L'intervista

«Istituzioni impotenti sì, e la situazione sta peggiorando»

Con Stefan Schlegel, direttore dell'Istituzione svizzera per i diritti umani facciamo il punto in un momento particolarmente complesso
© Reuters/Piroschka Van De Wouw
Paolo Galli
22.10.2025 06:00

Il 23 maggio del 2023 nasceva l’ISDU, che per la prima volta è stata tra i protagonisti, sabato, del Festival diritti umani di Lugano. Ne abbiamo approfittato per fare il punto - in un momento universalmente tanto complesso per la difesa dei diritti - con il direttore Stefan Schlegel.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a gravi violazioni dei diritti umani in diversi conflitti. Stiamo vivendo una normalizzazione delle violazioni contro i civili?
«È vero che attualmente assistiamo a numerose violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani in tutto il mondo. Ciò che trovo ancora più preoccupante è che i conflitti in corso stanno mettendo in discussione l’idea stessa di questi diritti. Per esempio, quando all’Ucraina viene negato il diritto di esistere, negando ai suoi cittadini il diritto all’autodeterminazione e alla dignità. O quando i rappresentanti del governo israeliano affermano che a Gaza non ci sono persone innocenti. Si mina il principio del diritto internazionale umanitario, che consiste nel distinguere tra civili e combattenti. Data la pressione a cui sono sottoposti anche la democrazia e lo Stato di diritto, è ipotizzabile che stiamo assistendo a una nuova forma di minaccia ai diritti umani, sì. D’altra parte, dobbiamo tenere presente che, da una prospettiva storica e globale, il mancato rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario è stato tendenzialmente la norma e il loro rispetto l’eccezione, ahimè. Quindi la domanda a cui dovremmo cercare di rispondere è: come possiamo prolungare la fase dell’eccezione?».

Le Nazioni Unite e la Corte penale internazionale sembrano spesso impotenti. Perché è così difficile per le istituzioni internazionali far rispettare il diritto internazionale?
«La tutela internazionale dei diritti umani e il diritto penale internazionale, che la Corte penale internazionale ha il compito di far rispettare, limitano il potere politico. È quindi nella loro natura avere avversari estremamente potenti, siano essi individui o istituzioni. Ci si potrebbe persino stupire della loro esistenza, soprattutto perché - nel caso della Corte penale internazionale - sono recenti. La cattiva notizia non è che queste istituzioni siano spesso impotenti. La cattiva notizia è che questa relativa impotenza tende ad aumentare, che la legittimità stessa di queste istituzioni viene messa in discussione e che sono deliberatamente e sistematicamente sottofinanziate».

Che cosa bisogna fare, allora, per rendere le organizzazioni internazionali più efficaci nella tutela dei diritti umani? Si parla di riformare le organizzazioni internazionali. Sì, ma quale direzione dovrebbero prendere?
«Le organizzazioni internazionali non hanno la responsabilità primaria di garantire il rispetto dei diritti umani. Tale responsabilità spetta in primo luogo agli Stati. Qualsiasi progresso nel campo dei diritti umani può quindi iniziare solo all’interno degli Stati, con un consenso intorno all’idea che la protezione della libertà e della dignità degli individui sia l’obiettivo centrale dello Stato. Tutte le riforme sostanziali delle organizzazioni internazionali dipendono in ultima analisi dalla volontà politica e dalle risorse degli Stati».

Lei si è interessato spesso alla migrazione. In che misura il trattamento dei migranti riflette o viola i principi fondamentali dei diritti umani?
«Sulla carta, i diritti umani valgono per tutti; sono nostri perché siamo esseri umani, non perché siamo cittadini di un particolare Stato. In pratica, però, c’è una grande differenza tra chi viene percepito come parte di una comunità e chi viene presentato come una minaccia dall’esterno. Questo è un motivo importante per cui il rispetto dei diritti umani è particolarmente precario nel contesto della migrazione: le persone vengono valutate in base a criteri diversi, oppure vengono private della libertà senza aver commesso un reato, ad esempio».

Se guarda alla Svizzera, quali sono secondo lei le sfide più urgenti per i diritti umani oggi?
«Il fondamento dei diritti umani è che tutti gli individui hanno lo stesso valore e la stessa dignità. È quindi sempre complicato stabilire una graduatoria delle situazioni in termini di diritti umani, poiché ciò porta quasi inevitabilmente a una graduatoria della dignità delle persone interessate. Detto questo, è chiaro che non tutti sono ugualmente esposti alle violazioni dei diritti umani. Il rischio di violazioni dei diritti umani è particolarmente elevato, ad esempio, quando una persona è presentata come “straniera” o estranea, come nel caso dell’asilo. Oppure quando una persona è particolarmente esposta all’autorità dello Stato, ad esempio in stato di detenzione. Oppure quando le sue condizioni di vita sono precarie, a causa della povertà, della vecchiaia».

Come si inserisce l’ISDU nel contesto nazionale e internazionale della tutela dei diritti umani? Immagino non sia facile credere fino in fondo di poter esercitare un ruolo in un momento simile, complesso proprio per i motivi di cui dicevamo.
«Innanzitutto, essere sopraffatti e impotenti sono due cose diverse. Se le istituzioni internazionali sono impotenti, non significa che siano obsolete. Spesso è proprio la loro competenza professionale a renderle pericolose per i potenti del mondo. Ma torniamo alle istituzioni nazionali per i diritti umani: nel mondo ce ne sono circa 120, quella svizzera è una tra le altre, in questo senso. La loro particolarità sta nel fatto che sono ufficiali - perché hanno una base giuridica - e allo stesso tempo indipendenti. Ho già detto che gli Stati sono i primi responsabili del rispetto dei diritti umani. Le istituzioni nazionali, come suggerisce il nome, assicurano che gli standard internazionali dei diritti umani siano applicati in quel Paese e diventino una realtà concreta per le persone che vi abitano. Le istituzioni nazionali per i diritti umani sono quindi una sorta di ponte tra i livelli internazionale, nazionale e regionale della tutela dei diritti umani».

Di fronte a tanto pessimismo, che cosa la spinge personalmente a continuare a studiare, insegnare e difendere i diritti umani?
«I diritti umani sono una forza contro questo pessimismo. Costituiscono un programma intrinsecamente ottimista: la convinzione che sia possibile progredire nelle nostre relazioni reciproche, attenuare i conflitti e che un numero crescente di persone possa condurre una vita sempre più libera e dignitosa. E che questo ideale di libertà e dignità per tutti sia più attraente della possibilità di dominare gli altri. Anche in una situazione segnata dalle sconfitte, i diritti umani offrono, su larga scala - a livello delle regole fondamentali della convivenza - e su piccola scala, nei dettagli della gestione di una comunità, di una scuola, di una clinica, di una prigione, modi concreti per contrastare queste stesse sconfitte».

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