Ticino

«La caccia non è il numero dei capi abbattuti»

La Federazione dei cacciatori chiede all’opinione pubblica e alle istituzioni di riconoscere il ruolo svolto dalla categoria nella gestione faunistica - Luca Corti: «Siamo interlocutori seri»
Francesco Pellegrinelli
06.12.2025 06:00

La caccia non è il semplice conteggio dei capi abbattuti. Dietro ai numeri c’è un mondo complesso, fatto di norme, leggi, passione – certo –, ma anche consapevolezza e preparazione. Ne è convinta la Federazione cacciatori ticinesi che oggi ha incontrato la stampa con l’obiettivo di condividere un messaggio: la caccia non è soltanto un passatempo.

«Dimenticatevi il vecchio stereotipo del cacciatore che imbraccia il fucile per riempirsi il congelatore», ha esordito il presidente Luca Corti. Non solo perché il profilo del cacciatore è cambiato: «Fino a 15 anni fa, due terzi dei cacciatori provenivano dalle Valli e avevano almeno un parente cacciatore. Oggi, questa proporzione si è capovolta: due terzi di chi decide di seguire una formazione proviene dalla città e non ha alcuna esperienza diretta».

Oggi, la figura del cacciatore è cambiata, come è cambiato anche il suo ruolo. «La caccia non è più soltanto una tradizione antica da difendere. No, la caccia ha un ruolo specifico nell’ecosistema. E il cacciatore ne è parte integrante». Da anni, ormai, ai cacciatori viene infatti affidato il compito di regolare le popolazioni di animali selvatici per mantenere un equilibrio tra fauna, ambiente e attività umane. «La parola chiave è, appunto, equilibrio», ha ripetuto Corti. Insomma, la caccia è parte della natura. O meglio: la natura ha bisogno della caccia. Ed è qui che, allora, i numeri dei capi abbattuti tornano ad avere un senso compiuto e smettono di essere un mero conteggio.

A dirlo è stato anche Andrea Stampanoni, collaboratore scientifico dell’Ufficio caccia e pesca, presente ieri accanto alla Federazione: «È lo Stato che chiede ai cacciatori di cacciare di più. Questo punto deve essere chiaro. In trent’anni, il numero di ungulati abbattuti è passato da meno di 2 mila a oltre 7 mila. Ma se questo numero è cresciuto è perché ci sono chiari limiti biologici che impongono per certe specie uno stop alla crescita: il cacciatore svolge questo compito di riequilibrare la fauna».

Non deve stupire allora la presenza di un rappresentante dello Stato a suggellare il ruolo del cacciatore quale partner nella gestione degli equilibri faunistici: «Senza i cacciatori sarebbe semplicemente impossibile svolgere questo compito», ha aggiunto Stampanoni, il quale ha sottolineato come negli anni i rapporti tra Ufficio caccia e pesca e cacciatori siano evoluti all’insegna di un reciproco riconoscimento. «Solamente 15 anni fa si litigava anche duramente per questioni tutto sommato banali. Oggi, invece, a fronte delle difficoltà nella gestione di alcune specie, le discussioni avvengono condividendo il medesimo obiettivo, ovvero la salute del territorio. Il regolamento sulla caccia sancisce la strategia, ma gli attori finali, ossia chi gioca la partita, sono i cacciatori».

La conseguenza diretta di questa responsabilità maggiore è una formazione più lunga e impegnativa, che richiede competenze solide in campi molto diversi, dalla sicurezza sull’uso delle armi fino alla legge sulle derrate alimentari. Ma non solo. «Oggi il cacciatore viene valutato anche sul piano etico, e la sua arma può essere ritirata persino per comportamenti che non hanno a che fare con la caccia», ha illustrato Corti.

Sono considerazioni come queste che concorrono a spiegare come la figura del cacciatore sia davvero cambiata. «Vogliamo che l’opinione pubblica e le istituzioni riconoscano questo cambiamento», ha detto dal canto suo Michele Bertini, responsabile della comunicazione della Federazione. «Vogliamo far capire, una volta per tutte, che nel mondo complesso della caccia siamo un referente serio, che lavora in collaborazione con le autorità. Allo stesso tempo, vogliamo uscire da una comunicazione puramente difensiva. La caccia non è il numero delle patenti ritirate. Desideriamo rivolgerci all’opinione pubblica e alle istituzioni per raccontare ciò che facciamo di buono e di importante, perché cacciare non significa semplicemente andare nel bosco a prelevare un capo di selvaggina: è molto di più. In una parola, vogliamo essere riconosciuti come interlocutori autorevoli, promuovendo al nostro interno un comportamento sempre più responsabile. Le competenze, le abbiamo».