Due giorni al voto in America

La folle campagna delle presidenziali USA termina a Philadelphia

Kamala Harris e Donald Trump incontrano i propri elettori domani sera l’una a poche centinaia di metri di distanza dall’altro, metafora perfetta di uno scontro il cui esito è imprevedibile - Una massiccia affluenza alle urne dei giovani potrebbe dare la vittoria alla vicepresidente dem
Kamala Harris ha concentrato gli ultimi sforzi della campagna elettorale in Pennsylvania, Stato decisivo per la vittoria finale. © EPA/Will Oliver
Davide Mamone
03.11.2024 20:00

James Carville, il veterano stratega democratico che servì come consulente della campagna elettorale di Bill Clinton nel 1992, descrisse la Pennsylvania così: «È Philadelphia e Pittsburgh, con l’Alabama nel mezzo» disse, per indicarne il complicato equilibrio tra grandi città ai lati, zone suburbane tutte attorno e infinite - seppur molto diverse tra loro - aree rurali nel mezzo.

Martedì notte, la risoluzione di questa complicata equazione potrebbe risultare decisiva, non solo in Pennsylvania ma anche negli altri Stati chiave del Midwest e del Sud, per risolvere la dicotomia «città vs periferie» al centro del dibattito politico statunitense da ormai un decennio e porre la parola fine a una delle elezioni più estenuanti della storia moderna del Paese. E che Kamala Harris e Donald Trump considerino proprio la Pennsylvania, con i suoi 19 pesantissimi grandi elettori, una priorità, è evidente: basta guardare alle massicce quantità di sostenitori presenti ai comizi e ai dieci sondaggi effettuati nello stato tra il 25 e il 31 ottobre. Secondo FiveThirtyEight, cinque danno Harris in vantaggio, tre sono favorevoli a Trump, due in perfetta parità. Tutti ben all’interno dei margini d’errore.

Voto giovane

In queste settimane elettorali è relativamente facile capire quando si entra, con l’auto, in uno dei cosiddetti Swing States - la Pennsylvania, ma anche Michigan, Wisconsin, Arizona, Nevada, Georgia o North Carolina. Basta sintonizzarsi su una qualsiasi radio, infatti, per essere inondati da spot elettorali in vista del voto di martedì che, come detto, almeno secondo i sondaggi sarà serratissimo.

In un ristorante a King of Prussia, una piccola cittadina-outlet nei sobborghi di Philadelphia che ricorda un po’ la Serravalle del Nord Italia, Charles Harrison non ha però dubbi: i sondaggi stanno sottostimando l’apporto delle donne e male interpretando quello degli elettori tra i venti e i trent’anni. «Nel campus della mia università non ho mai visto questo entusiasmo per convincere i più giovani a votare: l’affluenza sarà molto elevata», dice mentre sparecchia l’ultimo tavolo del turno serale. La sua storia è particolare: veterano, nativo della vicina Norristown, è tornato in università da poco per studiare medicina e ricominciare una nuova vita.

Le elezioni si sentono tanto, spiega. «Si parla sempre di preoccupazione, ma attorno vedo anche molto entusiasmo per fare la propria parte come giovani elettori», dice. Decine di migliaia sembrano pensarla allo stesso modo. Sono i rappresentanti di una fascia storicamente fondamentale per capire l’andamento del voto, ma nessuno sembra essere in grado di quantificarli: più i giovani vanno alle urne, però, più aumenta l’affluenza; e più aumenta l’affluenza, più il Partito democratico tende a emergere come favorito.

In queste pazze elezioni, nelle quali tutto e il contrario di tutto sembra ugualmente possibile, la corsa al voto giovane si è allargata ad altre categorie, focalizzandosi ad esempio su un identikit spesso dimenticato, specie nelle grandi città più progressiste: quello dell’uomo sotto i trent’anni, non laureato, ma già ampiamente immerso nel mercato del lavoro, generalmente disinteressato alla politica, forse più pronto a recarsi ai seggi per la prima volta in questo 2024.

Trump ha concentrato molte delle sue energie su questi giovani uomini, concedendo interviste a podcaster e blogger che operano su media alternativi e focalizzando il proprio messaggio politico sui temi a cui sembrano interessati di più: economia, mercato immobiliare e inflazione.

Cambiamenti e soluzioni

Durante gli ultimi due anni sono cambiate moltissime cose. Il Partito democratico ha abbandonato il proprio candidato Joe Biden dopo il disastroso dibattito dello scorso giugno, sostituendolo con Harris, che ha avviato una campagna lampo di tre mesi tutta basata su libertà, speranza e classe media. Il Partito repubblicano ha volutamente lasciato da parte Nikki Haley, la candidata che ha sottratto più voti a Trump di qualsiasi altra alternativa negli ultimi otto anni, per poi fingere che l’insurrezione del 6 gennaio - da cui molti conservatori si distaccarono, sdegnati, a caldo - non sia mai accaduta.

Nel frattempo, Trump è stato condannato nel caso Stormy Daniels da una giuria newyorkese ed è sopravvissuto ad almeno tre attentati - in quello più grave, a Butler, in Pennsylvania, è stato ferito al volto.

Una guerra in corso, allargata, in Medio Oriente, è in atto e non cenna a dissiparsi. Un’altra è in stallo ai confini dell’Europa, con il presidente russo Vladimir Putin alla finestra proprio per i risultati di martedì. A non essere mai cambiati, in questo vortice di colpi di scena, sono però gli Stati in cui si deciderà l’esito delle elezioni. Così come non sono cambiate le combinazioni per arrivare a quota 270 grandi elettori e vincerle. Se Harris trionferà in Pennsylvania - dove la sua campagna ha bussato a 807 mila porte solo nella giornata di sabato - in Wisconsin - 940 mila chiamate agli elettori per la campagna della candidata dem - e Michigan - 256 mila porte bussate in 24 ore - e tiene il distretto del Nebraska che include la cittadina liberal di Omaha, vince le elezioni senza bisogno di imporsi in Nevada, dove sono giunti segnali molto favorevoli ai repubblicani dal voto anticipato.

Se però Harris perde uno di quei tre Stati e Trump tiene in Arizona, Georgia e North Carolina, le elezioni le vince l’ex presidente. E se Harris dovesse imporsi sia in Georgia che North Carolina? Potrebbe fare a meno di Michigan e Wisconsin, ma non della Pennsylvania. A tal proposito, Trump sembra puntare molto su Pennsylvania proprio per potersi permettere di perdere una tra Georgia e North Carolina. Calcoli e sussurri di un sistema articolato, reso ancora più complesso da una campagna elettorale durissima e brutale. Campagna che termina domani a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove sia Harris sia Trump saranno protagonisti di due comizi ad appena un chilometro e mezzo di distanza, metafora perfetta di una corsa presidenziale che li vede appaiati da più di novanta giorni.

E Michelle parla alle donne

I dati sul voto anticipato sembrano far emergere due dinamiche. La prima: il voto delle donne sarà assolutamente decisivo. La seconda: se Trump e i repubblicani tengono vicina la loro fetta di elettori laureati nelle periferie e al tempo stesso aumentano il proprio margine tra le minoranze afroamericane e ispaniche, l’ex presidente torna a sedersi nello studio ovale.

Proprio per questo, Michelle Obama si è presentata sabato sera a Norristown, un sobborgo di Philadelphia dove ha parlato di fronte a una folla di più di 2.000 persone (altre 6.000 e più sono state costrette fuori per assenza di spazio), con l’idea di lanciare un messaggio chiaro alla base dem. «Siamo inondati da voci che ci dicono di essere sospettosi dei nostri vicini e che ci sia un nemico interno. Non è normale. È sconcertante. È pericoloso. Ed è vergognoso».

Parole per elettori come Thierno, immigrato senegalese naturalizzato e al suo primo voto. «Non c’è crescita senza democrazia e mi sembra che Trump nulla mi offra di meglio sull’economia», dice al CdT. È possibile che molti uomini non votino Harris perché donna? «Sì, è possibile - spiega - Ma conosco anche conservatori che voteranno dem per la prima volta». E Kenia, donna afroamericana convinta che l’alternativa a Harris non esista, si dice disgustata dalla fine del diritto all’aborto e preoccupata che Trump possa frantumare la democrazia americano. «Dopo il 6 gennaio, non è da pazzi pensarlo».