In fiamme per la causa tibetana

«Il Dalai Lama? L?ho visto piangere per questo dramma. Tenzin Gyatso, infatti, si trova in una situazione molto difficile. Ovviamente non può incoraggiare una forma di lotta tanto estrema, ma nemmeno condannarla senza possibilità di appello perché si rende conto che è espressione della disperazione del suo popolo, contro cui non può fare nulla». A parlare è Claudio Cardelli, presidente dell?Associazione Italia-Tibet attiva da decenni «nella promozione della cultura tibetana e nell?aiuto per il ritorno della democrazia nel Paese». E il dramma a cui fa riferimento è quello delle «torce umane», ovvero i tibetani che cercano la morte dandosi fuoco «in segno di protesta contro l?occupazione cinese del Tibet». Secondo dati recenti, sarebbero 95 le persone che si sono auto-immolate in Tibet dal 27 febbraio del 2009 (82 uomini e 13 donne) oltre a 5 tibetani in esilio. E il fenomeno si sarebbe intensificato negli ultimi mesi dell?anno appena trascorso. Anche alle nostre latitudini arrivano immagini agghiaccianti di monaci, monache o civili avvolti dalle fiamme, dai tratti deformati dal dolore (come quella che vi proponiamo a lato), mentre gridano al mondo: «Voglio che il Dalai Lama ritorni nella sua terra e che il Tibet venga governato dai tibetani». Istantanee che ci choccano, ma nemmeno più di tanto – Tv e videogiochi ci hanno abituati a cose peggiori – e vengono presto dimenticate. Vi proponiamo queste pagine affinché questo non accada. Claudio Cardelli, quando è iniziata questa estrema forma di protesta? «Il primo monaco ad auto-immolarsi per la causa tibetana è stato Pawo Thupten Ngodup, nel 1998, a Nuova Delhi. La sua storia? Il giovane faceva parte di un gruppo di militanti del Tibetan Youth Congress (un?organizzazione non governativa che chiede l?indipendenza del Tibet dalla Cina, n.d.r.) che per quasi cinquanta giorni si è astenuto dal cibo per manifestare il suo dissenso. Lo sciopero della fame si è concluso tragicamente il 27 aprile, quando Pawo Thubten Ngodup decideva di immolarsi, cospargendosi di benzina e dandosi fuoco, piuttosto di consegnarsi alla polizia indiana che, con la forza, voleva porre termine all?azione di digiuno. Questa estrema forma di lotta si è intensificata negli ultimi anni, dal 2009 si sono registrate un centinaio di auto-immolazioni». Perché darsi fuoco? Perché non portare avanti le proprie rivendicazioni in altro modo? «Su questi gesti estremi si dibatte moltissimo anche all?interno della comunità tibetana. Molti si chiedono se la violenza contro se stessi sia contraria o meno ai principi del buddismo. Come ci si è arrivati? A partire dagli anni Settanta il popolo tibetano, in Tibet e in esilio, ha prevalentemente optato per forme non violente di lotta. L?idea di bruciare se stessi, e quindi di non danneggiare l?avversario, viene da questa impostazione...».