La fortuna dell’iPhone 13 e il mistero del satellite

A quasi dieci anni dalla morte di Steve Jobs la Apple è più viva che mai e sotto la guida di Tim Cook si appresta ad entrare nell’era dell’iPhone 13 con prospettive che vanno molto al di là di un prodotto vincente. Perché quello di Apple rimane un mondo a sé, unica considerazione che unisca i tanti simpatizzanti e antipatizzanti.
Il nuovo prodotto
In questo settembre il nuovo smartphone dell’azienda di Cupertino inizierà ad essere commercializzato. La data come al solito è incerta, forse martedì 14: strategia di marketing che in tanti altri casi i fedelissimi del marchio hanno apprezzato. Queste le novità di un prodotto dal design abbastanza simile all’iPhone 12: memoria aumentata fino a 1 TB, fotocamere e batterie migliorate, nuovo processore (l’A15). La Apple ha previsto una produzione di oltre il 20% superiore a quella di altri iPhone a questo punto della fase di lancio. Stiamo parlando di un telefono, termine che sembra antichissimo, che costerà come minimo 839 dollari e che uscirà in quattro diversi modelli (Standard, Mini, Pro e Pro Max) sfidando la scaramanzia, visto che nel mondo anglosassone sono in molti a pensare che il numero 13 porti male. In realtà la fortuna ha quasi sempre baciato l’iPhione, la cui prima versione risale al 2007.
Il segreto
Coperto invece da assoluto segreto il vero colpo da copertina, che Apple sta studiando da anni e che di sicuro si giocherà: se non sarà sull’iPhone 13 sarà sul 14. Stiamo parlando della possibilità di trasformarsi in telefono satellitare, anticipata dall’analista Ming-Chi Kuo e confermata da Bloomberg: questo iPhone o il suo successore si potranno - con il nuovo chip di Qualcomm - connettere a satelliti a bassa orbita terrestre permettendo così di comunicare anche nelle zone non coperte da 4G o 5G. L’ipotesi intermedia è quella di permettere l’uso satellitare solo per le emergenze, ma la strada è comunque questa: un iPhone che consenta di essere connessi in ogni singolo punto del mondo.
Apple Watch
Anche l’uscita della settima versione dell’orologio tuttofare è questione di settimane, con nuove funzionalità che potrebbero colpire la fantasia del grande pubblico: un misuratore di pressione sanguigna, un termometro per pianificare la fertilità femminile, un rilevatore di apnea del sonno. Si tratta di indiscrezioni, sia pure del tipo pilotato, non di annunci di un’azienda che comunque, parole di Cook, punterà sempre più sulla salute e app collegate. Lo smartwatch non è un giochino, visto che nel 2020 ha portato ad Apple 13 miliardi di dollari di fatturato, con una quota di mercato del 65%. Ma soprattutto è un prodotto nato e commercializzato dopo la morte di Jobs (la prima versione è del 2015), quindi è anche un segno di vitalità di un’azienda che secondo molti ha soltanto gestito in maniera intelligente l’eredità del fondatore.
Apple Car e gli occhiali di Cook
Al di là dei miglioramenti che verranno annunciati per la terza generazione di Air Pods, la sesta di iPad mini e la nona di iPad propriamente detti (il prodotto perfetto, quello che Jobs sognava fin dagli anni Settanta), l’azienda con il maggior valore borsistico al mondo, 2.539 miliardi di dollari, deve puntare anche sui sogni e poche cose fanno sognare più della vecchia automobile. Apple ci sta lavorando da tanto, ma non vuole fare la Google o la Tesla dei poveri, non se lo può permettere. Al momento sta lavorando con i principali costruttori per integrare nell’iPhone il sistema di accensione delle rispettive auto, ma l’idea ambiziosa di Cook è quella di una auto Apple iperconnessa, green, senza veri concorrenti come tutti i prodotti Apple.
Nel futuro prossimo di Apple ci saranno di sicuro gli occhiali a realtà aumentata, importanti non solo per il fatturato dell’azienda ma anche per la permanenza al comando di Tim Cook. L’amministratore delegato fra poco compirà sessantuno anni e da dieci guida Apple, per una precisa scelta di Steve Jobs che già durante la malattia si era fatto più volte sostituire da quel dirigente da lui stesso ingaggiato nel 1998 e particolarmente capace nell’organizzazione e nella cura della catena distributiva. Non genio e sregolatezza, insomma, ma un uomo che non ha toccato la filosofia di Apple, limitandosi a perfezionarla: le vendite sono passate da 100 miliardi di dollari all’anno a 347, gli utili da 23 a 86. Quello che gli manca, al di là delle soddisfazioni avute con l’Apple Watch, è un prodotto iconico che davvero cambi la vita delle persone. L’Apple Car è un sogno, gli occhiali a realtà aumentata invece sono qualcosa di molto più vicino nel tempo e alla stessa storia di Apple. Per Cook, primo grande dirigente americano a dichiararsi pubblicamente gay, con grandi ambizioni politiche anche se il suo carattere schivo non sembra quello adatto, non è ovviamente questione di soldi: il suo patrimonio personale, fra liquidità e azioni Apple, è stimato da Forbes in circa 2 miliardi di dollari. Sta dando segni di stanchezza, parlando sempre più spesso della sua vita dopo Apple, ma vuole anche lasciare un segno.
Quando la legge sconfigge le scorrettezze ma non la pigrizia
La guerra dei link è stata persa da Apple, anche se la sconfitta è parziale e prima del 2022 sull’App Store non cambierà niente. Esultano con moderazione i vari Netflix e Spotify della situazione, per non parlare dei piccoli sviluppatori, che potranno inserire nelle rispettive app un collegamento diretto ai propri siti web.
Quelli del 30%
La questione non è soltanto da addetti ai lavori, perché nel 2020 l’App Store di Apple ha fatturato 72 miliardi di dollari, cifra superiore al PIL di almeno una ventina di nazioni europee. E chi vende attraverso l’App Store deve riconoscere ad Apple una commissione che varia a seconda del potere contrattuale ma che nella maggior parte dei casi tocca il 30%. La base di tutto è che qualsiasi rapporto, sia come gestione degli abbonamenti o degli acquisti sia come pagamenti, è intermediato dall’azienda di Cupertino e quindi in alcun modo il venditore poteva comunicare con la propria clientela. A meno di non darle un riferimento al di fuori del mondo Apple, quindi con un link ad un ormai antico sito web, come fra qualche mese sarà possibile.
Anni di pressioni
La settimana scorsa, dopo anni di pressioni, l’annuncio di Apple, che quindi consentirà agli sviluppatori di segnalare il famoso link. In sostanza chi vende il suo prodotto o app tramite l’App Store di Apple potrà portarsi questa clientela anche al di fuori, gestendola direttamente e risparmiando sulla commissione. Anche se poi nella realtà per trattenere l’utente finale dovrà offrire un forte sconto, che lo convinca a rinunciare alla comodità di rimanere nell’ambiente della Mela: quindi il risparmio sulla commissione potrebbe anche essere eroso, rendendo praticamente inutile questa pratica.
Niente videogiochi
Apple è diventata buona? No. Questa apertura è arrivata in seguito ad innumerevoli cause portate avanti in Giappone, in Corea del Sud, in Europa da parte di Spotify e soprattutto negli Stati Uniti, con la futura sentenza su Epic Games (i produttori di Fortnite) che potrebbe davvero dare una mazzata alle rendite di posizione dell’App Store. Sì, perché il trucco è che questa concessione dei link non vale per il settore videogiochi, che pesa per l’80% su tutte le transazioni dello store. Il trucco nel trucco è che Apple vada avanti attraverso piccole concessioni come quella di mercoledì scorso e accordi con gli antitrust dei singoli Paesi, sperando che una legge in materia arrivi il più tardi possibile o addirittura mai.
Antico
Il perfetto meccanismo dell’App Store e degli acquisti in-app era stato messo a punto direttamente da Steve Jobs, in un’epoca in cui il mondo Apple era ancora più esclusivo rispetto ad oggi. L’ideologia sottostante è rimasta quella del giorno dell’apertura, il 10 luglio 2008, cioè quella di un negozio che non consenta alternative a chi faccia acquisti tramite iPhone, iPad e Mac. Tutto quindi viene venduto tramite iTunes ed è logico pensare che chi acquista in questo modo un giornale poi avrà più confidenza nell’acquistare un altro tipo di app, seguendo schemi che gli sono familiari invece che imbarcarsi ogni volta in nuove iscrizioni, username, password, comunicazioni di carte di credito eccetera. La legge può battere comportamenti scorretti, ma non la pigrizia.