La crisi delle cure di lunga durata: «Non è più tempo di azioni isolate»

«Ci viene chiesto di svolgere le nostre mansioni in tempi sempre più ristretti. Ma le persone non sono numeri, hanno bisogno di essere ascoltate, di sentire che qualcuno si prende cura di loro per davvero». O ancora: «Il semplice quadro clinico non è l’identità del paziente. È fondamentale connettersi alla persona per poterla accompagnare nel suo percorso integrale, di cura e di vita». Sono testimonianze come queste che hanno spinto un gruppo di lavoratori del settore a dare forma al «Manifesto del Care», un documento che proporre una riforma radicale dell’assistenza sanitaria e sociale in Svizzera.
Un’analisi dal basso
Il Manifesto, redatto dal personale medico-sociale con il coordinamento di Supsi e Unia, costituisce un unicum a livello nazionale, in quanto per la prima volta offre la prospettiva dei lavoratori su un settore, quello delle cure di lunga durata, da tempo alle prese con una grave crisi dovuta all’abbandono della professione. «La penuria di personale è il sintomo più evidente che qualcosa non funziona», commenta al CdT Nicolas Pons-Vignon, professore in Trasformazioni del lavoro e innovazione sociale alla Supsi, nonché responsabile del progetto di ricerca partecipativa. «Il documento esprime per la prima volta, in maniera compiuta, il punto di vista del personale curante sulle cause della crisi del settore. Crisi che inevitabilmente si riflette anche nella qualità delle cure offerte». Allo stesso tempo, prosegue il ricercatore, il documento traccia una visione del settore per il 2035: «Il Manifesto immagina un sistema incentrato sui bisogni delle persone, offrendo al contempo una riflessione su come concretizzare questo obiettivo». Per la prima volta, prosegue l’esperto, i lavoratori fanno sentire la propria voce attraverso un’analisi approfondita e proposte di miglioramento. «Si tratta di riconoscere il contributo del personale di cura e d’accompagnamento come elemento essenziale di un dibattito che dovrebbe coinvolgere l’intera società». Una società che invecchia e che in prospettiva dovrà occuparsi di un numero crescente di anziani. «Secondo i dati pubblicati recentemente dall’Ufficio federale di statistica, nel 2023 in Svizzera, tra case anziani e servizi Spitex, le persone coinvolte (tra residenti anziani e lavoratori) hanno raggiunto le 850 mila unità», avverte dal canto suo Enrico Borelli, responsabile nazionale del settore «cure» del sindacato Unia. «Se consideriamo anche i familiari curanti, il numero sale a milioni di persone. È pertanto evidente che questo settore diventerà una priorità politica e istituzionale». Secondo Borelli, senza un cambiamento radicale, il sistema rischia il collasso: «Le proiezioni indicano la necessità di quasi mille nuove case anziani entro il 2040, con costi enormi e la necessità di personale qualificato, che già oggi scarseggia».
La diagnosi dal fronte
Tra le critiche più ricorrenti spicca la standardizzazione del lavoro secondo logiche tipiche della produzione industriale, spiega Borelli: «La tendenza in atto è considerare la cura e l’assistenza sanitaria come un costo da ridurre, anziché un pilastro fondamentale della nostra società». A fargli eco, Pons-Vignon: «Oggi il lavoro è organizzato attorno a obiettivi prevalentemente medici e quantificabili, dimenticando che la cura, in realtà, è un lavoro con le persone. L’assistenza sociosanitaria non è assimilabile a un qualsiasi processo produttivo. Gli imprevisti in questo settore sono infatti all’ordine del giorno e, di conseguenza, assegnare un minutaggio fisso di cure a ciascun paziente in base allo stato clinico rappresenta un errore grossolano che compromette la salute e il benessere dei residenti». Emblematico il caso di un anziano che, un giorno, ha chiesto al proprio assistente di cura di dedicargli del tempo per una conversazione anziché per la consueta toilette. Detto altrimenti: gli anziani desiderano una vita dignitosa, fatta di relazioni e partecipazione alla comunità. «Purtroppo, l’attuale organizzazione del lavoro non lo consente, con conseguenze negative sia per gli anziani sia per i lavoratori». I primi vedono ridursi la qualità delle cure, i secondi sono confrontati con la frustrazione di non poter svolgere il proprio lavoro come vorrebbero. Spiega Borelli: «Dal Manifesto emerge la forte rabbia del personale sanitario che assiste a una continua riduzione dello spazio dedicato alla qualità della vita dell’anziano. Sempre meno tempo, inoltre, viene riservato agli scambi tra colleghi, alla collaborazione interprofessionale e al coinvolgimento delle famiglie. Il personale vuole fare bene il proprio lavoro, ma si sente bloccato da logiche burocratiche che impediscono di rispondere in modo flessibile alle esigenze dei pazienti». Di qui, l’esigenza di ripensare il finanziamento e l’organizzazione dell’assistenza per garantire che i pazienti ricevano il supporto adeguato. «Il Manifesto del Care mette al centro la dignità umana dei pazienti e del personale curante», aggiunge Pons-Vignon. «È pertanto fondamentale che il sistema di finanziamento prenda in considerazione anche parametri non strettamente medici: pur non essendo facilmente quantificabili, contribuiscono infatti alla salute e al benessere psico-fisico degli anziani». Insomma, i criteri di qualità delle cure devono essere rivisti, tenendo in considerazione la voce dei salariati. Ancora Borelli: «Il personale ha dimostrato di possedere le competenze e la visione necessarie per avanzare proposte in grado di superare la grave crisi del settore». In questo senso, il Manifesto rappresenta anche un tentativo di portare nel dibattito l’esperienza diretta di chi opera sul campo. «Attraverso questo documento vogliamo contribuire al dibattito politico e sociale sul futuro delle cure di lunga durata in Svizzera». Per questo motivo, il sindacato Unia intende promuovere un’ampia diffusione del Manifesto, non solo nelle case anziani e tra il personale, ma anche tra i rappresentanti politici dei Parlamenti cantonali e federale, oltre che nei Governi.
L’alleanza allargata
«L’obiettivo è di costituire un’ampia alleanza tra sindacati (OCST recentemente si è occupato del tema), associazioni di categoria, associazioni di anziani, rappresentanti dei pazienti e familiari curanti, oltre a coinvolgere il mondo accademico. Non è più tempo di azioni isolate: dobbiamo lavorare insieme per trovare soluzioni efficaci e sostenibili», ha concluso Borelli.