"La bimba parigina mi chiamò papà"

LUGANO - Ospitare un bambino tramite un'associazione specializzata in questo genere di scambi (nel nostro caso l'associazione Kovive)? In Svizzera e in Ticino lo hanno fatto in molti, ma queste esperienze di un paio di settimane (o anche di più) vissute intensamente restano spesso confinate nell'intimo familiare. Quanto segue è il racconto, strettamente autobiografico e soggettivo, di quello che ho vissuto con la mia famiglia dal 1. al 15 agosto di questa estate.
È 1. agosto di questa torrida e arida estate, una giornata eccezionalmente «fresca» e uggiosa. Sono le 17.48 e lungo il binario 3 della stazione di Lugano stanno per iniziare due settimane difficili da dimenticare. Sul treno che da Parigi via Zurigo sta giungendo in Ticino, ci sono una trentina di bambini che arrivano dalla Francia, specie da Parigi, dalle banlieu, lontano dai fasti della Tour Eiffel o dei Champs Elysées, quartieri nei quali vivere è durissima e avere un'infanzia che noi definiremmo «normale», praticamente impossibile. Su quella carrozza c'è anche Samuella, 8 anni, una bambina di colore d'origine africana, che abbiamo solo visto in fotografia e conosciuta (si fa per dire) grazie a una scheda che ne descriveva i tratti essenziali: nome, cognome, età, cosa mangia, cosa non mangia e cosa teme.
La targhetta al collo
I bambini, accompagnati dai volontari della Croce Rossa francese scendono tenendosi per mano con l'amichetto conosciuto nel lungo viaggio, c'è chi corre verso la famiglia che lo attende; sono coloro che tornano in Ticino e che ritrovano chi li aveva già accolti. E c'è chi con lo sguardo un po' perso e con una targhetta al collo con il nome, la destinazione e le generalità di chi lo ospiterà, aspetta di incrociare lo sguardo di chi, con un misto di curiosità ed emozione, l'attende sul marciapiede. Ecco Samuella, è un po' diversa dalla foto che ci era stata inviata, i capelli non sono più corti, ora ha delle treccine applicate, ma prima di noi è lei che ci riconosce. Sorride e ci presentiamo. Mia moglie Nancy fa gli onori di casa e nostra figlia Simona osserva sorridente e intimidita colei che sarà al centro dell'esperienza che sta per iniziare e che anche lei stessa ha deciso assieme a noi di vivere. Già, perché non si è trattata di una scelta verticistica, ma partecipativa, perché è a Simona che in questi quindici giorni è stato chiesto di suddividere con una bimba meno fortunata di lei l'affetto di mamma e papà.
La doccia gelata
Samuella estrae la foto che le avevamo inviato e che custodiva nel suo piccolo zainetto che conteneva panini, biscotti e acqua per il tragitto. Nemmeno il tempo di un veloce giro di presentazioni, dopo che lei accenna ad un «voi» di cortesia e le diciamo che può darci del «tu», le ricordiamo i nomi e arriva la prima doccia gelata: «Ma io preferirei chiamarvi mamma e papà». Sono momenti in cui a chiunque mancherebbero le parole. «Ma certo che sì», rispondiamo in coro ancora un po' storditi. Ma non era una boutade per fare colpo, da quel momento noi siamo mamma e papà. I nostri nomi ricevuti alla nascita non contano nulla. Un fatto che, un po' incredibilmente, non disturba Simona.
Le paure superate
Una decina di minuti e siamo a casa, quella che sarà la sua casa per il soggiorno previsto. L'avvisiamo: «Abbiamo un gatto, ma è molto timido e non aggressivo». Non gradisce. Ha paura dei gatti (che alle sue latitudini sono più randagi che domestici), dei ragni, delle mosche, delle api, e di ogni insetto in genere. Inutile forzare la mano. Per il gatto con l'arrivo dell'ospite la casa diventa invalicabile. Il felino insiste, non capisce e vuole entrare, Samuella lo guarda un po' titubante dopo aver segnalato la presenza di due ragnetti che ho dovuto cercare con il microscopio. Se è vero che il primo amore è quello che non si scorda mai, va detto che tra Samuella e Matisse (il micio) sarà subito intesa. Una paura è stata così superata, ma quella per gli insetti no.
La povertà
Samu, il soprannome coniato da Simona (comunemente Simo), chiama sua mamma a Parigi per un saluto e per dirle che il viaggio è andato bene. La percezione immediata è di un rapporto sano e profondo tra mamma e figlia ed è lei stessa a mostrare la foto della madre e a tessere le lodi di colei che le vuole bene, ma che si è vista costretta a privarsi della figlia per due settimane per evidenti problemi economici. Le informazioni che abbiamo di lei e del suo vissuto sono scarne. Il papà non c'è e Samu vive sola con la mamma in uno spazio esiguo, in un palazzo al primo piano con alle finestre le inferriate e la paura dei ladri e della criminalità. Nella valigia non ha molto: un libro, un nuovo diario e vestiti che, per dimensione non adatta e stato, denotano il vero problema: la povertà. Ma il compito di una famiglia ospitante non è quello di sondare il passato e il presente, neppure di fare un terzo grado a una bambina, ma solo di regalarle serenità, un sorriso e due settimane da sogno. Da lì via lei ci parlerà pochissimo del suo vissuto, più che altro a me, nei momenti trascorsi assieme quando Simona fa i compiti con Nancy e noi siamo intenti ad innaffiare i fiori o a fare lavoretti nell'orto. Ben si comprende che per lei la figura del papà è un'assoluta novità.
Lo spirito di conservazione
Samu prende ben presto le dimensioni della nuova realtà e dell'ampio spazio di manovra che ha rispetto ai pochi metri della sua casa parigina. L'euforia talvolta prende il volo e l'incapacità di gestire tante novità la porta a comportarsi con una certa euforia, quasi voglia vivere tutto d'un fiato per il timore di perderlo e non più recuperarlo. Quasi per manifestare uno spirito di conservazione che solo chi ha poco e deve lottare per quel poco tutti i giorni, sa bene cosa significa. Il nostro interrogativo è: mostrarsi accondiscendenti lasciando andare le cose senza regole o mettere dei minimi paletti? Prevale la seconda opzione, suggerita anche da chi ci ha indirizzato perché occorre tenere presente che ci sono delle regole del vivere comune e anche Samu deve sottostare alle stesse come tutti. Non si educa in due settimane un figlio che non è il tuo, ma è giusto mostrare che nella vita si deve considerare anche chi ti sta a fianco. Questo nonostante il tanto chiudere gli occhi su abitudini e ordine vigenti normalmente a casa nostra.
Sull'altalena in pigiama
Le giornate trascorrono velocemente all'aperto grazie al bel tempo. Samu ama la piscina, adora dondolarsi sull'altalena in giardino già prima della colazione e ancora in pigiama, stare all'aria aperta, mangia con gusto e dorme senza difficoltà. Non bisogna nascondere che qualche difficoltà di gestione si è manifestata, ma sono cose così piccole che menzionarle significherebbe dare loro un'importanza che in realtà non hanno. Più che altro ad essere messa alla prova è Simona che, di punto in bianco, si vede «invadere» tutti i suoi spazi 24 ore su 24, mentre a noi adulti non resta più tempo libero, trovandoci letteralmente assorbiti da una bambina che necessita di attenzioni e presenza continue. Samu è in difficoltà nel giocare con gli altri bambini, forse perché non ha mai avuto modo di esercitare tutto questo. Conosce diverse canzoni che vanno per la maggiore, le canticchia in auto e accenna a ballare imitando le mosse delle adolescenti appena ne ha l'occasione. È un po' la testa di una bambina su un corpo di una ragazzina: basti dire che tra Simo e Samu ci sono diversi centimetri e 20 kg di differenza.
La prima mucca
Samuella è interessata alle novità, a volte di fronte alle stesse resta pietrificata. Come quando con Nancy e Simona, passando da una fattoria vede una mucca. E non è una mucca qualsiasi. È la sua prima mucca «live». Mai nei primi otto anni della sua vita ne aveva vista una. Dice di sapere che il latte che beve a colazione viene generato delle mucche, ma nell'affermarlo non pare troppo convincente. E dopo le mucche, nel corso di una gita in quota in Vallemaggia, è il turno di una ventina di capre. Pure questa un'autentica novità. E poi, quando siamo ormai a quota 2.300 metri al bordo di un laghetto con il cielo azzurro e un aereo di passaggio Samu ci dice: «Mai visto qualcosa di simile, sembra di toccare i cielo con la mano».
Il linguaggio silenzioso
Giorno dopo giorno Simona e Samuella familiarizzano, giocano e bisticciano: come accade tra fratelli o tra amichetti che trascorrono le vacanze assieme. A me e Nancy il compito di essere imparziali: non privilegiare la figlia in quanto tale o l'ospite perché resterà poco e vive solitamente una realtà ben diversa dalla nostra. Così i rimproveri e le lodi vengono impartiti ad entrambe, in francese e in italiano. Ma più passano i giorni, più cresce il feeling e l'affiatamento familiare, nonché la capacità di Simo e Samu di capirsi pur parlando due lingue differenti. Incredibile ma vero, a volte è Simona che si fa portavoce dello stato d'animo di Samuella.
L'abbraccio finale
È arrivata la mattina del 15 agosto, il giorno della partenza e dei saluti. L'abbraccio finale è alla stazione di Bellinzona da dove, alle 10.34 è partito il treno che ha riportato Samuella e i suoi compagni di viaggio a casa. Samu vive uno stato d'animo lacerante. Da una parte la voglia di riabbracciare la sua adorata mamma, dall'altra la consapevolezza di avere vissuto una bella esperienza, con un papà e una mamma e una sorella a tempo determinato: di essere stata all'aria aperta senza il timore dei ladri e di violenze d'ogni genere, di aver dormito la notte con la finestra aperta mentre a casa sua resterà sprangata per i motivi descritti e per quello che Samu ha definito come «assordante rumore che c'è dalle 7 del mattino alla 1 di notte». Forse sono piccole cose per chi le considera scontate, ma grandi per chi le ha scoperte e sa di doverle abbandonare.
Quella che è ormai anche un pochino «la nostra Samu» parte anche con una borsa in più rispetto al suo arrivo, con dei doni materiali (vestiario) che parenti e amici hanno voluto regalarle. Ma la speranza mia, di Nancy e Simona è che possa essere ripartita con un briciolo di serenità e di determinazione in più rispetto al giorno del suo arrivo. E che tutto questo possa servirle a meglio affrontare la sua dura realtà. Restano le lacrime per il distacco: quelle di Samu che guarda triste la pioggia che scivola sul finestrino del treno, e quelle di Simo che, singhiozzante, guarda le stesse gocce dal finestrino dell'auto.
In molti ci chiedono se tornerà nell'estate 2016. È possibile, forse anche probabile. L'esperienza vissuta è stata comunque eccezionale, ancor prima di pensare se ripeterla o meno, è però il caso di suggerirla a chi sarà arrivato, pazientemente, fino al punto finale di questo racconto.