Iraq, sempre più donne nella jihad

BEIRUT/BAGHDAD - Una copia del Corano ben stretta al petto e un fucile automatico alzato in aria: si presentano così le miliziane sciite irachene, pronte a morire "sulla via del jihad" per "difendere le loro case" ma soprattutto l'influenza iraniana in Medio Oriente, che in Iraq passa per un appoggio quasi incondizionato al premier sciita Nuri al Maliki, accusato da più parti di aver accelerato lo sgretolamento del Paese su linee etniche e confessionali.
Velate da testa ai piedi e con scritte inneggianti al martirio, queste miliziane irachene in altre epoche sarebbero definite "terroriste". Ma di fronte al pericolo qaidista che minaccia gli interessi convergenti di Russia, Stati Uniti e Iran, sono ora descritte come "resistenti" e "madri di famiglia" che imbracciano il kalashnikov "per proteggere i luoghi santi sciiti" del loro Paese.
Le autorità di Baghdad hanno stimato nei giorni scorsi che circa un milione di persone - per lo più sciite - si sono arruolate nelle milizie filo-governative formate per far fronte all'offensiva dello Stato islamico, un gruppo armato che un mese fa ha conquistato Mosul, la seconda città irachena, e che in un anno è diventato di fatto padrone di un territorio grande quanto l'Ungheria tra Siria orientale e Iraq occidentale.
Tre giorni dopo la caduta di Mosul, il Grand Ayatollah Ali Sistani, la più importante autorità sciita dell'Iraq e di tutto il Medio Oriente, aveva emesso una fatwa (parere giuridico non vincolante) in cui invitava gli iracheni ad arruolarsi come volontari nelle milizie lealiste: non per attaccare i sunniti in quanto sunniti - aveva precisato - ma per difendere il Paese dall'avanzata dei miliziani qaidisti.
I combattenti dello Stato islamico, molti dei quali iracheni, si sono macchiati di crimini orrendi - tra cui decapitazioni - contro civili non solo sciiti ma anche sunniti definiti "moderati". Hanno anche assalito e distrutto luoghi santi sciiti, mausolei e statue di letterati e filosofi arabo-musulmani sunniti ma considerati "eretici".
Di fronte a questo cancro oscurantista, che nelle regioni irachene a maggioranza sunnita si nutre del radicato malcontento anti-Maliki e anti-iraniano e che presso le gioventù disadattate di mezzo mondo raccoglie sempre maggiori consensi, le jihadiste sciite irachene vengono addestrate come i loro compagni di trincea maschi. Nella città santa sciita di Najaf, a sud di Baghdad, solo tre settimane fa è stato formato un "battaglione" di sole donne addestrato da uno dei membri del consiglio regionale locale, che ha la delega per gli "affari femminili".
Fonti di stampa panarabe stimano che in Iraq circa cinque mila donne abbiano finora ricevuto un addestramento paramilitare. Un numero quasi pari a quello dei miliziani sciiti libanesi Hezbollah impegnati da circa due anni a sedare la rivolta armata contro il regime di Damasco alleato e sostenuto anch'esso dall'Iran.
Le sessioni di addestramento delle donne non sono iniziate solo a giugno, quando la minaccia qaidista è diventata evidente, ma sin dai mesi scorsi. Istruttori delle già esistenti milizie sciite organizzano corsi di circa una settimana nel depresso sobborgo di Città di Sadr, alla periferia di Baghdad. Le donne, con un'età che varia dai 16 ai 45 anni circa, appaiono impacciate nelle loro lunghe vesti nere nel maneggiare un AK-47. L'istruttore spiega come caricare i colpi, puntare e sparare. Loro rispondono inneggiando al nome di Ali, quarto imam dell'Islam e primo imam sciita.