La famiglia Fontana, geniale e pericolosa

Borromini, Adamini, Guidini e Fontana. Sono quattro casati ticinesi illustri, eccellenze che abbiamo esportato all’estero nei secoli passati e di cui si parla nell’ultimo libro di Stefania Bianchi, «Uomini che partono», edito da Casagrande. Chiediamo all’autrice di raccontarci i Fontana, una famiglia caratterizzata dalla presenza di un genio come Carlo Fontana, architetto papale, e al contempo di numerosi briganti che occuparono le cronache giudiziarie del Seicento.
«I Fontana della Brusata di Novazzano - ci spiega Bianchi - fin dal Cinquecento praticano all’estero i cantieri delle città europee e in patria le cattive compagnie. Mentre alcuni lavorano in Boemia e in Italia, altri prestano il loro braccio per le malefatte dei potenti della regione. Le vicende sono per molti aspetti già note perché pubblicate dal Monti nel suo testo sul Mendrisiotto. Siamo di fronte a una famiglia che localmente ha potere, con questa residenza simbolica, la Bruciata, una cospicua tenuta con la casa da nobile, la cappella dedicata alla Madonna e le case massarizie, del tutto isolata e più vicina al confine che al nucleo di Novazzano di cui è frazione. In questa magione si sono avvicendate personalità affratellate con nobili casati, quali gli Odescalchi, i Troger, i Turconi, i Beroldingen, ma anche e a volte nel contempo, con individui e famiglie di scarsa moralità con cui condividono intrallazzi di confine, risse, imboscate, omicidi».
Dal brigantaggio alla gloria, quindi?
«La loro era una situazione socialmente borderline, diremmo oggi, dato che fra i suoi avi si contano zii e cugini coinvolti in delitti, lo zio Carlo prete con figli a carico e il cugino Marsilio, a sua volta morto assassinato. Fortunatamente per il futuro architetto il ruolo giocato dalle relazioni parentali della madre, Francesca della Pelle, sarà preponderante per la sua vicenda biografica e professionale. Infatti Carlo Fontana non nasce a Novazzano, ma a Rancate dove i genitori si sono da poco trasferiti grazie all’eredità giunta a Francesca che consente alla coppia di abbandonare la Brusata e i suoi scomodi antenati. Tuttavia, divenuto rinomato architetto romano, Carlo non rinnega il passato ma lo vuole nobilitare per meritarsi il titolo di Cavaliere. La Brusata diventa simbolo dell’atavico prestigio della dinastia Fontana, il nido della famiglia, misurato e descritto in tutta la sua opulenza da Antonio Roncati, cognato dell’architetto, mentre Sisto Sassi, altro parente, si impegna nella ricostruzione della stirpe, degna certificazione di antica nobiltà, allestendo un albero genealogico farlocco che ne fa risalire le origini al patriziato veneto del XIII secolo e con un collegamento parentale coi Fontana di Melide, ovvero Domenico, suo grande predecessore al servizio del’Urbe. E così tutto quadra: origini, status e genialità ereditaria».
Ogni medaglia ha il suo rovescio: tanti partenti, anche illustri, dal Ticino significava anche tanti brillanti assenti dal nostro territorio. Cosa ha significato, concretamente, questo per le nostre terre?
«Come accennato precedentemente le partenze non sono vere e proprie perdite perché c’è sempre un ritorno che si manifesta in molti modi, a differenza delle odierne partenze per studi universitari, irreversibili dal momento che il Cantone offre modeste prospettive sotto ogni punto di vista. Per il passato quelle definitive riguardano di solito le eccellenze, ovvero le personalità che hanno raggiunto pieno successo professionale e si sono integrate nella patria d’accoglienza spesso anche grazie al matrimonio con una giovane del luogo, oppure i perdenti, coloro che hanno fallito e caduti in miseria non tornano a casa per nascondere il fallimento o più semplicemente perché non hanno i soldi per farlo. Comunque questi destini tendenzialmente si limitano a un membro o una parte della famiglia perché il bilocalismo o il plurilocalismo sono pratica costante delle strategie migratorie. Questa è una delle regole costanti che ricorrono nelle logiche migratorie tanto delle famiglie dell’emigrazione “alta” quanto di quelle che praticano umili mestieri».
Con quale obiettivo?
«La conservazione del fuoco acceso, della vicinia che permette l’accesso agli usi civici del territorio comunale, fondamentale se occorreva abbandonare i luoghi del lavoro. Inoltre per uomini che partono altri ne arrivano, subentrano nelle mansioni quotidiane e nell’arco di due tre generazioni diventano nuova forza lavoro pronta a partire, alimentando così i circuiti economici; oppure nuove presenze giungono dalla vicina Lombardia e contribuiscono alla crescita del paese portando competenze e capitali soprattutto nei settori commerciali e protoindustriali della società dei baliaggi, nuove risorse che vanno ad aggiungersi a quelle date dalle rimesse che sono monetarie ma anche sociali e culturali».
Quali tracce restano di questo fenomeno?
«Non c’è paesino, alle nostre latitudini, che non conservi il ricordo di questo grandioso fenomeno: quadri d’autore acquistati all’estero per l’altare o per cappelle gentilizie, reliquie di santi giunte da lontano, statuette di madonne, decorazioni in marmo e in stucco eseguite dalle abili mani di chi ha frequentato prestigiosi cantieri, o affreschi come l’Andata al Calvario, tutti segni di un’importante anima della storia della Svizzera italiana dell’età moderna».