La morte di Provenzano vista dalla Giustizia

MILANO - Bernardo Provenzano è morto da Boss, considerato pericoloso fino all'ultimo momento, per la sua capacità di penetrazione nelle «linee nemiche», per il suo dialogo, vero o presunto che sia, con lo Stato, per la sua forza di condurre avanti le strategie che hanno consentito a lui di rimanere latitante per 43 anni. Nato a Corleone il 31 gennaio 1933, era in condizioni molto gravi dal 2012 e nei giorni scorsi si era ulteriormente aggravato. Abbiamo rivolto alcune domande su Provenzano e sul fenomeno mafioso a Francesco Gratteri, ai vertici della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato dal 2007 al 2012, e con alle spalle lunghi anni di attività investigativa nel corso dei quali ha diretto operazioni di polizia che hanno portato all'arresto di numerosi esponenti di spicco della criminalità organizzata. L'intervista completa in edicola. Qui, un estratto.Dottor Gratteri, con la morte di Provenzano si chiude un lungo capitolo nella storia della criminalità organizzata in Italia. Lei è stato per anni in prima fila nella lotta contro le cosche e conosce bene l'evoluzione del sistema mafioso. Cos'ha rappresentato Provenzano nei lunghi anni del suo dominio territoriale?
«Provenzano, insieme a Riina, Bagarella, Brusca ed altri, era al vertice di una organizzazione criminale quale è appunto Cosa nostra che in Sicilia, e non solo in Sicilia, ha esercitato per un lunghissimo tempo una quantità di attività illegali anche attraverso l'uso della violenza. Queste attività, effettuate in diverse occasioni con una elevatissima ferocia, avevano consentito a Cosa nostra di realizzare un forte radicamento sul territorio e di esercitare conseguentemente anche un controllo su una vasta aria geografica con l'effettuazione di importanti attività imprenditoriali e l'infiltrazione negli apparati istituzionali. Agli inizi degli anni Novanta, e in particolare dopo gli eventi stragisti compiuti da Cosa nostra, ricordiamo la strage di Capaci e l'attentato al giudice Borsellino, si è registrata una dura e molto efficace risposta dello Stato con tutti i suoi apparati, sia investigativi che giudiziari. Un'azione che è ancora in atto e che ha provocato una significativa compressione delle potenzialità dell'organizzazione criminale, con un significativo indebolimento del suo apparato militare».
Provenzano, durante la latitanza, è riuscito a subire un intervento chirurgico in Francia. Non sono immaginabili altri tipi di aiuti, ottenuti dal boss mafioso, per compiere questi spostamenti internazionali?
«Non necessariamente. Non è detto che una persona che sta sfuggendo alla giustizia debba poi trovare una sponda da parte di apparati esterni alla sua organizzazione. Può succedere che siano suoi sodali che predispongono una rete di inizative idonee ad agevolare e a coprire la presenza di un proprio esponente in un Paese estero».