La Prato Leventina d’antan negli scatti di casa Vicari

Il bianco e nero delle foto a volte racconta meglio del colore l’incanto di un mondo perduto (che poi del tutto perduto non è). È il caso delle fotografie di Prato Leventina raccolte da Maura Campello-Vicari, figlia di uno dei maggiori fotografi ticinesi, Vincenzo Vicari. Scatti che offrono uno spaccato vivido e intimo del villaggio di valle a partire dagli inizi del Novecento. Un racconto per immagini della vita quotidiana dei montanari semplici, ma anche di quelli celebri come Giorgio Orelli o Michela Figini.
Quando si aprono dei cassetti pieni di fotografie arriva un momento in cui si desidera mettere ordine, archiviare con criterio, dare un senso compiuto ai fotogrammi sparsi, creare dai singoli scatti un mosaico coerente. Esperienza che Maura Campello-Vicari ha già vissuto qualche anno fa, quando raccogliendo il materiale fotografico in suo possesso su Prato Leventina, aveva dato alle stampe un volume dedicato al villaggio di valle. E che sta rivivendo anche in questi mesi di contenimento pandemico.

Materiale d’eccezione
Il suo, del resto, è materiale d’eccezione: immagini immortalate dal padre Vincenzo Vicari (1911-2007), uno dei grandi nomi della fotografia ticinese, dal nonno Vincenzo Danzi, importante editore a Locarno agli inizi del Novecento, da Maura Campello-Vicari stessa, dalla madre Giuseppina (Nini) e da altre persone, alcune conosciute altre no, che in un momento o nell’altro della propria esistenza hanno provato a catturare su una lastra fotografica un attimo di magia nel paese di montagna.
La vita quotidiana e i VIP
«Negli ultimi tempi, rimettendo ordine in casa, sono saltati fuori altri antichi scatti che non si conoscevano e arricchiscono la raccolta iconografica su questo luogo che conosco e frequento da sempre. Mia mamma era originaria di Mascengo. Il mondo è piccolo, a Prato. Abbiamo legami di parentela con la famiglia del già consigliere federale Enrico Celio. Conosciamo e abbiamo frequentato tutti gli abitanti famosi, dal poeta Giorgio Orelli che ha scritto una poesia in dialetto per la prefazione del mio libro, a sua nipote, la celebre campionessa di sci Michela Figini che è nata e cresciuta a Prato».

Un gioiello di chiesa
Negli anni abbiamo documentato il passaggio di personaggi come il compianto vescovo Eugenio Corecco, che fu parroco residente nel villaggio dal 1956 al 1958, di altri sacerdoti come don Colombo o i miei zii preti don Serafino e don Albino Danzi e di vari divisionari dell’esercito, uno dei quali era mio parente. Ma, soprattutto, nelle fotografie che ho raccolto appaiono i luoghi della vita di montagna, la splendida chiesa di san Giorgio in primis, le case rurali, le pause dal lavoro sui campi, le processioni, il passaggio dei militari, i bambini, gli anziani, le feste e le bestie...».
La cripta scomparsa
Mentre ci parla nella sua casa di Viganello, Maura Campello-Vicari si accalora. Quella per Prato Leventina, per lei, è una passione traboccante che non si limita alla raccolta di immagini pregiate. Oltre alle foto ci mostra infatti numerosi ritagli tratti da antiche pubblicazioni.
«Le mie ricerche – spiega – mi hanno portato ad alcune riscoperte: per esempio che la torre che era sempre stata attribuita ai Visconti era in realtà degli a Pra, antica famiglia di Prato Leventina, e quindi più vecchia di duecento anni rispetto a quanto si credesse. O il fatto che abbiamo trovato su un vecchio giornale di mio nonno (“L’Eco del Gottardo”) la prova che nella chiesa di san Giorgio doveva esistere una cripta. Ma dov’è finita? Perché non la si cerca? Altri oggetti sono andati persi, per esempio la chiave di volta dell’antico ingresso appena ritrovato. Dai documenti emerge che fu trasportata in treno a Lugano; figura inoltre nell’inventario dei monumenti storici, ma non si trova».

«Purtroppo», aggiunge la signora Campello-Vicari, «nel Cantone non c’è nemmeno più traccia delle ricerche del restauratore Edoardo Berta, autore di uno studio su Prato che è andato perduto. Dalla documentazione che ho potuto avere dalla Curia so invece che il campanile è stato costruito prima della chiesa: era una torre di segnalazione eretta attorno all’anno mille. Era in collegamento con altre torri di segnalazione della valle, come quella di Quinto, per esempio».
Cappelle di ieri e di oggi
Ma torniamo alle fotografie. «Quali amo di più? Per quanto riguarda il villaggio, senz’altro quelle della chiesa parrocchiale. In alcune si vedono le vecchie cappelle affrescate immerse nella neve. I dipinti furono tolti per essere sostituiti dalle pitture di Fra Roberto. Ma lo sa che oggi le lastre dismesse si trovano nel vecchio campanile della chiesa? No, non sono in buono stato. “Soffrono” se posso dire così. Per il loro valore documentaristico mi piacciono le immagini degli oggetti scomparsi, come il pulpito della chiesa che pare sia diventato un mobile-bar in una casa privata; così almeno mi è stato riferito».

Le foto del cuore
Poi ci sono le immagini del cuore. «Sì», conferma la nostra interlocutrice, «in quella che preferisco c’è mia mamma che avrà avuto cinque o sei anni mentre fa il fieno con un’altra signora di Prato che si chiamava Maria Merlini.
Adoro, tra le tante, l’immagine dell’anziana che sale le scale per entrare nel portico della parrocchiale: non sembra un quadro? E quella di un semplice pasto consumato su un prato da alcuni abitanti del villaggio. È una foto scattata con ogni probabilità nel 1941 da Nini Danzi in Vicari, la mia mamma. Si vede un gruppetto di sei persone che fa il picnic. Sorridono, tagliano il pane e il salame, sulla sinistra ci sono i bicchieri di vino, due vuoti e uno mezzo pieno, sotto si vedono le bottiglie di vetro scuro, in primo piano una gamella di metallo.
Ho ricostruito che l’uomo con le bretelle è Pietro Pedretti. Quello con la camicia bianca forse è Alberto Stefani. Lo sguardo della signora anziana è fenomenale!».