«La prossima pandemia? Terrei d'occhio l'aviaria»

Ci sono voluti vent’anni prima che Charles Darwin pubblicasse L’origine delle specie. Si trattava di un’idea radicale, che avrebbe incontrato da allora molte resistenze. La profetica e avvincente descrizione dei meccanismi che hanno scatenano il Covid, in un libro, Spillover, pubblicato nel 2012 e diventato bestseller nel 2020, ha fatto conoscere David Quammen, come divulgatore scientifico. Per questo, incontrandolo al Salone del libro di Torino, dove ha presentato una biografia di Darwin, L’evoluzionista riluttante (Raffaello Cortina Editore), non abbiamo resistito all’opportunità di interrogarlo sulle problematiche che la scienza si pone a partire da quella intuizione.
Sono passati quasi duecento anni da quando Darwin ha concepito la sua teoria, eppure a tutt’oggi l’80% per cento degli americani non la accetta completamente. Come se lo spiega?
«Non c’è alcuna spiegazione! È importante però fare una distinzione. L’80% per cento degli americani dichiarano che gli esseri umani sono il risultato di un processo evolutivo, guidato da Dio, qualcosa che contraddice la profonda casualità teorizzata da Darwin. Il 40%, invece, sostiene che solo tutte le altre creature sono il risultato dell’evoluzione».
Perché?
«Non tanto a causa del loro credo religioso, quanto per la riluttanza a credere che gli uomini siano parte della natura, siano animali come gli altri, peculiari, ma sempre animali. La maggior parte delle persone ritiene che noi siamo al di sopra della natura, non dentro di essa. Vogliono credere che la loro vita non finisce con la morte: muoiono i cani, le scimmie e i cavalli, ma noi, dopo la morte, avremo un’altra vita. Alla base di tutto c’è la paura della morte. Il paradiso sarebbe troppo affollato se i topi, le farfalle, le scimmie vi finissero dentro».
La vendetta: non è che gli animali si difendono con le pandemie?
«In un certo senso sì, ma si tratta di una metafora. Le pandemie sono percepite come una vendetta della natura. La risposta della scienza è che si tratta semplicemente di ecologia e biologia evoluzionista e del fatto che i virus in particolare possono evolversi molto rapidamente e altrettanto rapidamente adattarsi. Quando gli uomini vengono in contatto con gli animali selvatici catturandoli, uccidendoli e trasportandoli per il cibo, noi ci esponiamo ai loro virus e diamo loro la possibilità di insediarsi negli esseri umani, di spillover, appunto».
Lei ha detto che un’altra pandemia potrebbe essere dietro l’angolo. Che cosa possiamo fare per evitarla? E soprattutto c’è modo di evitarla?
«Sì, la prima cosa da fare è supportare la scienza. Abbiamo bisogno della scienza. Non dobbiamo negare la scienza, come si sta facendo negli USA ora, non dobbiamo sottrarre i finanziamenti alla ricerca. La scienza è i nostri occhi e le nostre orecchie per difenderci da altre pandemie. Abbiamo bisogno di leader politici che prestino attenzione alla scienza, ne assorbano le lezioni e ci preparino a difenderci da un’altra pandemia. Abbiamo bisogno della tecnologia e dello sviluppo dei vaccini, che la gente li prenda e i politici ci dicano che bisogna prenderli, che sono sicuri».
E oltre ai vaccini ci sono altre misure che possiamo prendere sui tempi lunghi?
«Il modo in cui produciamo il nostro cibo è pericoloso. La produzione di massa della carne, gli allevamenti industriali di maiali, di polli ci portano diritti verso il baratro. Abbiamo 33 bilioni di polli sulla terra, e questi polli sono gli intermediari tra i volatili selvatici, l’influenza aviaria e gli uomini. Offrono all’aviaria l’opportunità di evolvere in forme che possono portare alla prossima pandemia virale».
E a che punto siamo nella prevenzione?
«Sapendo che da questi 33 bilioni di polli può svilupparsi l’influenza aviaria, sarebbe necessario che chiunque sia impegnato nella produzione venisse testato attraverso un esame del sangue una volta alla settimana, per l’esposizione al rischio. Dovrebbe indossare un equipaggiamento speciale, e i risultati del prelievo di sangue dovrebbero essere riportati alle autorità governative in modo da risalire al luogo in cui il contagio è avvenuto, mettere in quarantena chi ha contratto l’infezione e impedire che possa infettare altri».
Ci sono altri tipi di prevenzione?
«Ci sono, nel mondo, mercati del cibo di animali selvatici, in Cina, in Africa, nel Sud Est asiatico: scimmie, rettili, uccelli, cani procioni, porcospini vengono messi in gabbie e venduti come cibo. È pericolosissimo. Questi mercati dovrebbero essere chiusi».
Ma il commercio della carne di questi animali è piuttosto ridotto, no?
«Sì, ma non ci rendiamo conto che tutti i nostri consumi hanno un effetto nel portare i virus più vicini a noi. Anche l’acquisto di un telefono ha un impatto sulla diffusione dei virus. Le spiego perché. In ogni telefono c’è un minerale «coltan». Ci sono poche miniere che lo producono, una di queste è la Repubblica democratica del Congo, dove uomini e donne scavano con le mani nella terra per estrarlo. Queste persone non vivono in città, ma in baracche o casupole vicino alla miniera e come proteine mangiano la carne di animali selvatici. Ogni volta che compriamo un telefono siamo responsabili delle persone che per sopravvivere si cibano di questi animali».
Quindi lei si schiererebbe dalla parte di una decrescita felice?
«Sì, dovremmo consumare di meno. Una percentuale molto piccola di nazioni ricche, come le nostre, consuma tutto ed è causa dei problemi al resto dell’umanità. Ma il primo peccato non è il consumo, ma lo spreco».
Darwin ha dovuto scontrarsi con la morale del suo tempo e con il materialismo della sua teoria. La scienza oggi ha di fronte dei problemi etici enormi, penso alle biotecnologie, all’uso degli embrioni, all’eutanasia... Come li affrontiamo?
«Il futuro delle biotecnologie sta esplodendo in tutte le direzioni, come un big bang di cui possiamo solo intuire la portata. Possono essere una forza del bene, aiutarci a produrre vaccini contro i virus, a controllarne l’evoluzione e l’adattamento; a combattere la resistenza agli antibiotici da parte dei batteri, una resistenza che sta uccidendo 1,3 milioni di persone ogni anno. Le biotecnologie hanno un grandissimo ruolo positivo. Ma possono essere abusate, manipolate per fini commerciali; come far modificare i geni per operazioni di eugenetica, ad esempio. Dobbiamo continuare a parlarne, restare vigili ed essere pronti a dare l’allarme».