Finanza

Investimenti e incertezza, le strategie per non subirla

Al 24.mo Investors’ Forum di Ceresio Investors, esperti internazionali hanno discusso sull’evoluzione dei mercati in un contesto segnato da instabilità, alleanze e il possibile declino del ruolo guida di Washington
© REUTERS
Generoso Chiaradonna
21.05.2025 06:00

Da quasi un quarto di secolo Ceresio Investors organizza a Milano l’Investors’ Forum: un momento di confronto su ciò che accade nei mercati finanziari e, soprattutto, sulle dinamiche sottostanti che li muovono in una direzione o nell’altra. Dinamiche che sono sì di ordine macroeconomico, ma anche e soprattutto di ordine geopolitico.

Insomma, Trump tiene banco: una volta con i dazi commerciali, un’altra sul fronte delle crisi geopolitiche. Quello di ieri, nella bella cornice dell’Hotel Principe di Piemonte, era l’Investors’ Forum numero 24. È stata quindi un’occasione privilegiata per ascoltare le opinioni di chi è tutti i giorni sul fronte dei mercati finanziari e che, tuttavia, deve sviluppare strategie e visioni d’investimento che vadano oltre il brevissimo termine.

L’imprevedibilità è diventata una costante. «Ripensando anche solo agli ultimi dieci anni del nostro Investors’ Forum, siamo passati da un contesto macroeconomico relativamente prevedibile a uno caratterizzato da un’enorme imprevedibilità», afferma Gabriele Corte, direttore generale di Banca del Ceresio ed executive manager di Ceresio Investors. «Gli Stati Uniti, in particolare con l’attuale governo, rischiano di vedere ridimensionato il loro ruolo di garanti della stabilità, sia politica sia monetaria, senza che all’orizzonte si intraveda un’alternativa credibile. La stessa Cina, in questa fase, appare più come un fattore di instabilità economica e geopolitica che come una possibile alternativa alla pax americana».

E di Cina e Stati Uniti – meno di Europa, intesa come Unione Europea – si è parlato ampiamente durante la mattinata, aperta da un’interessante chiacchierata tra Federico Foglia di Ceresio Investors e John Armitage, fondatore di Egerton Capital e tra i gestori di hedge fund più redditizi al mondo. «Se ci fosse una classifica ATP per gli hedge fund manager, John Armitage sarebbe il Roger Federer della finanza», ha affermato Foglia, presentandolo e citando alcune cifre delle sue performance, tra cui l’aver moltiplicato per 103, al netto dell’inflazione, i capitali affidatigli nel corso di 36 anni (pari al 17% l’anno).

«Quando vedo questi numeri dico soltanto che ero al posto giusto nel momento giusto», ha risposto Armitage. «All’inizio del 1500 c’era questa idea di genio unico quando si parlava dei pittori. Noi facciamo qualcosa di diverso. La facciata di una cattedrale rinascimentale è stata realizzata da tanti artigiani con competenze specifiche. Ecco, io mi appoggio a persone più brave di me che, oltre a conoscere bene le quattro operazioni aritmetiche, abbiano in chiaro i numeri delle società su cui operano e, soprattutto, molta curiosità».

Fuori dallo scontro di civiltà

Come muoversi, allora, in un mondo che cambia rapidamente? «Negli ultimi anni si è diffusa la percezione che l’Occidente sia in guerra con il resto del mondo, in particolare con la Cina. Questo mi ha portato a ritirare gli investimenti nei settori o nelle aree in cui Cina e Occidente si confrontano – non necessariamente in modo militare – per un motivo semplice: non si sa come andrà a finire. Un caso emblematico è Taiwan, sotto pressione cinese. Per questo siamo usciti da TSMC, l’azienda taiwanese che produce microchip e semiconduttori per clienti occidentali come Apple e Nvidia», spiega Armitage, che ha parlato anche del conflitto russo-ucraino. «Abbiamo scoperto che la Russia era governata da criminali, finché non è entrata militarmente in Ucraina e gli investitori hanno finalmente aperto gli occhi». «Penso sempre alla geopolitica e alla storia» – ricorda Armitage, laureato in storia moderna al Pembroke College di Cambridge. «In questo momento vedo un’Europa che non riesce a difendersi, anche se ci sta provando». Il riferimento è al programma ReArm dell’Unione europea e agli investimenti miliardari nella difesa promessi dalla Germania.

Fine dell’internazionalismo USA

Sul fronte valutario, in questo momento manca un candidato credibile a diventare moneta di riserva al posto del dollaro. «Per avere questo ruolo servono scala, società ed economia stabili, oltre a istituzioni politiche forti, indipendentemente da chi governa in un determinato momento», spiega Armitage. «Personalmente ho franchi svizzeri e anche euro, che avrebbe le caratteristiche per diventare valuta di riserva. Non dimentichiamoci che c’è una guerra alle porte».

A questo punto è lecito chiedersi cosa accadrà al dollaro. «Per il momento posso immaginare un allontanamento progressivo dal dollaro, ma ancora non esiste un sostituto valido. Non lo è certamente la valuta cinese, il renminbi. L’America, lo stiamo capendo, non vuole più gestire il mondo, se non in funzione dei propri interessi. In Europa è sempre stata percepita come una potenza benevola attraverso l’ombrello militare della NATO, che oggi però appare come un fantasma che cammina. Temo che l’internazionalismo americano sia alla fine e che l’attuale amministrazione statunitense non comprenda pienamente le conseguenze di tutto ciò».