Ritrovamento

La città dei morti a Giubiasco rilancia la ricerca archeologica

Uno scavo in zona Ferriere Cattaneo, all’interno di un cantiere privato, ha portato alla luce quattro tumuli dell’età del Ferro - Rossana Vergani: «Un unicum tra le circa 700 sepolture già rinvenute nella grande necropoli»
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Francesco Pellegrinelli
28.11.2022 20:10

«In questo cantiere è successo quello che nessuno poteva immaginare». Rossana Cardani Vergani è responsabile del Servizio archeologico cantonale. Siamo a Giubiasco, tra il Viale 1814 e Via Ferriere, all’interno di un cantiere privato. Sullo sfondo il frastuono dei macchinari si sovrappone al vociare degli operai che stanno ultimando la costruzione. Tra poco, la palazzina sarà a tetto. Eppure, a pochi metri di distanza, su un fazzoletto di terra che tra pochi mesi diventerà la rampa di accesso dell’immobile, l’équipe del Servizio archeologia dell’Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino, nell’ambito di una vigilanza di cantiere, ha rinvenuto trenta nuove tombe risalenti alla prima età del Ferro (VI-V a.C.). Entrando nel cantiere, si scorgono, sul terreno, i recinti murari e le sepolture bordate con i sassi, disposti uno accanto all’altro. «Questa volta, però, è un po’ diverso. Non è la solita tomba. E non sono i soliti sassi», commenta Vergani. Nell’ultimo secolo, a Giubiasco, sono state rinvenute circa 700 sepolture. «Si tratta di 700 tombe risalenti a un arco cronologico molto ampio, dall’età del Bronzo fino alla Romanità. Questa zona, da sempre, è dedicata ai morti». La grande necropoli, però, questa volta ha riservato agli esperti una scoperta inattesa e importante. «Di queste trenta sepolture, quattro si distinguono per forma e tipologia. Per la prima volta, in Ticino, sono stati ritrovati dei tumuli».

L’influenza etrusca

La particolarità di questi ritrovamenti, dunque, non va ricercata nell’epoca della loro edificazione, che rimanda - come per le precedenti - alla prima età del Ferro. L’eccezionalità va ricercata nella tipologia del monumento funerario: «I tumuli - spiega Luisa Mosetti, responsabile dello scavo di via Ferriere - sono piccole colline artificiali, sostenute da una muratura circolare, in questo caso di sei metri di diametro. Questi tumuli sono veri e propri monumenti funerari edificati per sottolineare l’importanza della persona defunta». Un’ipotesi che trova conferma nei corredi che li accompagnano. «Al loro interno sono stati ritrovati oggetti femminili. In particolare, alcuni orecchini tipici di quest’epoca, e una serie di spille che molto probabilmente chiudevano il sudario della defunta», spiega Mosetti. «Nella tomba accanto, abbiamo trovato anche un pugnale, a simboleggiare il ruolo del defunto all’interno della comunità di appartenenza». Ma al di là dei corredi, che diventano di proprietà dello Stato, la novità, come detto, va cercata nella tipologia del monumento funerario. «Il tumulo rimanda alle tombe etrusche», spiega Vergani. Una caratteristica funeraria tipica dell’Etruria, la regione storico geografica dell’Italia centrale, qui declinata in una forma più semplice. «Per quanto i tumuli rappresentino una novità nella necropoli di Giubiasco, l’influenza etrusca sulla cultura della popolazione locale - ossia i Leponti - non deve stupire», osserva ancora Vergani. «Giubiasco, oggi come ieri, è stato un crocevia di gente e popoli. È una zona privilegiata, in quanto sorge su una pianura a pochi passi dal fiume Ticino e a qualche chilometro dal Verbano. Anche rispetto ai passi alpini rappresenta un importante centro di snodo». Insomma, una regione che per la sua collocazione geografica ha subito l’influenza del nord come del sud. «Oggi la storia archeologica del Ticino trova nuovi sbocchi e, con questo ritrovamento, aggiunge un nuovo capitolo da studiare e completare», ha chiosato infine Vergani.

E ora?

Cosa ne sarà ora di questo ritrovamento? «Abbiamo un accordo con la ditta edile e il committente di lasciare il cantiere e terminare lo scavo entro fine anno», spiega Vergani. Come detto, fra pochi mesi, dunque, le trenta sepolture lasceranno spazio alla rampa di accesso dei parcheggi sotterranei del palazzo. «Gli oggetti rinvenuti verranno studiati e inseriti nei musei. Mentre gli elementi strutturali, ossia i tumuli, andranno persi. Tranne uno, che verrà recuperato in ottica di una musealizzazione futura». Le autorità hanno tuttavia ribadito la buona collaborazione avuta con il committente e la direzione lavori del cantiere. Cosa dire, invece, dal profilo normativo e legale? Questi ritrovamenti sono tutelati? «La collaborazione in questi casi è fondamentale», ha spiegato il direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali. «Vi è tuttavia un vincolo di legge che viene ribadito nei piani regolatori. Qui a Giubiasco ci troviamo in una zona archeologica. Il proprietario sa quindi che deve tollerare, per un periodo di tempo, le ricerche e la presenza degli operatori». Il proprietario del sedime, quindi, non può sottrarsi a un’analisi scientifica di questo genere. «Ed è proprio in questi casi che vanno cercati i compromessi per tutelare la ricerca ma anche il legittimo interesse economico del proprietario del fondo», ribadisce Zali.

Il paradosso

«Non c’è archeologia senza edilizia», è stato ripetuto dagli addetti ai lavori. È infatti solamente grazie a scavi simili che scoperte di questo genere diventano possibili. «L’edilizia è certamente un alleato, ma nello stesso tempo, è l’attività che dopo aver portato alla luce la storia, la distrugge», ha commentato il capo Ufficio dei beni culturali, Endrio Ruggiero. «È un processo un po’ paradossale. Senza l’attività edile non avremmo iniziato con le indagini archeologiche. La fine del cantiere, spesso, però, coincide con la distruzione parziale di questi ritrovamenti».