Incontro con Carlo Ratti: «La città del domani è capace di sentire»

Al tema «Cosa vorrei in città» abbiamo recentemente dedicato sette puntate, un giro di opinioni, a Lugano, tra persone di diversa estrazione. Oggi ritorniamo lì, a un orizzonte su cui proiettare le nostre aspettative, alla città di domani, di un domani, di un domani ideale. È proprio a questo tema, «La città di domani», che Carlo Ratti dedicherà il suo intervento, oggi pomeriggio, ospite d’eccezione del Congresso immobiliare Ticino al Palazzo dei congressi (entrata libera, posti limitati), dalle 14.
L’orizzonte ideale
Carlo Ratti è architetto e ingegnere, professore al MIT di Boston, il Massachusetts Institute of Technology, dove dirige il Senseable City Lab. Da segnare, questo aggettivo: «senseable», lo riprenderemo, in contrapposizione a quello più abusato, «smart». Ratti da anni parla della città del domani, al punto che viene da chiedersi dove sia finito quel domani, se sia già l’oggi in cui viviamo o se nel frattempo si sia allontanato, mantenendo una distanza incolmabile. «In genere sembra che il domani sia un orizzonte ideale su cui proiettare aspettative - a volte fantasiose - su un futuro possibile». Eccolo, l’orizzonte ideale. Poi Ratti prosegue nella propria riflessione: «Credo piuttosto che la città di domani sia un esercizio collettivo di costruzione, di cui possiamo intuire la forma già dalle città di oggi, a loro volta non dissimili da quelle di ieri. A cambiare credo che sia l’uso degli spazi più che la loro forma: in questo senso le città contemporanee non sono molto diverse dalle urbs romane. Avremo sempre bisogno di piani orizzontali su cui camminare, piani verticali con cui proteggerci; sono gli elementi essenziali dello spazio come celebrato dai “Fundamentals” di Rem Koolhaas alla Biennale d’Architettura di Venezia del 2014».
L’intelligenza
La città non è nient’altro che questo, un insieme, una rete, di piani, orizzontali e verticali. Per vederli, basterebbe aprire gli occhi, oppure chiuderli, e lasciar partire l’immaginazione. Noi siamo lì nel mezzo, confusi tra le linee, a interagire con esse. In questo senso, spesso si sente parlare di «smart city», di città intelligenti. Carlo Ratti non ama fino in fondo la definizione legata all’intelligenza dell’urbanistica che ci circonda. «Spesso la parola “smart” relega le città ad uno scenario quasi meccanico, come se fossero un prodigio tecnico. Esse, invece, sono fatte di relazioni; per questo hanno bisogno di essere pensate come spazi di interazione, costruite a partire dalle reali istanze dei cittadini. A questo bisogno di sensibilità risponde un modello aperto di pianificazione: se fino a qualche decennio fa sembrava trionfare il modello top-down - dall’alto - oggi la strada più percorribile sembra quella dal basso - bottom up - È uno scenario in cui la domanda di spazio proviene direttamente dai cittadini e si traduce in buone pratiche dai progettisti».
Connotazioni diverse
Si torna al concetto di «senseable city», più volte speso da Ratti, ormai anzi parte della sua narrativa. «Preferisco parlare di “senseable city” - con il suo duplice significato di città intelligente ma anche capace di sentire - per riportare l’uomo al centro della costruzione dello spazio. Questa definizione ha una connotazione più umana e coinvolge i cittadini, vale a dire la loro capacità di interagire con la città». Una città quindi non semplicemente progettata in modo ideale dal punto di vista tecnico - nei suoi vari aspetti, da quello architettonico a quello della mobilità -, ma piuttosto pronta a essere parte dell’interazione tra gli elementi che la compongono, che la caratterizzano. La città in cui comunicare e con cui comunicare. Spesso, abituati forse alle città di ieri, non riusciamo ad uscire da un’ottica di strenua ottimizzazione dei processi, quella a cui ancora oggi sembrano puntare le istituzioni. «L’idea di “senseable city” si basa su un approccio dal basso e ha alla base proprio l’idea di includere il più possibile i cittadini per non ridurre gli spazi ad una mera variabile tecnologica», precisa Ratti.
La collettività
Il dubbio, in questo contesto - e non stiamo parlando di ideali, di orizzonti -, è che chiedere sensibilità alle città sia un modo come un altro per non osservare fino in fondo una realtà segnata piuttosto da una perdita di sensibilità da parte della collettività. Lo abbiamo chiesto a Carlo Ratti. Gli abbiamo chiesto se l’idea di «senseable city» rappresenti una resa - sognare qualcosa che ancora non c’è o che non c’è più - oppure una via per ritrovare la sensibilità collettiva. «Credo che chiedere più sensibilità nelle città sia un modo per sincronizzare lo spazio ai suoi utenti. I cittadini hanno dimostrato negli ultimi decenni di aver raggiunto un buon grado di autonomia nel reclamare le proprie richieste. Una città sensibile può certamente esaltare quindi la sensibilità della collettività, potenziandone il contributo».
"Tra laghi e Alpi opportunità di dialogo"
Il ritratto
Architetto e ingegnere, classe 1971, Carlo Ratti è professore presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove dirige il MIT Senseable City Lab. Partner fondatore dello studio di design e innovazione internazionale Carlo Ratti Associati, è autore di oltre 250 pubblicazioni. Ha scritto per New York Times, Washington Post, Financial Times, Scientific American, BBC, Il Sole 24 Ore, La Stampa e Corriere della Sera. Suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, al Design Museum di Barcellona, al Science Museum di Londra, al MAXXI a Roma e al MoMa di New York. È stato relatore al TED (nel 2011 e nel 2015) e curatore del padiglione «Future Food District» a Expo 2015. Attualmente ricopre gli incarichi di copresidente del World Economic Forum Global Future Council su Città e Urbanizzazione e special advisor presso la Commissione Europea su Digitale e Smart Cities.
Idee sul Ceresio
Carlo Ratti conosce bene Lugano e la realtà ticinese. Sa che Boston è un’altra cosa, che le grandi metropoli a cui spesso tendiamo ad applicare il concetto di «smart city», o con lui di «senseable city», sono un’altra cosa. Ma ci avverte: «È un concetto che prescinde dal dato dimensionale e si concentra sul modo in cui lo spazio risponde alla presenza delle persone». Non è una questione di dimensioni, insomma. In un suo recente intervento televisivo, parlava della necessità di «raccogliere informazioni dalle cose»; esemplificando: alle cose, o alla città, di Lugano, cosa potremmo chiedere? Quali informazioni? E che tipo di risposte dovremmo aspettarci? «Lugano, per posizione e forma, sospesa tra il suo lago e le Alpi, offre l’opportunità di indagare come l’ambiente urbano possa dialogare con il paesaggio. Uno spunto senz’altro interessante per sperimentare il modo in cui la “senseable city” concilia l’equilibrio tra natura e città». Va ricordato che è stato proprio Carlo Ratti a immaginare l’isola rotante davanti a Palazzo civico e a piazza Rezzonico. Un’isola con tanto verde, un bar, un auditorium, una piattaforma di tuffi e un’area educativa, collegata a riva da due passerelle.
La scienza
Un’isola per dimostrare che la “senseable city” non è soltanto tecnologia. «Le tecnologie sono uno strumento - continua ancora Ratti - Ma le scelte strategiche non possono prescindere dalle persone. Diceva il grande architetto inglese radicale Cedric Price: “Technology is the answer, but what was the question?”». Una tecnologia che pervada tutto, per poi scomparire, come una sorta di rete sotterranea oppure di secondo cielo, oppure ancora ulteriormente confusa tra i piani. Una tecnologia che, attraverso i propri sensori digitali, possa aiutare la città a sentire i bisogni dell’uomo, restituendogli risposte, soluzioni. In una precedente intervista, a «Il Sole 24 Ore», Ratti spiegava: «Grazie al progressivo ingresso di tecnologie digitali e Internet of things nelle nostre vite e nello spazio delle nostre città, sono possibili soluzioni nuove a vecchi problemi, dalla mobilità con vetture che si guidano da sole al consumo energetico, dall’acqua all’inquinamento, dallo smaltimento dei rifiuti alla partecipazione democratica dei cittadini».
L’innovazione
Ultima domanda che poniamo a Carlo Ratti: se si parla di innovazione, lei a cosa pensa? Ognuno avrebbe una differente definizione. «Per me l’innovazione è curiosità. Sono sempre stato un curioso. Mi viene in mente una bella scena del film Jules et Jim di François Truffaut, in cui Jim ricorda il consiglio di un suo professore: “Viaggi, scriva, traduca, impari a vivere dovunque, e cominci subito. L’avvenire è dei curiosi di professione”».
