Il reportage

In prima linea contro il virus, mille militi e decine di scenari

Racconti, retroscena e curiosità di chi era al fronte con la Protezione civile nei mesi «caldi» dell’emergenza sanitaria, da febbraio a giugno
Jona Mantovan
29.07.2020 06:00

La Protezione civile è stata in prima linea, sin dai primi giorni, nella lotta al coronavirus. Oltre mille militi hanno prestato servizio e sono diventati il simbolo di un 2020 che entrerà nella storia. Già dalla fine di febbraio le prime tendine facevano capolino agli ingressi dei pronto soccorso. Ma questo era solo l’inizio.

Quell’operazione segreta

Lorenzo Manfredi, comandante della Regione 3 (Locarno e Vallemaggia), con l’inizio dell’anno ha assunto l’incarico di coordinatore dei sei consorzi: «Neanche il tempo di entrare nel ruolo – è a rotazione – che mi è piombata addosso questa emergenza!», dice. E racconta uno dei retroscena più inquietanti: «Le cifre allarmanti del fenomeno che arrivavano dall’Italia erano rapportate alla realtà ticinese. Avevamo il timore che il virus potesse provocare molti più dei 350 morti che abbiamo avuto».
D’accordo con lo Stato Maggiore Cantonale di Condotta, parte l’Operazione crisantemo. «Studiavamo una soluzione per dare supporto al lavoro delle imprese di pompe funebri», spiega il comandante-coordinatore. «Gli impianti della pista di ghiaccio della Resega erano pronti per essere accesi. Alla base aerea di Locarno una struttura provvisoria sarebbe servita a gestire le salme. Le scenario non si è mai concretizzato, come quello che prevedeva l’uso di letti nei bunker sotterranei degli ospedali. Ci è andata bene, insomma».

Un’altra operazione è stata decisamente più positiva: «Un primo passo verso la normalità è avvenuto con le ‘zone incontro’ nelle case per anziani», conferma Manfredi. «Ormai dovevamo convivere con il virus. Le famiglie volevano visitare i loro cari, isolati da varie settimane. La prima l’abbiamo allestita all’istituto anziani San Carlo a Locarno il 23 aprile e nel giro di poco tempo erano in una decina di strutture». Le zone incontro sono come ‘salotti protetti’, locali con ingressi separati per pazienti e famiglie in visita, dotati di finestrone in plexiglas all’interno. I familiari si possono vedere in sicurezza, mentre le conversazioni avvengono con un sistema di citofoni.
«Un altro momento da ricordare è stato quando abbiamo smantellato il presidio all’ospedale La Carità a Locarno, da inizio marzo ‘centro covid’, a cui poi si è aggiunta la clinica Moncucco». Quella tenda arancione di fronte al pronto soccorso è stata la più filmata e fotografata della Svizzera italiana. «Era il simbolo della pandemia, trasmetteva tutta l’emergenza e la ‘non normalità’ della situazione». Allestita il 3 marzo, è stata smontata il 27 aprile insieme al presidio all’ingresso dell’ospedale, mentre la serie di box in legno che ha permesso il trasferimento di una parte del nosocomio all’esterno, è stata dismessa a metà giugno.

Sempre al fronte...

E sono proprio i presidi le prime misure messe in campo, già verso la fine di febbraio. «Il ruolo dei militi, che si sono fatti avanti senza indugio, è stato accolto con gratitudine da tutti, racconta Aldo Facchini, comandante della Regione 5 (Lugano Città). Pensavamo che molti avessero paura di contrarre il virus, dato che erano i più esposti. E invece... Complice, forse, la chiusura forzata di quasi tutte le aziende, avevamo grande disponibilità di persone. La buona volontà non è mancata».

Come la riconoscenza da parte della popolazione, testimoniata da varie iniziative di solidarietà. E la visibilità. «Abbiamo lavorato affinché la ‘macchina della giustizia’ potesse riprendere a muoversi, mettendo a disposizione il nostro centro di formazione a Rivera–spiega Facchini–per l’occasione trasformato in un’aula di giustizia che rispettasse i ‘critieri coronavirus’. Senza dimenticare il servizio al Parlamento, con la sessione extra muros al Palazzo dei congressi dal 25 maggio».
Il bisogno di comunicare ha messo in gioco le reti sociali. «La popolazione era alla costante ricerca di informazioni. Abbiamo dato vita a profili istituzionali sulle principali piattaforme. Sfruttando le nuove tecnologie, pubblicavamo aggiornamenti su operazioni anche lontane dai riflettori ma sempre importanti», conclude Facchini.

...e anche dietro le quinte

Dall’altra parte del filo, al numero gratuito messo in funzione per rispondere a tutte le domande sul nuovo virus, «c’erano i giovani in tuta verde e arancione», sottolinea Oliver Herrchen, comandante del consorzio del Bellinzonese (Regione 2), che snocciola i numeri dell’operazione: «Oltre 530 giorni di servizio svolti dai militi delle sei regioni, che hanno permesso agli addetti del 144 di concentrarsi sulle richieste di emergenza».
I telefoni dello stanzone a Breganzona, pieno di cavi, schermi e lavagne con appunti e indicazioni, non smettevano mai di squillare: «Arrivavano fino a 600 chiamate al giorno, più del triplo di quanto può gestire la centrale di Ticino Soccorso». E non è un segreto che molte di queste richiedevano «un supporto psicologico nei confronti di chi voleva parlare delle conseguenze dell’emergenza sanitaria».

I militi, come quelli del tracciamento dei contatti, ricevevano una formazione specifica. Il caso della recluta nel locale bellinzonese a inizio luglio, poi, ha reso necessario il potenziamento di quest’altro servizio, indispensabile per frenare le catene di contagio: «Ci hanno lavorato in più di 45, dalle sei regioni», precisa Herrchen, che commenta anche l’attività di supporto alla Centrale comune di allarme: «Abbiamo concretizzato una nuova figura nella Protezione civile, quella dello specialista per l’aiuto alla condotta, che ha dato man forte allo Stato Maggiore di Condotta Cantonale. Oltre, ovviamente, a presidiare con due militi l’ingresso della centrale cinque giorni su sette». Attività poco conosciuta come quella dei ‘centri quarantena’: «Nel caso in cui qualcuno, magari in Svizzera per una visita ai parenti, dovesse essere confinato ma non avesse la possibilità di stare isolato in un’altra stanza».

Tantissimi chilometri

I furgoni delle sei regioni non hanno mai girato come in questi mesi. Lo conferma Marco Quattropani, comandante della Regione 6 (Mendrisiotto): «Al di là delle cifre ci sono le persone. Ricordo di quella volta che bisognava consegnare del materiale. ‘Un lavoro di un’oretta’, ci siamo detti. E invece il furgone non passa per quella rampa. Bisogna scaricare a mano e inizia a diluviare. I nostri due professionisti, rientrati solo la sera, si son beccati una lavata!».
Quattropani conferma che i furgoni della sua regione hanno visto tutti gli angoli del cantone, dato che servivano per la consegna del materiale sanitario a svariati istituti. «Soprattutto mascherine, ne abbiamo contate due milioni e mezzo. Ogni mattina due militi si presentavano davanti all’ufficio del farmacista cantonale, a Mendrisio».

Ma anche le altre regioni non erano ferme. Per esempio per il servizio ‘taxi tampone’. «Ogni regione metteva a disposizione un numero a cui gli studi medici si potevano rivolgere per il ritiro dei tamponi. Cosa che ha permesso di dimezzare i tempi per ottenere i risultati delle analisi».

Soluzioni a portata di mano

Claudio Hess, comandante dela Regione 4 (Lugano Campagna), ricorda l’apertura dei centri di consultazione ambulatoriale verso fine marzo: «C’erano ad Agno, Giubiasco, Lugano e Mendrisio e il 6 aprile se ne sono aggiunti altri due, a Locarno e nelle Tre Valli. Il nostro, qui ad Agno, aveva spazi ristretti e abbiamo aggiunto dei gazebo con una serie di soluzioni per evitare il contatto tra militi e pazienti». Le strutture provvisorie erano destinate alla verifica della positività al coronavirus, previa prescrizione del proprio medico. Soluzioni ben congegnate sono state applicate anche alle ‘zone covid’ per isolare le persone e interrompere i contagi. «Abbiamo dovuto lavorare in fretta ed è stato possibile, come in altre situazioni, grazie a militi capaci».

Disponibilità, aiuto e... gatti

Tra tutti i modi di aiutare, spicca quello della Protezione civile Regione 3 Valli. «Abbiamo dato una mano al centro ATTE: oltre a rispondere a un centralino, i nostri militi consegnavano spesa, pasti e farmaci agli anziani rimasti blindati a casa», spiega il comandante Daniele Guscetti. Tra le ‘curiosità’ di questa operazione, anche la custodia di un gatto a causa del ricovero del suo padrone.

Al di là degli aneddoti, Guscetti ricorda un altro servizio fondamentale, svolto da tutti i consorzi. Quello della sanificazione delle ambulanze: «Potevamo contare su militi che svolgevano attività come volontari nei vari enti o che erano abilitati a guidare un mezzo del genere». I soccorritori dopo un trasporto potevano salire subito su un altro veicolo, già pulito. «Tempo prezioso che può fare la differenza tra la vita e la morte», conclude Guscetti.

In questo articolo: