L’intervista

«La cultura dello sballo? Ha anche origini svizzere»

Parla Mario Iannaccone, scrittore e saggista autore del volume «La CIA, gli hippy, gli psichiatri & la rivoluzione culturale degli anni Sessanta»
Il consumo di sostanze come l’LSD, creata a Basilea, è stata al centro della rivoluzione psichedelica degli anni ‘60. © Shutterstock
Carlo Silini
27.06.2020 06:00

La cultura dello sballo degli anni ‘60 non sarebbe stata possibile senza le ricerche del chimico svizzero Albert Hofmann, diventato un’icona per gli hippy. Parla Mario Iannaccone (nella foto sotto), autore di Rivoluzione psichedelica. La CIA, gli hippy, gli psichiatri & la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, 2020 Ed. Ares.

Il suo libro parte dall’esperienza del poeta inglese Samuel Coleridge che l’estate del 1797 assume del laudano e vede cose incredibili...

«Sì, anche perché il legame tra creatività e sostanze fa parte soprattutto del periodo romantico. Molti poeti cominciano a fare uso di sostanze per accendere l’immaginazione per vedere quello che normalmente non riuscivano a vedere. Questo, del resto, è insito nella poetica romantica: vedere l’invisibile, le connessioni segrete fra le cose. Non dobbiamo però dimenticare che Coleridge aveva problemi di ansia e si faceva prescrivere una tintura di oppio, chiamata laudano, molto utilizzata nel XIX secolo. Probabilmente ne ha presa più del dovuto e ha visto un palazzo meraviglioso, una fanciulla che suonava di fronte a un fiume che scorreva sotto un abisso... ma non è riuscito a finire la poesia ispirata da quella visione. A lui, quindi, sul piano della creatività artistica non servì molto l’esperienza vissuta».

Già Baudelaire e molti altri poeti francesi e inglesi dell’800 assumevano oppio o hascisc

Per molti altri non è stato così.

«Certo. Pensiamo a Baudelaire (nella foto sotto) e a tantissimi altri poeti francesi e inglesi nel corso del XIX secolo che facevano largo uso di oppio o di hascisc, che hanno due effetti un po’ diversi. Con Gérard de Nerval, Alfred de Musset, Honoré Daumal, Honoré de Balzac e Victor Hugo, Baudelarie faceva parte di un club di letterati francesi che si trovavano in un vecchio edificio dell’isola di Saint-Louis, a Parigi, l’Hôtel Pimodan dove si concedevano ai paradisi artificiali, come li chiamava lui».

Una tendenza che ha attraversato i secoli e caratterizza numerosi artisti, penso a molti protagonisti del rock, per esempio.

«Sì, con artisti che assumevano sostanze molto più pesanti dell’oppio o dell’hascisc. Negli anni Sessanta si crea il cliché del cantante rock e pop che deve essere un po’ maledetto, uno che trasgredisce, che deve bucare la realtà per vedere quello che gli altri non vedono e che non deve essere come gli altri. Per questo motivo e per reggere i ritmi che la moderna industria della musica impone loro, cominciano a fare uso abbondante di eroina, cocaina e sostanze psichedeliche. Comportamenti che nella gran parte dei casi rendono difficile il contatto sociale. Funzionano bene sul palco e nella festa, ma non nella vita normale. Alcuni di questi artisti, come Jimy Hendrix o Jim Morrison dei Doors ne fanno una vera e propria ideologia».

Cioè?

«Hendrix (nell’immagine sopra) era eroinomane, Jim Morrison si sentiva uno sciamano, usava sostanze psichedeliche molto forti come l’LSD o alcuni tipi di funghi, soprattutto peyote, per giornate intere. Lo faceva perché sosteneva di poter vedere l’altro mondo, la realtà che sta oltre la realtà e quindi di poter cantare canzoni che erano, a suo modo di vedere, sacre».

Ma lo sciamanesimo è un’altra cosa.

«Certo. Mentre gli sciamani indiani dell’America del nord o della Mesoamerica prendevano queste sostanze sotto stretto controllo in certi periodi dell’anno, stando seduti, all’interno di rituali molto rigidi e codificati, molti cantanti rock pop di quel periodo prendono le stesse sostanze al di fuori di ogni controllo e ritualizzazione. E ne esce un po’ di tutto».

Negli anni Sessanta si crea il cliché del cantante rock che deve essere trasgressivo e un po’ maledetto

Non a caso molti sono finiti male: Hendrix è morto soffocato da un conato di vomito dopo un cocktail di alcol e tranquillanti il 18 settembre 1970, Morrison è morto l’anno successivo ufficialmente per infarto, ma era ormai un uomo sfatto dall’alcol e dalle droghe.

«Sì, molti artisti di quegli anni sono morti così, soprattutto quelli che si sono dati all’eroina che ha un effetto diverso dagli psichedelici, essendo più tossica. C’è il famoso ‘club dei 27’, per indicare i molti artisti morti a 27 anni , alcuni dei quali noti consumatori di sostanze stupefacenti (tra il 1969 e il 1971 sono morti a quell’età Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, nella foto sotto, ndr)».

Lei scrive che molti artisti hanno consumato sostanze simili per aumentare la loro creatività, ma solo a un certo punto della storia le droghe sono state presentate come uno strumento rivoluzionario...

«Le trasgressioni fanno parte della natura umana. Ci sono sempre state e non sono mai state utilizzate consapevolmente, fino all’epoca moderna, come strumenti per trasformare il mondo. Ma agli inizi degli anni Cinquanta e soprattutto nel decennio successivo sorge un movimento costituito da filosofi, scrittori e in molti casi psicologi, psichiatri e antropologi i quali cominciano a teorizzare la necessità di un miglioramento della società anche attraverso l’uso di sostanze che potessero rompere gli schemi rigidi della vita di allora. Schemi morali, di pensiero, di tolleranza. E propiziano la diffusione di sostanze che fino a quel momento erano state usate solo in ambito militare o in ambito scientifico».

Va infatti ricordato che queste sostanze nascono prima di tutto per un uso medico.

«Esatto, un uso lecito se si trova che una sostanza possa aiutare a risolvere qualche tipo di problema. Ma il movimento di cui parlavo prima comincia a proporre l’uso di queste sostanze nei campus universitari, tra le persone che partecipano ai concerti, nei salotti. Uno dei massimi teorici di questa rivoluzione ‘dolce’, come la chiamavano loro, è Aldous Huxley che ha trovato deli accoliti famosi, tra cui Timothy Leary uno psicologo militare che aveva lavorato ad Harvard e poi ne fu espulso. Insomma, con loro inizia una diffusione abbastanza pervasiva che poi sfugge di mano».

Che cosa succede?

«Succede che la Sandoz decide di non produrre più LSD. Loro, infatti, la facevano per usi scientifici e in teoria era destinata solo ai dottori. Ma, appunto, la situazione sfugge di mano e la sostanza viene fatta da produttori indipendenti. Così, nel 1966, le maggiori droghe psichedeliche vengono messe fuori legge prima negli Stati Uniti e poi in Europa. Ma nel frattempo si era creata una cultura della droga di massa. Dopo gli psichedelici arriva l’eroina, mentre la cocaina era stata sempre presente. L’hascisc era stata proibita per molti anni, ma era molto diffusa, seppure con un effetto molto meno potente».

E dopo il bando dell’LSD?

«Quando le droghe sono state bandite i teorici della rivoluzione psichedelica sono andati un po’ sotto traccia, ma hanno continuato a lavorare sperando di poter rendere nuovamente legali queste droghe. In alcuni casi hanno promosso progetti molto seri in alcune fondazioni e università. Un aspetto che riveste un’estrema attualità perché anche oggi si torna a proporre l’LSD come sostanza curativa. L’idea è che possa provocare dei traumi controllati nella percezione che in qualche caso possono aiutare, per esempio gli alcolisti. Ma l’applicazione più inquietante è il fatto che venga proposta per migliorare il modo di stare nel mondo degli adolescenti».

Una finalità «pedagogica»?

«Sì, quella teorizzata da Aldous Huxley in uno dei libri più influenti del Novecento, L’Isola, del 1962. Huxley racconta di una società isolata dove si pratica un culto allucinogeno. Michael Pollan, autore di Come cambiare la tua mente, ha fatto una cronistoria di quanto è successo dal ’66 ad oggi ed ha elencato gli autori che ancora oggi propongono lo sdoganamento di queste sostanze. Quasi sempre vengono dalla California ed hanno lavorato nelle grandi industrie tecnologiche».

Lo svizzero Carl Gustav Jung è stato visto come una specie di padre nobile della controcultura psichedelica...

«In realtà lui non faceva uso di queste sostanze né per sé né con i suoi pazienti. Ma alcuni suoi discepoli, come Joseph Campbell e James Hillman, promuovono con successo l’interpretazione junghiana degli allucinogeni come varco, porta o ponte che consente di passare nell’Altro Mondo. Si sa che come ‘aiutino’ molti psicanalisti americani usavano piccole dosi di LSD perché pensavano che favorisse l’associazione di idee. Tra gli amici di Jung va segnalato Otto Gross, psicanalista anarchico fuori dalle righe che aveva frequentato il Monte Verità ad Ascona e a un certo punto si è dato alle droghe per problemi personali. Fu un rivoluzionario culturale e alla fine venne anche internato».

Abbiamo parlato molto dell’LSD, l’eredità «svizzera» alla controcultura americana.

«Certo. La figura essenziale, qui, è quella del chimico Albert Hofmann (nella foto sopra), il giovane laureato in chimica all’Università di Zurigo che venne assunto nell’industria farmaceutica Sandoz di Basilea. A un certo punto lavora alla sintesi di molecole derivate dall’ergot, un fungo che cresce sulla segale cornuta e ne provoca la morte. Un fungo che in passato aveva creato intossicazioni in alcune zone dell’Europa e che portava la gente a vedere cose strane».

L’LSD che conosciamo non è stata scoperta subito.

«No. Hofmann sintetizza alcune molecole, per la precisione 24, e cerca di capire a cosa possano servire (per esempio per curare il mal di testa). Quando arriva alla 25, che chiama LSD 25, nel momento in cui la sintetizza non succede niente di particolare. Con un dito tocca la sostanza e prova un effetto di straniamento. Siamo nel 1938. Poi la mette via dicendo che non cura nulla. Ma qualche anno dopo, nel 1943, non si capisce per quale ragione, va a rivedere questa sostanza e decide di assumere per via orale una soluzione acquosa contenente 0,25 milligrammi di tartrato di dietilamide dell’acido lisergico, una variante solubile della sostanza: un dosaggio estremamente basso per qualsiasi medicinale. Così fa il suo primo ‘trip’. Mentre pedala verso casa, ha la stranissima impressione di essere bloccato sempre nello stesso punto, anche se – testimonierà l’assistente – non cessa di pedalare di gran lena. A casa vede tutto deformato e ‘come spinto da un’irrequietezza interna’. Prova quella che definisce ‘la disintegrazione del mondo e la dissoluzione dell’Io’. Si sente dominato da un dèmone e il suo corpo perde ogni sensazione mentre lui si sente trasportato in un altro tempo e in un altro luogo».

E poi che fa?

«Va dal medico per verificare come sta e accerta che tutti i suoi parametri vitali sono a posto. Capisce che tutto è avvenuto nella chimica del suo cervello. A effetto finito fa provare a due dirigenti della Sandoz la sostanza. Gli scienziati la giudicano come ‘psicoto-mimetica’, cioè capace di indurre una follia momentanea. E individuano come possibile uso il fatto che un dottore assumendo questa sostanza potrebbe capire le dissociazioni e i problemi dei suoi pazienti. La Sandoz inizia la distribuzione dell’LSD-25 solo ai dottori con il marchio Delysid. Se ne interessano inglesi e americani e quando la sostanza arriva in California l’uso diventa un po’ più libero. Il salto avviene quando il Delysid finisce nelle mani del dottor Timothy Leary che in quel momento era un docente sperimentatore a Boston che con un collega testava varie sostanze come la mescalina. Quando però scopre l’LSD gli si apre un mondo: è molto più potente, ha effetto in dosi bassissime e dura più a lungo. I due vengono cacciati all’università perché cominciano a distribuire LSD nell’università e nei parchi accademici. E diventano rivoluzionari».

L’LSD nasce a Basilea per finalità mediche, ma presto se ne intuiscono i possibili usi «creativi»

Cosa fanno?

«Fondano delle colonie psichedeliche, una in Messico e una vicino a New York dove l’LSD viene utilizzata largamente. Alle sessioni viene gente di spettacolo. Va detto che contemporaneamente, sull’altra costa degli Stati Uniti altre persone si interessano all’LSD e si creano delle vere e proprie cliniche dell’LSD. Perché ci sono scienziati di varie estrazioni che si convincono che questa sostanza, che all’inizio degli anni Sessanta non era proibita, poteva indurre una sorta di stato mistico-chimico. Poteva insomma essere un sostituto della preghiera e della mistica. E a promuoverla ci si mettono perfino delle star del cinema».

Per esempio?

«Per esempio l’attore Cary Grant (nella foto sopra). Non perché fosse un alternativo. L’LSD gli viene prescritta dal dottore per curare una lieve forma di depressione che lui aveva».

Torniamo a Hofmann.

«È un personaggio curioso, ma negli anni Sessanta, quando scoppia questo stato alterato di coscienza di massa soprattutto in California, viene chiamato in California come se fosse un guru. Lui resta compassato - un chimico svizzero - ma sta al gioco anche se gli mettono in testa dei fiori. Diventa amico di tutti questi personaggi fuori dalle righe, come il poeta Allen Ginsberg. Lui scriverà dei libri sull’LSD definendola come un bambino difficile, perché gli aveva provocato discredito in certi ambienti, ma era diventata una sostanza così diffusa nel rock che lui stesso era un’icona della controcultura. È curioso che diventino icone della controcultura due personaggi apparentemente così distanti da quel mondo come Hofmann e il più importante scrittore tedesco del suo tempo, Ernest Jünger, autore del libro Heliopolis».

Quando chiediamo a Mario Iannaccone che cosa resta oggi della rivoluzione psichedelica indica tre aspetti. Eccoli:

Le droghe enteogene

Il residuo più importante di questa stagione – spiega - sono le droghe come l’ecstasy, perché negli anni Ottanta diventano il sostituto dell’LDS o di altre droghe proibite. «Alcune di queste hanno un effetto simile. Fino a qualche anno fa venivano chiamate ‘enteogene’, cioè che rivelano l’interiorità. Poi si è cominciato a farne un uso selvaggio, nei rave party per esempio. Sono sostanze che inducono delle trance estatiche particolarmente se ci sono dei ritmi molto forti. Questo è il primo e forse il più importante residuo e suscita delle preoccupazioni perché queste droghe si sono diffuse molto, costano pocoe sono facili da produrre». Il problema, aggiunge, è che uno dei protagonisti della stagione psichedelica californiana, un chimico di origini russe, inizia a sintetizzare decine di queste droghe e in concomitanza con la nascita di internet ne mette le formule online. «Di modo che se una persona ha qualche nozione di chimica riesce a produrle da solo».

Il «diritto» di sballarsi

La seconda eredità, «al di là del fatto che all’inizio queste sostanze hanno davvero indotto una notevole creatività, soprattutto nella musica rock, è il contraccolpo violento che ne è derivato quando è stata vietata l’LSD. Perché è arrivata l’eroina. C’è negli anni Settanta una strana sostituzione tra le droghe sintetiche che creavano scompiglio. In questa fase hanno un ruolo importante le organizzazioni malavitose internazionali. L’eroina è molto più tossica e produce molti morti. Dopodiché la cultura dello sballo è stata considerata una specie di diritto dei giovani. L’idea ereditata è che la persona giovane ha diritto alla sua dose di sballo chimico. Purtroppo, questa cosa non viene più condannata, anzi. Passa l’idea che se non lo fai sei uno sfigato». Un lascito sociale e culturale pesante, insomma. «Sì, perché prima questa cosa veniva fatta dalle élite, non usciva dai gruppi ristretti, ma dagli anni Sessanta in poi diventa un fenomeno di massa».

Lo sdoganamento

La terza eredità di quell’epoca su cui occorre vigilare, secondo Iannaccone, «è testimoniata da Michael Pollan e consiste nel tentativo di riproporre le sostanze psichedeliche nello stesso modo in cui lo faceva Aldous Huxley nel suo libro L’Isola, cioè come passaggio necessario del giovane alla maturità, per superare la tendenza all’intolleranza, per imparare a vedere la connessione tra tutte le cose. Sono teorie diffuse oggi da sedicenti leader spirituali come Bob Jessy, attivista che si è impegnato negli ultimi vent’anni per inaugurare programmi di uso di sostanze psichedeliche con finalità diciamo così ‘rieducative’. Un lascito inquietante, insomma».