La notte bianca e la mano di Michael Cimino

LOCARNO - Ore 14:15, arriva un messaggino: «RSI fatto. Parto ora da Lugano per Locarno». Avverte che non ci saranno ritardi e che tutto andrà come da programma. A inviarlo è Natalia Ferrara Micocci. Sì, proprio lei, l'ex magistrata buttatasi in politica senza paracadute, spumeggiante protagonista della campagna elettorale d'aprile, ora (solo) deputata in Gran Consiglio, in attesa di decidere cosa fare da grande. In questi giorni d'agosto si diletta a scrivere di Festival sulle reti sociali e su Ticinolibero. La spinge una curiosità indomabile che si esprime con competenza e proprietà di linguaggio, virtù rara tra i nostri politici. «Facciamo cambio? Il giornalista in gabbia e Natalia Ferrara Micocci scrive il pezzo». Ride. Tocca a lei entrare nella gabbia del Pardo. È sabato. Poco prima di salire a Locarno, ha registrato a Lugano un'intervista sul divieto anti-burqa. In commissione il progetto di legge langue, nonostante il chiaro verdetto popolare. Chissà se l'iperattivismo della parlamentare momò, tanto amata in via Monte Boglia, sbloccherà la situazione.
Ma bando alla politica e spazio al cinema. L'appuntamento è alle 15.30 in fondo a piazza Grande. Meta: il Cinema Rex. Nell'edizione festivaliera che ha premiato Andy Garcia si proietta The Lost City, il capolavoro dell'attore e regista statunitense di origine cubana, l'affascinante affresco storico-familiar-sentimentale sul traumatico passaggio dell'isola caraibica dalla dittatura di Fulgencio Batista a quella di Fidel Castro. Caldo afoso in città vecchia. C'è però già molta animazione. Il Pardo scalda i motori e si prepara a vivere la febbre del sabato sera, che porterà sul mega schermo una brillante commedia a stelle e strisce.
La vecchia sala del Rex è presa d'assalto. La coda dei festivalieri scende lungo la stretta via Bossi e s'allunga verso la piazza. Due furgoni che devono rifornire un ristorante faticano a manovrare: «Scusate, dobbiamo lavorare, dovreste spostarvi ai lati» dice un aiutante ai festivalieri. A un certo punto la coda non si muove più. Sala piena, tutto esaurito, nessuna comunicazione. Attimi di tensione con gli addetti alla sicurezza del Festival. Qualcuno rinuncia e si fa rimborsare il biglietto, altri attendono pazientemente, ma invano. Si entra a fatica. In sala scorrono le immagini del film girato giusto dieci anni fa (non a Cuba: impossibile; ma nella Repubblica dominicana). Natalia Ferrara Micocci siede nella fila davanti a quella dove s'è accomodato Andy Garcia. Di fianco a lei un ragazzo cubano: «Canticchiava le canzoni della colonna sonora. Mi ha commosso. Il film mi ha commosso, emozionata. Certe scene poi...». Una su tutte? «Quella in cui lui, in partenza dall'aeroporto dell'Avana per lasciare la sua Cuba, è costretto a consegnare l'orologio a ciondolo del padre che non c'è più. Lì non ho retto. Sì, ho pianto». Quasi da non credere. Nell'immaginario collettivo una procuratrice, abituata a interrogare freddamente persone in manette, non ha spazi per l'emotività. «E invece questo aspetto - confiderà in un momento di pausa - mi ha sempre toccato nel profondo: privare un individuo della sua libertà, per quanto grave sia ciò che ha fatto, pesa. Eccome».
La libertà: The Lost City è un film sulla libertà. Quella negata, sognata, quella creduta a portata di mano, e poi strappata e calpestata di nuovo. Al termine della proiezione Andy Garcia colloquia con il pubblico: «È il suo film preferito?» gli chiede l'ex magistrata. «È il più importante per me» risponde l'attore-regista.
Il tempo vola. Son quasi le sette. Aperitivo a Casa Borgo, cena al Cibo e Passione. L'«ingabbiata» non lascia nulla al caso. E non stacca mai la spina. È l'effervescenza in persona. Parla di politica, lavoro, vita, sentimenti, progetti, sogni. Torna sul film. Le è piaciuta molto una riflessione del padre del protagonista: un conto è l'evoluzione, altro conto è la rivoluzione.
Sul tavolo c'è un dado. Natalia Ferrara Micocci mi sfida: numeri pari faccio io le domande, numeri dispari lei. Non tutto è riferibile. Esce il quattro. Potrebbe essere un poker nella vita. «Non giocare d'azzardo» sentenzia l'ex procuratrice. «Mai giocato d'azzardo?» chiedo. Ci pensa un attimo. «Sì, quando mi sono candidata, lasciando il Ministero pubblico. Però lo rifarei». C'è un passato di magistrati che si sono buttati con successo in politica: «Sì, ma oggi, per questo aspetto, la magistratura è una trappola, non più un trampolino».
Il cielo sopra Locarno nel frattempo si è coperto di nuvoloni. Un acquazzone rinfresca decisamente l'aria. Gli avventori festivalieri provano sollievo, ma sono preoccupati per il film: bisognerà andare al Fevi? O munirsi di mantellina? Una brezza sostenuta (che a Lugano ha fatto danni) spazza via i dubbi poco prima delle nove. Evitiamo nuove trappole e rimbalziamo in piazza Grande. Gli incontri non si contano. Fa faville quello con Carla Del Ponte. Che coppia! I sorrisi delle due ex magistrate brillano illuminati dai riflettori e dalle fiammate dei flash.
Nemmeno per la quarta serata il pubblico tradisce. Trainwreck, la commedia USA di Jadd Apatow con Amy Schumer, fa il pienone. Ma prima, sul palco, omaggio a Sam Peckinpah con la presentazione ufficiale della retrospettiva a lui dedicata. Il popolo del Pardo si fa incantare dalla classe, che non conosce davvero età, di Senta Berger: splendidamente se stessa, anche a 74 anni. «Non ho parole» commenta Natalia, pungente, invece, sulle forme quasi debordanti (nell'impossibile vestito nero con pancia all'aria) della Schumer. «Mi piace: è un bidone, ma è carina. Questo però non è da scrivere sul giornale» si premura di aggiungere. Uno spasso. Il film. Ma non solo quello. E non finisce qui.
Ci attende l'evento della SRG-SSR-Idée Suisse, la Notte bianca, nel chiostro della Magistrale. È ormai mezzanotte. L'abito bianco è di rigore. «È importante, un segno di rispetto per l'ambiente in cui ti trovi». Ma non saranno in molti a dimostrarlo. Fanno gli onori di casa Roger de Weck e Maurizio Canetta. Il variegato popolo dell'audiovisivo - la Challenge League della settima arte - si è riversato tutto qui. Natalia Ferrara Micocci intercetta il consigliere federale Alain Berset, scravattato. Parlano di politica e di stampa. «Se non ti piace ciò che scrivono i giornali, non leggerlo: soprattutto se vuoi continuare a fare politica» le dice il ministro. Ehm... Abbozzo e fingo di andare a prendere un bicchiere di rosso. Dall'altra parte della barricata, con de Weck, il colloquio è lungo. Lei parla dell'importanza del contenuto della comunicazione e del carisma di chi la fa: politici e giornalisti. «L'accoglierò ben volentieri a Berna per una Medienpolitischeorientierung» le dice de Weck. La notte corre.
A un certo punto, seduto su un divanetto, da lontano scorgiamo un personaggio attorniato con grande riverenza. Chiediamo al direttore del Festival Carlo Chatrian. È Michael Cimino, classe 1939. Sembra un ragazzo. Accidenti. È a Locarno per il Pardo d'onore. Natalia: che faccio? Vado? Non vado? Va. Lo saluta emozionata stringendogli la mano. «A Locarno abbiamo molti film, molto pubblico, poche star. Lei è un grande» dice al regista. Cimino solleva gli occhiali scuri, guarda negli occhi la sua interlocutrice e sussurra: «Wow, sei molto dolce». Com'è stringere la mano al regista del Cacciatore?, le chiedo. «Ha una mano piccola, calda, fragile e molto morbida». Per la Notte bianca basta e avanza. Sono le due passate. In piazza Grande le luci della ribalta sono spente da un pezzo, anche se la vita notturna del sabato locarnese è solo agli inizi. Carte, cartacce, lattine, bottigliette un po' ovunque tra le sedie gialle e sotto i portici. L'indomani all'alba ci penseranno gli addetti comunali a tirare nuovamente a lucido questa grande sala all'aperto. Anche loro contribuiscono a farci apprezzare la bellezza del cinema.
