambini tra gli 8 e i 13 anni. Oggi, invece, assistiamo a un aumento esponenziale tra i bambini sotto i 5 anni». Il dottor Piero Balice, specialista in endocrinologia e diabetologia pediatrica, racconta l’accelerazione subita dalla malattia autoimmune negli ultimi anni. Il diabete di tipo 1, a differenza del passato, colpisce oggi molti più bambini, soprattutto piccoli. «L’età media in cui l’incidenza è aumentata in modo importante è di 3-4 anni. Tuttavia, tra i miei pazienti ci sono anche bebè di 11 e di 18 mesi», spiega il medico dell’EOC. Negli ultimi dieci anni, racconta, il numero delle diagnosi è cresciuto. In Ticino, come nel resto del mondo. «Subito dopo la pandemia, avevamo avuto l’impressione che la crescita dei casi avesse subito un’impennata. Dal 2022 al 2023, infatti, eravamo sopra la media. Quest’anno, invece, siamo leggermente al di sotto. Il trend, comunque, è chiaro: i casi stanno aumentando». Ma se la tendenza appare chiara, più difficile è identificarne la ragione. «Con ogni probabilità, stiamo assistendo a una sorta di selezione immunitaria, così come a un’attenzione accresciuta alla diagnosi». I fattori, insomma, sembrano essere molteplici. «Dopo la pandemia si è fatta largo l’ipotesi che potesse esserci una correlazione diretta tra l’infezione causata dal COVID e l’insorgenza del diabete di tipo 1. Al momento, però, non ci sono studi che lo attestano».

Diagnosi difficile

Il fatto che ad ammalarsi siano sempre più spesso bambini molto piccoli, rende la diagnosi particolarmente complessa. «Normalmente, nei casi di diabete 1 il bambino inizia a bere molto e a fare tanta pipì. A questo si accompagna poi un maggiore appetito, ma anche una perdita di peso. Gli step successivi sono l’acidosi, con il bambino che comincia a respirare male e in maniera accelerata, a vomitare e infine il coma. Noi speriamo sempre di riuscire ad arrivare alla diagnosi alle primissime avvisaglie, quando cioè il bambino inizia a bere molto». Il problema, però, è che se nei bambini più grandi i genitori possono accorgersi velocemente del cambiamento in atto, nei piccoli è più complicato, visto che portano ancora il pannolino. Fondamentale, in questo caso, è l’occhio attento del pediatra, anche perché spesso il diabete di tipo 1 si manifesta in concomitanza con altre malattie: «Se un bambino tossisce e presenta raffreddore, la difficoltà nella respirazione può essere associata al malessere generale. Per questo cerchiamo di sensibilizzare i pediatri, in modo da renderli attenti a cogliere i primissimi segnali della malattia».

I numeri in Ticino

In Ticino, il dottor Balice segue 110 tra bambini e ragazzi fino ai 20 anni. «In media, contiamo tra i 10 e i 15 nuovi casi ogni anno. Numeri in linea con gli altri cantoni». Ma come si cura un bambino con diabete? «Più andiamo avanti con gli anni e più il progresso scientifico ci viene incontro con tecniche moderne. Oggi, ad esempio, disponiamo di pompe ad insulina ibride, collegate con sensori transcutanei capaci di leggere la glicemia in modo praticamente continuo», premette il medico. «La cura si basa su tre punti principali: la cognizione di cosa si mangia, valutando quindi l’apporto di carboidrati; il controllo del livello di glicemia e la somministrazione dell’insulina». La terapia viene però modulata sulla base del singolo paziente, «cucita addosso a lui», in base ai suoi bisogni e a quelli della famiglia.

In mancanza di una cura che permetta di guarire, ancora oggi si è costretti a convivere con il diabete. «Negli ultimi vent’anni, però, la qualità di vita per il paziente è cambiata radicalmente. Oggi, chi ha il diabete di tipo 1 può fare praticamente tutto. In più, gli ultimi studi hanno dimostrato che la speranza di vita, nei pazienti diabetici, è più alta. E questo perché imparano a condurre una vita molto più sana rispetto agli altri». Le difficoltà, tuttavia, non mancano, specialmente nel momento in cui viene diagnosticata la malattia o durante le diverse fasi di crescita del paziente. «Il momento più delicato - racconta il dottor Balice - è l’adolescenza, perché è una fase di transizione in cui il ragazzo deve essere accompagnato passo per passo». Altrettanto impegnative, però, sono le primissime fasi: «Curare il diabete è un lavoro di squadra. Oltre a me, ci sono anche una psicologa, una dietista e una infermiera in diabetologia. È importante che tutto il personale sia disponibile per supportare i pazienti. Le famiglie devono sapere che noi ci siamo per loro. Che non sono sole in caso di bisogno».

Alla ricerca di autonomia

Quando si scopre che il proprio figlio ha il diabete, ripete ancora Balice, il contatto con il personale è fondamentale, come lo è l’accompagnamento. «Al contempo, però, bisogna fare in modo che i genitori non sviluppino un’eccessiva dipendenza da noi. Per questo cerchiamo di impegnarci per assicurare un ricovero breve, per fornire istruzioni precise e mantenere i contatti a domicilio». In Canada, racconta sempre Balice, dove i pazienti diabetici sono numerosi e dove hanno sede gli ospedali più all’avanguardia, al momento della diagnosi i bambini rimangono in ospedale solo tre giorni. «Da noi i tempi sono superiori, si va dai 5 ai 7 giorni. Ma dobbiamo anche pensare che fino a vent’anni fa il ricovero durava un mese. Il nostro compito è quello di sensibilizzare le famiglie, istruirle, ma anche permettere che possano tornare a casa loro, alla loro vita nel più breve tempo possibile. Altrimenti c’è il rischio che si sviluppi un’eccessiva dipendenza dai curanti». Una volta rese autonome nel percorso di cura quotidiana, però, le famiglie vanno comunque sostenute nel tempo. «Per questa ragione, racconta il medico, abbiamo deciso di organizzare consulti che vanno al di là dell’aspetto medico. Incontriamo le famiglie per stare al loro fianco e organizziamo per i bambini colonie estive, affinché possano vivere questa esperienza di gruppo pur restando sotto controllo medico». Nonostante la progressione dei casi di diabete di tipo 1 - e la mole di lavoro accresciuta - il dottor Piero Balice non si dice preoccupato. «Per fortuna, proprio considerando le cifre in aumento, negli ultimi anni non siamo rimasti fermi. Siamo riusciti ad ampliare la nostra équipe, in modo da non farci travolgere e riuscire a seguire tutti i pazienti».

Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune, «indipendente cioè dall’alimentazione e dallo stile di vita», chiarisce il dottor Balice. Al contrario, quello di tipo 2, è strettamente correlato a un’alimentazione scorretta o a uno stile di vita sedentario: «L’obesità e la sedentarietà, legati ad una predisposizione genetico-famigliare, creano i presupposti per l’insorgere della malattia». Fino a poco tempo fa, in effetti, il diabete di tipo 2 era associato all’età avanzata (diabete senile). «Oggi non è più così, noi ad esempio seguiamo anche due quindicenni affetti da diabete di tipo 2».

La storia di Adriana:«Prima c’è stato lo spavento, ora è una nuova normalità»

Adriana aveva poco più di sei anni, quando sua madre si accorse che qualcosa non andava. «Era il 2019, poco prima di Natale. Mi ero resa conto che Adriana aveva perso peso e, soprattutto, che di notte aveva ripreso ad alzarsi per fare la pipì», racconta Hélène Miscoria. A spingerla dalla pediatra, però, fu un episodio molto preciso. «Adriana si era avvicinata per abbracciarmi e ho sentito dall’alito che aveva l’acetone. Visto che ci stavamo preparando a partire per le vacanze, decidemmo di andare a fare una visita». La misurazione della glicemia nel sangue rese tutto più chiaro: Adriana aveva il diabete di tipo 1. «Il livello standard è 5-6 millimoli per litro (mmol/l), quello di Adriana era a 22: elevatissimo», dice il papà Raffaele. Il primo pensiero dei genitori andò al futuro: «Non conoscendo la differenza tra diabete di tipo 1 e quello di tipo 2 (si veda il box sopra, ndr), all’inizio ci siamo chiesti: per nostra figlia sarà una vita senza zuccheri e piena di condizionamenti? Non è stato facile da metabolizzare». Già guardando su internet, raccontano, avevano avuto il sentore che potesse essere diabete. «In qualche modo, questo ci ha preparati al momento della diagnosi e lo shock è stato in parte attutito». I giorni seguenti, però, costrinsero mamma e figlia in ospedale a Ginevra (dove vivevano allora) per gli esami, la diagnosi definitiva e l’istruzione sulle cure da seguire. «Dieci giorni che non potremo dimenticare», dice Hélène. «Adriana, vedendo tutti quei tubicini, era spaventata. Non capiva bene cosa stesse succedendo. I medici le hanno spiegato che il suo pancreas non funzionava, ma che lei non aveva fatto nulla di sbagliato e, soprattutto, che non era colpa sua. Noi genitori, invece, abbiamo usato un parallelismo: esattamente come alcuni bambini devono portare gli occhiali, ce ne sono altri che devono usare la pompa di insulina». Non vuole parlare di malattia, Hélène. «Perché da una malattia di solito si guarisce o si muore. In questo caso, invece, dovremo farci i conti per tutta la vita. È una condizione cronica».

A dare una mano, raccontano, ci sono i progressi tecnologici. «Oggi nostra figlia ha una pompa per insulina senza fili che le consente di avere grande libertà. E, soprattutto, non le preclude nulla: Adriana scia, fa un sacco di attività ed esce con le amiche in totale autonomia». Insomma, dicono con forza i suoi genitori, «oggi, a differenza di vent’anni fa, il diabete non è più una condizione invalidante. E questo deve essere tenuto ben presente. Allo stesso modo, però, bisogna anche essere consapevoli che alle persone diabetiche non è consentito potersi lasciare andare del tutto, perché le conseguenze per la loro salute potrebbero essere gravi. Adriana lo sa e, ora che ha 11 anni, dimostra di essere una ragazzina molto responsabile».

Di fronte a una diagnosi di diabete 1 in bambini così piccoli, dicono Raffaele ed Hélène, a fare la differenza è soprattutto l’atteggiamento della famiglia: «Siamo entrati in un nuovo meccanismo e oggi abbiamo costruito una routine che ci permette di vivere una vita normale. Certo, all’inizio è stata dura. Adriana ha faticato ad accettare la nuova condizione, vivendo un mix di emozioni tra rabbia, frustrazione e rigetto», spiega Raffaele. «È fondamentale - dice Hélène - non sottovalutare il peso mentale della gestione del diabete. Non solo per i ragazzi, ma anche per la famiglia. Ci sono coppie che si separano perché è un fardello troppo grande e genitori che devono lasciare il lavoro per gestire i bambini, soprattutto se piccoli». Attorno, sia da parte della scuola che delle altre mamme, la famiglia Miscoria finora ha sempre trovato collaborazione e comprensione. «Ma sappiamo che non sempre le cose vanno così e questo è molto pericoloso, perché si rischia di far sentire i bambini diabetici diversi, isolandoli».