Il personaggio

«Io, in fuga dalla mia città, ho scoperto la vita in valle»

Giacomo Meschini, creativo 39.enne e docente, ha compiuto un salto che non avrebbe mai immaginato fino a tre anni fa: trasferirsi dal centro di Locarno alle montagne di Mosogno, frazione di Onsernone
Giacomo Meschini e, sullo sfondo, il panorama della valle Onsernone che, tre anni fa, l'ha convinto a trasferirsi fino a Mosogno
Jona Mantovan
13.03.2023 19:15

Giacomo Meschini – creativo e oggi 39.enne, docente di arti plastiche e visiva in una sede di scuola media in centro città (in via Varesi) oltre che formatore di docenti al Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI, a Locarno – tre anni fa era era scettico. Era arrivato in Onsernone per un sopralluogo. Voleva essere sicuro che il posto di cui gli avevano parlato, ad Auressio, fosse adatto per organizzarci un evento pubblico. Lui, ragazzo di città e cresciuto a Locarno, aveva sempre trovato assurda l’idea di andare fin lassù per viverci. D’altronde, vuoi mettere il fermento culturale del Festival? E come sarebbe stato possibile mettere in piedi l’iniziativa theparders, un esperimento di successo andato avanti per anni, in una località così remota? Eppure, oggi, Giacomo Meschini vive proprio qui, a Mosogno. In valle Onsernone. Ma com’è possibile? Tutto accadde per caso «quando, spinto dalla curiosità, ho voluto visitare un appartamento in affitto», racconta mentre fa strada lungo i gradini che portano alla sua abitazione. L’aria, nonostante la giornata soleggiata è ancora fresca, qui a 800 metri di altitudine.

«Mi è bastato guardare fuori dalla finestra di questo appartamento e mi son detto: ''Beh, sì, voglio vivere qui. Con questa vista mi sento il più ricco del mondo''. La padrona di casa stessa è rimasta sorpresa perché in cinque minuti avevo già deciso. Anche per me è stata una cosa inaspettata. Non immaginavo che, quel giorno, sarei sceso dalla valle con un contratto d’affitto in mano per una casa a mezz’ora di viaggio in auto da Locarno. Mezz’ora. E fosse tutta autostrada, ma no. Qui bisogna farci l’abitudine. Strettoie, tornanti. Ma non mi son fatto spaventare».

E spunta il laboratorio

Meschini, comodamente seduto su una poltrona dall’aria futuristica la cui sagoma a linee spezzate è ritagliata su assi di legno, gesticola con entusiasmo e descrive la sua nuova fase della vita. «Il mio livello di benessere è aumentato. Una situazione del genere, in città – aggiunge – se la può permettere solo chi ha la disponibilità per abitare su un attico: il tuo vicino è a una certa distanza e sopra di te non c’è nessuno».

Mi è bastato guardare fuori dalla finestra e mi son detto: ''Sono il più ricco del mondo, con una vista simile''

Ma c’è dell’altro. Bello l’appartamento, bello il panorama, ma c'è anche il laboratorio. «Già, un’altra cosa che in città è impossibile avere. Da bambino ricordo di aver ricevuto un piccolo tavolino da falegname. Adoravo lavorare il legno, ma quella passione l’ho dovuta ben presto abbandonare. In effetti, non puoi avere attrezzature rumorose in un appartamento in centro città, non puoi fare l’artigiano in un quartiere residenziale di un’area urbana. Ma qui è diverso», afferma spalancando gli oggi azzurri. E così, una passione finita nel dimenticatoio viene rispolverata. Meschini mostra il suo atelier, sottolineando che la disposizione delle aree di lavoro è ancora provvisoria. Tra i vari progetti, si riconoscono gli elementi che compongono quella particolare poltrona su cui qualche minuto fa era ancora accomodato. Ci sono anche cassettiere con rotelle, mobiletti e tanti ferri del mestiere.

Legno, che passione

«Ho potuto riaprire una finestra su me stesso, che la vita di città avrebbe lasciato chiusa chissà fino a quando. Tutto questo, tuttavia, non serve solo a recuperare un’attività per il tempo libero che avevo fin dall’infanzia. Mi aiuta, infatti, a sviluppare la mia professione. In quanto docente di arti plastiche e visiva, il mio compito prevede di preparare lavori da realizzare con il legno, prima di assegnarli ai miei allievi».

Secondo il docente, insegnare è anche questo: mettersi nei panni dello studente «e capire a fondo quello che deve imparare».

Un addio e una scoperta

Con il senno di poi, Meschini spiega la metamorfosi vissuta tra città e montagna. «Crescere nello spazio ristretto di un contesto urbano mi ha portato a respirare una certa competizione, come una voglia di diventare regista e non soltanto comparsa. Voglia di emergere, di distinguermi. Traslocare qui ha scombinato questa dinamica. Non è una vita comunitaria, ma ho trovato persone che hanno piacere di condivisione. Nel giro di pochi mesi, ho conosciuto varie persone che mi hanno insegnato molto, da come fare l’orto al taglio di un albero, a come costruire qualcosa o risolvere quell’altro problema». Questa scoperta di talenti, dice Meschini, è stata una sorpresa.

E theparders? «Dopo 18 anni, la considero un’esperienza chiusa. Questo spazio di creatività durante il Locarno Film Festival mi ha permesso di sviluppare le doti di grafico, fotografo, cineasta e organizzatore di eventi. L’ultima mia sfida è stata produrre un disco di elettronica, nel 2020 sotto pandemia, con quattro musicisti. Si intitola Oblique connections e uscirà quest’anno».

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