L'analisi

Intelligenza artificiale, investimenti mai visti prima: tutti i rischi che stanno correndo le Big Tech

Nvidia ha annunciato pochi giorni fa di voler finanziare con 100 miliardi di dollari lo sviluppo di OpenAI, la società che gestisce ChatGPT – Altri grandi attori del mondo tecnologico hanno in programma grossi interventi nel settore – Gli esperti esprimono tuttavia molto scetticismo sulla redditività
I grandi attori dell’industria tecnologica stanno investendo una montagna di denaro sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Con quali risultati non è ancora chiaro. ©JOHN G. MABANGLO
Dario Campione
27.09.2025 06:00

Ha scritto qualche giorno fa l’ex direttore operativo di Fortune, Adam Lashinsky, oggi editorialista del Washington Post: «È sbalorditivo che un’azienda tecnologica di cui molte persone non hanno mai sentito parlare sia la società di maggior valore al mondo».

Il riferimento di Lashinsky è a Nvidia, che da poche settimane - unica nella storia della Borsa di New York - ha superato la soglia dei 4 mila miliardi di dollari di capitalizzazione. L’azienda di semiconduttori della Silicon Valley, che l’anno scorso valeva la metà, 2 mila miliardi di dollari, è «il fulcro del business dell’intelligenza artificiale» (IA). È, in buona sostanza, al centro di ciò che «sta rapidamente rimodellando la società» (o, quantomeno, vorrebbe farlo).

Fondata nel 1993 e guidata da un taiwanese di 62 anni, Jensen Huang, Nvidia ha impiegato anni a perfezionare microchip ideali per i videogiochi. Mentre la concorrente Intel si concentrava sull’elaborazione dei dati, i chip «grafici» di Nvidia risolvevano i complicati calcoli necessari a dare vita alle immagini in movimento dei videogame. E quando i programmatori californiani hanno capito che quei chip grafici erano ideali per addestrare modelli di IA, la società è stata catapultata nella stratosfera finanziaria.

L’annuncio

Lunedì scorso, Nvidia ha comunicato che investirà 100 miliardi di dollari in OpenAI, la società che controlla ChatGPT. La decisione segue quanto annunciato a gennaio proprio da OpenAI e dai suoi partner - la holding finanziaria multinazionale giapponese SoftBank e il gigante del cloud computing Oracle - ovvero, la costruzione di nuove infrastrutture di elaborazione dati negli Stati Uniti all’interno di un piano denominato Project Stargate e presentato alla Casa Bianca pochi giorni dopo il secondo insediamento del presidente Donald Trump. Un piano che prevede una spesa complessiva di 500 miliardi di dollari.

Paradossalmente, però, i ripetuti annunci di giganteschi investimenti in progetti di intelligenza artificiale non sono stati accolti con troppo favore dagli analisti finanziari. I quali temono, in un futuro nemmeno troppo lontano, un brusco risveglio per chi ha deciso di pompare una quantità mai vista prima di denaro nello sviluppo dell’IA.

Alla fine del 2025, hanno calcolato gli esperti, l’industria tecnologica avrà investito circa 717 miliardi di dollari in tre anni nell’intelligenza artificiale di grandi modelli linguistici (LLM) e nell’infrastruttura necessaria per supportarla: in pratica, più di quanto sia stato mai investito nel resto dell’industria tecnologica dal 1956, l’anno in cui un decreto del dipartimento di Giustizia diede vita alla Silicon Valley.

Il gruppo Gartner, multinazionale di consulenza strategica e ricerca di mercato nel campo delle tecnologie dell’informazione con sede a Stamford, nel Connecticut, ha stimato che l’investimento totale complessivo in LLM, infrastrutture correlate e altri servizi di intelligenza artificiale sarà, alla fine di quest’anno, di 1.480 miliardi di dollari, con un aumento di quasi il 50% rispetto al 2024. Un livello che non ha precedenti. E molto rischioso. «L’enorme divario tra gli investimenti di capitale nelle infrastrutture e i ricavi delle licenze per gli utenti finali derivanti dal software di intelligenza artificiale non è, infatti, sostenibile».

I dubbi e le paure sulla ragionevolezza di una massa così grande di investimenti erano già stati sollevati alla fine di luglio da un rapporto elaborato da un gruppo di lavoro del Massachussetts Institute of Technology (MIT), il Networked Agents and Decentralized AI (NANDA) e intitolato The GenAI Divide. State of AI in business 2025. Ventisei pagine, pubblicate anche online, nelle quali si spiega che «il 95% dei progetti di intelligenza artificiale generativa (GenAI) non produce alcun impatto concreto sui conti delle aziende». Una frattura netta, definita appunto «GenAI Divide», che distanzia in modo incolmabile la stragrande maggioranza delle imprese da quel «5% di progetti pilota integrati capaci di generare valore».

Monopolio impossibile

L’industria tecnologica, ha scritto ancora Lashinsky, «è piena di giganti caduti. Intel è l’esempio più recente ed estremamente doloroso», un’azienda che oggi vale un quinto «del suo livello massimo di 500 miliardi di dollari e i cui più grandi eventi di notizie negli ultimi tempi sono stati ripetuti cicli di licenziamenti». Secondo Roger McNamee, fondatore di Elevation Partners - società americana di private equity nei cui portafogli ci sono 1,9 miliardi di dollari di attivi provenienti anche da aziende di tecnologia e media - «la maggior parte degli attori attuali nell’IA è destinata a fallire. E gli effetti a catena di questi fallimenti possono essere catastrofici, soprattutto per gli investitori azionari. Ci sono cinque o sei programmi di sviluppo LLM in sostanza identici nell’intelligenza artificiale di grandi attori tecnologici negli Stati Uniti - rileva McNamee - Google, Amazon, Meta, xAi e Microsoft/OpenAI, che possono essere alleati o concorrenti, mentre Apple ha un suo programma per uso interno, Anthropic, fondata da ex membri del team OpenAI».

Ogni grande azienda tecnologica, ha scritto McNamee in un intervento sul Guardian pubblicato mercoledì, «ha bisogno di un monopolio globale nell’intelligenza artificiale per sostenere il proprio successo e il proprio valore di mercato. Ma non tutti ne avranno uno. L’ex amministratore delegato di General Electric, Jack Welch, ha reso famosa l’idea che solo due attori possono essere redditizi in un settore competitivo. Al di sotto dei primi due, è una lotta per sopravvivere. Ciò significa che almeno tre - e forse più - degli attuali operatori saranno costretti a cancellare i loro investimenti in LLM».

Un’analisi, quella di McNamee, condivisa da molti altri. Ma non dalle Big Tech, almeno non in questa fase in cui gli investimenti nelle tecnologie di intelligenza artificiale sembrano essere non soltanto un obiettivo, ma soprattutto una necessità.