Lugano

La Protezione civile salva anche i ricordi

Con il progetto «Atelier della memoria» il Consorzio registra e archivia le testimonianze di anziani vissuti fra gli anni Venti e il secondo dopoguerra – Si parla di tutto: dal contrabbando alle feste di paese
© Archivio Vincenzo Vicari
Giuliano Gasperi
25.10.2023 06:00

Nel secondo dopoguerra, e forse anche prima, le guardie di confine avevano l’abitudine di «pelare» i contrabbandieri. Tagliare loro i capelli in modo da poterli facilmente riconoscere nel caso fossero stati di nuovo presi in castagna, affinché non potessero dire «no, guardi, è la prima volta che faccio questa cosa». È un ricordo tutto sommato innocuo in relazione a quegli anni di confine poroso, specie rispetto ad altri – c’è per esempio chi evoca con tristezza l’uccisione nei boschi di tre contrabbandieri, «ammazzati come cani nei monti, poveri diavoli» – ma che permette di farsi un’idea di come fosse la vita dalle nostre parti un secolo fa. Con una particolarità: sono parole da ascoltare, ancora prima che da leggere. Ricordi tramandati dalla viva voce di chi quel periodo l’ha vissuto: una sessantina di interviste – rigorosamente in dialetto – effettuate dai militi del Consorzio Protezione civile Regione Lugano Campagna (servizio Beni culturali) e raccolte nell’Atelier della memoria. Interviste ad anziani della regione svolte in oltre quindici anni (che non si limitano al tema del contrabbando) e in parte rese disponibili su un apposito sito Internet recentemente rinnovato. Interviste tuttora in corso: la scorsa settimana ne sono state fatte altre sette. Se la prima intervista risale ormai al 2007 – all’astanese Assunta Bacchetta, che tra le altre cose evoca le usanze dei soldati polacchi internati in paese durante i primi anni ‘40 del Novecento – l’idea di realizzare quello che poi diverrà l’Atelier è ancora più antica.

In memoria di un amico

Bisogna tornare al 2002 e spostarci in Molise, dove la PCi Lugano Campagna era intervenuta a seguito di un violento terremoto per aiutare le autorità locali a mettere in sicurezza dei beni culturali. È qui che Luigi De Micheli la espone all’attuale comandante del Consorzio, il tenente colonnello Claudio Hess. Il quale, alla prematura scomparsa dell’amico, decide di rendere realtà il suo sogno, peraltro scontrandosi con alcune iniziali ritrosie interne, come spesso capita a progetti inediti, in primis per la necessità di creare un budget: «Per acquistare il primo registratore, che oggi varrà venti franchi, avevo dovuto chiedere tre offerte», ricorda oggi Hess con un sorriso. Decisivo è stato il saper identificare i militi giusti a cui affidare il progetto. Persone come Damiano Robbiani, Nicola Arigoni e Olmo Giovannini che nel civile lavorano in ambito archivistico, dialettale e storico; o come Pietro Bernaschina e Lorenzo Buccella, volti noti della televisione che hanno prestato servizio raccogliendo le testimonianze sul campo; o come ancora Andreas Zumthor, programmatore che dall’inizio si occupa del lato informatico delle cose e, non da ultimo, è l’autore del sito del progetto. Diversi di loro lavorano all’Atelier dacché esso esiste o quasi. La squadra giusta per il progetto giusto: «Una volta identificato chi vi avrebbe lavorato la cosa è esplosa», ricorda Hess. Tanto che dal 2015 è stato istituito un corso di ripetizione annuale dedicato proprio a curare e arricchire l’Atelier di nuove testimonianze. Il progetto è un unicum a livello svizzero nell’ambito della Protezione Civile.

Immateriale ma preziosa

Andando più nel concreto, di cosa è composto l’Atelier? Di storie di vita, eccezionali e no. Di impressioni di un mondo che adesso non c’è più e il cui ricordo sbiadisce con il passare degli anni. E della ferma convinzione che anche la cultura immateriale vada preservata, perché è conoscenza che arricchisce. Questo si traduce nella sessantina d’interviste, di un’oretta l’una, a persone anziane, alcune delle quali nel frattempo sono decedute, residenti nel territorio servito dal Consorzio Lugano Campagna. Ne sono nate conversazioni sui temi più disparati: dal già citato contrabbando – uno dei temi più presenti, a testimonianza della rilevanza che ha avuto, quantomeno nella memoria di chi l’ha vissuto – passando per le tradizioni religiose, le feste di paese, le tensioni fra Comuni vicini, la caccia e la pesca, la Seconda guerra mondiale, il lavorare nelle fabbriche di orologi, e molto altro. Conversazioni che «aprono uno squarcio nella vita quotidiana dagli anni Venti al secondo dopoguerra e che vanno a comporre il nostro patrimonio culturale immateriale», come si legge sul sito. In questo senso, da qualche anno, è attiva una collaborazione con il Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona, che di suo ha un archivio delle fonti orali che risale agli anni Ottanta, probabilmente uno dei più ricchi della Svizzera. In parte, le interviste sono state raccolte sul sito dell’Atelier, dove è possibile fare una ricerca per Comune o per tema.