La novità dei «vini» senz’alcol, un mercato che prende forma

Si definiscono «sobri curiosi» e rappresentano la terza via tra il consumo abituale di alcol e la scelta di abolirne totalmente l’uso. Non rinunciano del tutto al brindisi, ma scelgono di bere meno, spesso evitando l’alcol durante la settimana. È il fenomeno dei sober curious, in crescita anche in Svizzera: «Non sono astemi, semplicemente preferiscono ridurre il consumo per motivi personali o di salute», spiega Thomas Ferran, co-fondatore de «La Sobrerie», la prima boutique svizzera interamente dedicata alle bevande analcoliche. Il fenomeno, però, non sembra essere una moda passeggera. Già nel 2022, uno studio dell’Ufficio federale di statistica mostrava che il numero di consumatori giornalieri si è più che dimezzato negli ultimi vent’anni. Soprattutto fra i giovani adulti,infatti, prevale un uso sporadico. Tra le vittime di questo cambiamento di abitudini c’è anche il vino: secondo l’Ufficio federale dell’agricoltura, nel 2024 i consumi sono infatti scesi del 7,9% rispetto all’anno precedente.
All’intersezione di queste tendenze, sta prendendo forma un nuovo mercato: quello delle alternative analcoliche al vino. Quest’anno, infatti, nel comune vallesano di Perroy è nato il primo vino dealcolato elvetico, un rosé senz’alcol firmato «La Vigneronne» e, racconta il direttore di Ticinowine Andrea Conconi, «nell’edizione estiva del concorso di Expovina, la piattaforma svizzera per appassionati e professionisti del vino, è stata introdotta per la prima volta una categoria dedicata ai dealcolati».
Il «fratello» analcolico
«È importante precisare che nella categoria di quelli che vengono commercializzati come “sostituti del vino” rientrano due tipologie di prodotti molto differenti: i vini dealcolati da una parte, ma anche delle bevande più simili a succhi di frutta», illustra Conconi. I primi, dunque, sono propriamente vini: la produzione, infatti, è in buona parte identica a quella dell’originale alcolico. «Il mosto è fermentato secondo la prassi normale, ma viene in seguito fatto passare attraverso dei macchinari, che grazie al principio dell’osmosi riescono a privarlo dell’etanolo», illustra l’esperto. «I due prodotti però rimangono profondamente diversi» continua Conconi, «poiché per rendere il dealcolato più sostenuto viene spesso aggiunto del saccarosio. Il risultato, però, è sovente dolce e stucchevole». Ma il principale ostacolo, per il momento, è rappresentato dall’elevato costo dell’apparecchiatura necessaria per il processo: «Produrre un vino senz’alcol ha un costo sensibilmente superiore a quello tradizionale. Quelli prodotti in Svizzera rimangono quindi pochissimi, e nessuno in Ticino: il nostro cantone difficilmente riuscirà a diventare competitivo nel settore», commenta il direttore di Ticinowine. Sia per questioni legate alla qualità che alla produzione, dunque, il vino dealcolato fa ancora fatica a conquistare i cuori dei più: «Non sarà questo prodotto a salvare la viticoltura, né ticinese né svizzera. La diminuzione del consumo non è infatti proporzionale allo sviluppo del mercato del settore, che rimane ancora una nicchia e copre solo l’1%. Il ramo delle bevande aromatizzate, che però non sono vini, occupa invece qualche punto percentuale in più e raccoglierà probabilmente maggiore interesse», commenta Conconi.
«Bevande gourmet»
A Losanna, all’inizio di quest’anno, ha aperto la prima «enoteca» analcolica della Svizzera: la «Sobrerie».L’assortimento spazia da aperitivi, vini dealcolati ma include soprattutto quelli che Ferran, il co-fondatore, definisce «bevande gourmet». «Il nostro target principale sono adulti tra i 30 e i 50 anni appassionati di gastronomia che continuano a bere alcol –ma sporadicamente – e cercano opzioni raffinate per sostituire il vino», spiega Ferran. Quello delle bevande organiche è un mercato recentissimo: anche chiamate proxy wine (simil vini), la loro lavorazione e il loro prezzo, che nel negozio di Losanna varia dai venti ai trenta franchi a bottiglia, le posizionano più vicino a vini che a semplici succhi di frutta. «A differenza della viticultura tradizionale, ogni produttore ha uno specifico metodo di produzione e una diversa materia prima di partenza: alcuni prevedono l’infusione e la macerazione, altri la fermentazione ispirata al modello orientale del kombucha, altri ancora l’utilizzo dei lactobacilli». «L’obbiettivo di queste preparazioni – continua l’esperto – è quello di creare un prodotto dal gusto complesso come il vino, ma con note diverse». La parola d’ordine è dunque creatività: non si tratta di bevande che vogliono emulare l’esperienza di degustazione del vino, ma portare il consumatore in un nuovo universo di aromi. Questo, secondo Ferran, è il punto di forza rispetto ai concorrenti dealcolati: «I clienti, quando entrano in boutique, chiedono spesso vini senz’alcol, probabilmente perché è l’unica alternativa che conoscono. Il problema sono che l’aspettativa è quella di avere un’esperienza analoga a quella di un buon calice di rosso, promessa che però i prodotti dealcolati raramennte riescono a mantenere: i drink gourmet invece non rispondono a questo tipo di aspettativa, e riescono dunque a sorprendere chi li assaggia».
Consumatori confusi?
In Italia, fino allo scorso inverno, neanche i prodotti dealcolati potevano essere denominati «vini»: il tema, ricorrente quando si parla di sostituti alimentari, è quello della tutela del consumatore. Entrambe le alternative analcoliche del vino, infatti, sono commercializzate con un’estetica che richiama esplicitamente quella dell’originale alcolico, a partire dalla forma della bottiglia fino alla finitura delle etichette. «Trovo sbagliato che nella grande distribuzione queste bevande, soprattutto quelle gastronomiche, si trovino nel reparto dedicato ai vini: il rischio è quello di creare confusione nel consumatore, che sovrappensiero acquista un succo al posto del prodotto desiderato», commenta Conconi. Sottoposto alla questione, Ferran risponde che «il problema riguarda principalmente i prodotti non alcolici di aziende che offrono anche opzioni alcoliche (ndr. come Martini), quando non solo le confezioni ma anche il marchio è identico. Nelle bevande analcoliche di ultimissima generazione, però – conclude Ferran –, la cura per la confezione risponde a una volontà di inclusione: l’idea è che anche chi sceglie l’alternativa analcolica ha diritto a un’esperienza raffinata e piacevole alla vista».
Se le bevande dealcolate conquistano la cucina tradizionale
«Sembra vino ma non lo è: tutti, anziani, bambini e donne incinte, possono unirsi così al brindisi», commenta Claudio Panzeri, gerente e sommelier del Crotto dei Tigli. Si sa, brindare con l’acqua porta sfortuna: per questo, nella struttura di Balerna, si vuole offrire anche a chi non consuma alcol la possibilità di partecipare ai momenti conviviali. Il menù è infatti accompagnato, oltre che dalla classica carta dei vini, anche da una selezione di varianti analcoliche: «La nostra struttura offre già da due anni quattro prodotti dealcolati: due spumanti – uno chardonnay e un rosé – e poi un bianco e un rosso», racconta Panzeri. Anche il Ticino inizia quindi a muovere i primi timidi passi verso il mondo delle alternative senz’alcol. «È un inizio», racconta il sommelier, «stiamo cercando di capire se nel nostro cantone esista un mercato per questi prodotti e se possano in parte compensare la diminuzione del consumo di vino». Anche in Ticino, infatti, si beve sempre meno. In più, però, la clientela locale «è meno informata sulle alternative disponibili rispetto ai turisti provenienti dall’estero e molto meno propensa a ordinarle e provarle», osserva Panzeri. Le vendite, infatti, rimangono al momento molto contenute: «In media vendiamo una o due bottiglie al mese, e anche quest’ultime sempre in seguito a una proposta del nostro personale», spiega il gerente del Crotto dei Tigli. Per ora, l’offerta non include alcuna «bevanda gourmet»: «In futuro non escludiamo questa opzione – specifica Panzeri – ma il loro breve periodo di conservazione ci espone al rischio di dover buttare i prodotti invenduti». Terra di Merlot, anche tra i vinicoltori ticinesi prevale lo scetticismo: «Abbiamo proposto ad alcune cantine della zona di fare un prodotto dealcolato locale, ma il riscontro ricevuto non è stato positivo», racconta il sommelier. «Il vino ticinese – conclude Panzeri – è un vino di grande qualità e profondamente ancorato anche a una dimensione culturale: l’alternativa analcolica può essere valida per alcuni, ma almeno nei prossimi dieci anni escludo la possibilità che possa rimpiazzarlo del tutto».