«La guerriglia in Kazakistan è stata pianificata a lungo»

Fino pochi giorni fa ritenuto un modello di stabilità nell’Asia centrale, il Kazakistan da domenica scorsa è piombato sull’orlo di una guerra civile. Ecco cosa si sta verificando.
Le proteste contro l’aumento del prezzo del gas, domenica scorsa in Kazakistan, hanno quasi scatenato una guerra civile. Ora nel Paese sembra tutto sotto controllo, nonostante la scia di morti e feriti seguiti ai cruenti scontri. Cos’è accaduto?
«Tutto è iniziato il 2 gennaio a Jañaözen (ex Novy Uzen), città sud occidentale dedita all’estrazione di gas e petrolio, già teatro di un massacro di operai in sciopero dieci anni fa, nel dicembre 2011. Il decennale della strage, in concomitanza con la crisi energetica che investe gran parte del mondo, ha acceso gli animi di molti facinorosi in tutto il Kazakistan. Sullo sfondo non ci sono solo gli sbandierati diritti civili e socio-economici, ma anche faglie etnico-culturali sulle quali le intelligence straniere più disinvolte possono giocare per sobillare rivolte: mondo russo e panturchismo, ortodossia cristiana e islam sunnita».
Il Kazakistan ha storicamente rapporti privilegiati con la Russia. Non si è piuttosto trattato di un pretesto, di un’esplicita richiesta di democrazia?
«Naturalmente l’innalzamento del prezzo degli idrocarburi è un pretesto. Il fatto che le manifestazioni fin da subito violente non si siano interrotte nemmeno dopo lo scioglimento del Governo e l’immediata moratoria sul prezzo del gas ne è una chiara conferma. Le richieste dei manifestanti si sono estese a settori che nulla hanno a che vedere con il rincaro dei prezzi, i diritti della persona o la richiesta di maggiore democrazia, tra cui l’annullamento di ogni trattato con la Federazione Russa. Le azioni di guerriglia urbana ricordano da vicino la ’battaglia di Euromaidan’ del 2014 in Ucraina».

Il potere kazako, similmente a quanto avviene in Bielorussia, parla di ingerenze straniere in un Paese dove sono anche forti gli interessi americani. Come stanno le cose?
«Certamente sono manifestazioni eterodirette e programmate in precedenza (dal blocco delle strade all’assalto di arsenali e armerie, dagli agguati a poliziotti e soldati all’incendio dei palazzi del potere). Non si mette a ferro e fuoco una nazione così vasta in così poco tempo e senza un’adeguata preparazione. Ma non siamo più nel 2014 e una Russia guardinga non si lascia più cogliere impreparata sulla soglia di casa. Così come una ’rivolta colorata’ è stata scongiurata lo scorso anno in Bielorussia grazie al ruolo decisivo dell’intelligence moscovita, così una sovversione fintamente popolare verrà evitata in Kazakistan per mezzo del dispositivo militare russo. Mosca non si lascerà soffiare da sotto il naso questo vasto Paese transcontinentale, sede del poligono missilistico di Sary-Šagan e del cosmodromo a pertinenza russa di Bajkonur».
Cosmodromo che è anche una struttura sensibile dal punto di vista militare...
«Chi orchestra le proteste violente in Kazakistan non ha il solo obiettivo di aprire un nuovo fronte per la Russia, logorando il Cremlino e distogliendo le sue attenzioni dall’Ucraina. Ma quasi certamente ha messo sott’occhio anche lo strategico cosmodromo d’origine sovietica, che oggi svolge un ruolo essenziale nello schieramento e nelle operazioni di routine della Stazione Spaziale Internazionale. Togliere l’importante infrastruttura dalle dipendenze russe, non significa solo penalizzare Mosca dalla nuova corsa armata allo Spazio, ma anche permettere alla nuova potenza concessionaria della struttura di posizionare satelliti armati geostazionari sopra il territorio della Federazione. Proprio per non ritrovarsi con una spada di Damocle sulla testa, il presidente Putin con un giro di telefonate ha subito attivato l’articolo 4 del Trattato CSTO, l’alleanza militare di sei Paesi post-sovietici, per l’invio di contingenti a difesa delle autorità kazake. Pare che, in cambio dell’ausilio moscovita, il presidente Qasym-Jomart Tokayev abbia offerto alla Russia la disponibilità illimitata (non più al 2050) e gratuita del cosmodromo, cui abbinare una vera e propria base militare permanente».

Che fine ha fatto l’ex presidente Nazarbayev e che ruolo ha avuto in questa crisi?
«Voci non confermate danno il ’padre della nazione’ Nursultan Nazarbayev gravemente malato, forse già trasferito in Russia. In questa crisi, il longevo primo presidente del Kazakistan (1990-2019) non pare avere responsabilità dirette, se non quella di aver creato un clima di insofferenza generalizzata nel corso degli ultimi trent’anni».
Cosa accadrà ora in Kazakistan? Dal profilo geopolitico-geostrategico qual è la posta in gioco?
«Tokayev si è mosso in modo prudente e scaltro. Accondiscendendo alle richieste dei manifestanti (dimissioni del Governo e prezzo politico del gas) ne ha delegittimato le proteste; non rispondendo subito alle violenze, ma documentandole (poliziotti e militari uccisi, anche con decapitazioni) ha posto le basi per una risposta dura, giustificata e collettiva da parte degli alleati del CSTO; interrompendo ora internet e telefonia mobile, guasta la coordinazione delle manifestazioni violente e può rispondere con altrettanta efferatezza. Il fatto che oltre alle truppe aviotrasportate, le forze armate russe abbiano inviato mezzi per la guerra elettromagnetica è significativo: il blocco delle reti isola l’agente straniero dalle direttive esterne, lo costringe alla comunicazione di persona e lo espone alla cattura. Mosca può ora andare a caccia di infiltrati presumibilmente occidentali per portare teste (e prove) al tavolo dei negoziati OSCE-Russia del 13 gennaio, con i membri del CSTO in veste di testimoni. Ricomposta la crisi kazaka, i militari russi non se ne andranno dal Paese vicino».
La crisi in Kazakistan indebolirà la Russia e la Bielorussia o le rafforzerà entrambe per l’effetto «fratellanza»?
«La seconda ipotesi è più plausibile. Il presidente bielorusso Lukashenko è stato tra i più solerti a offrire ausilio politico-militare all’omologo kazako Tokayev. Anzi, ha pure rimarcato cosa sarebbe potuto accadere alla Bielorussia, se lo scorso anno non fosse intervenuto precocemente per sedare le proteste per le elezioni truccate. Siamo ben oltre la fratellanza, siamo alla complicità. Il fatto di aver attivato con successo il trattato di cooperazione militare, e risolto di fatto la crisi nel giro di 24 ore, è un messaggio tutto rivolto all’Occidente alla vigilia dei negoziati sulla parità strategica (USA-Russia 10 gennaio, NATO-Russia 12 gennaio, OSCE-Russia 13 gennaio): Mosca e i suoi satelliti sono vigili e compatti».