La battaglia del marketing funerario

Certe pubblicità fanno discutere i ticinesi - Faccia a faccia tra professionisti
Carlo Silini
Emanuele Gagliardi
Carlo Silini,Emanuele GagliardieRomina Borla
19.11.2013 05:57

Chi vede la loro pubblicità circolare per le vie di Lugano sul retro dei bus difficilmente la dimentica: inquadrati a mezzobusto, due signori pelati, elegantissimi, le braccia conserte e le mani in guanti bianchi, guardano verso i loro spettatori con un accenno di sorriso. La scritta spiega: «funeral planners» e poi «attenti, professionali, creativi». La pubblicità ha scatenato una ridda di commenti sulla pagina Facebook Lugano Vintage. Noi abbiamo interpellato uno dei due signori in questione, Emanuele Delmenico, del Centro funerario di Lugano: «Abbiamo scelto di farci vedere, invece di nasconderci dietro un marchio, o il nome di un?azienda. Il marchio c?è, ma è anche giusto che la gente, se deve scegliere una ditta, conosca le facce dei suoi interlocutori primari. In un settore a cui ci si deve affidare ai servizi di persone che sono il più delle volte sconosciute, noi ti facciamo vedere chi siamo. Possiamo anche non piacerti, ma siamo così».

Lo stile della pubblicità è molto diretto. Non è un anche po? esibizionistico?

«L?efficacia è dettata anche dalle nostre caratteristiche fisiche: io e mio fratello siamo molto simili, siamo pelati, col pizzetto, ecc. E chi ci aiuta nella campagna pubblicitaria ci ha poi fatto le foto in un certo modo, con inquadrature che fanno pensare alla pubblicità di un film in stile anglosassone. Penso a «Six feet under» («Six feet under» è una serie Tv il cui titolo fa riferimento alla profondità a cui s?interra una bara negli Stati Uniti, 6 piedi, pari a 1,83 metri, n.d.r). Certo, la pubblicità ha colpito gli osservatori, come attesta un?ampia discussione su una pagina Facebook. Mi rendo conto che quando si affronta questo argomento in modo, diciamo così, un po? sfacciato c?è chi è scaramantico, chi è fatalista, chi è assolutamente negativo. Qualcuno ha addirittura confuso la mia figura con quella della morte. Ma io non sono la morte, io sono colui che svolge un servizio perché la morte c?è, capita. Molti si concentrano sull?aspetto fisico: sono brutti, sono belli. E infine c?è chi ritiene che si tratta di un mestiere come un altro. Fondamentalmente è un?operazione di trasparenza. So che i miei colleghi dicono che siamo troppo sfacciati e loro sono più sobri. Noi però abbiamo semplicemente un altro approccio».

«Alla fine la gente lo sa che non basta mettersi una cravatta e comprarsi una macchina di lusso per fare questa professione. La discrezione, e anche l?umiltà, pagano molto più delle campagne pubblicitarie urlate», ci spiega invece Fernando Coltamai, titolare di una ditta di pompe funebri a Mendrisio dal 1976. «Posso capire - aggiunge - che si cerchi di fare qualcosa di più rispetto ai concorrenti. Ma spesso sono scelte che lasciano il tempo che trovano. La pubblicità funeraria è rischiosa. Non è che la gente vuole vederla. Quando passo col carro funebre ancora molti fanno gli scongiuri. È brutto, ma è così. A me non interessa se fate le corna, ma dietro di me c?è una famiglia che soffre».

Con questo intende dire che non conviene fare dei cartelloni che evocano un funerale.

«Più che altro penso che il nostro mestiere va fatto con rispetto. Quando le famiglie mi chiamano e mi dicono che è mancato il papà, la mamma, o la zia io vado e mi consegnano il loro corpo. Capisce? Non mi chiamano per dipingere il soffitto, ma per occuparmi del loro caro».

Ma cosa pensano gli esperti di marketing delle campagne aggressive portate avanti da alcune imprese di pompe funebri ticinesi? «È lo stile, il tono, ad aver urtato la sensibilità di alcune persone. Non sono stati usati i mezzi forti e non convenzionali del guerrilla marketing», dice Marzio Proietti. «È normale. Trattandosi di un settore delicato, l?attenzione della gente è sicuramente più alta. Quindi gli imprenditori devono stare in guardia, porsi qualche domanda in più. Perché, con spot ed azioni particolari, possono anche generare impressioni negative che giocano a loro sfavore. (...) Comunque non bisogna demonizzare il marketing. Fondamentale è l?uso che se ne fa. Ogni strumento si può usare in maniera corretta o scorretta, dipende dalle intenzioni di chi lo tiene in mano».

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