La Scala e l’urlo antifascista, parla Marco Vizzardelli: «Lo rifarei»

«Trovo un po’ inquietante che io sia stato identificato, non può non venirmi il dubbio che siamo alla soglia di uno stato parafascista». Parole e musica, affidate all'ANSA, di Marco Vizzardelli. Giornalista, 65 anni, è l'uomo che, ieri, durante la prima della Scala a Milano ha urlato «viva l'Italia antifascista» poco dopo l'esecuzione dell'Inno di Mameli. Richiamando, inevitabilmente, l'attenzione di tutti. Anche degli agenti della DIGOS, la Divisione investigazioni generali e operazioni speciali della Polizia italiana.
Vizzardelli, nello specifico, è stato identificato dalla DIGOS. Un'identificazione che, ha precisato in seguito la Polizia di Stato, «non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata». Al contrario, a detta delle autorità, «è stata effettuata quale modalità ordinaria di controllo preventivo per garantire la sicurezza della manifestazione». Determinanti, insomma, le circostanze, «considerate le manifestazioni di dissenso poste in essere nel pomeriggio in città e la diretta televisiva dell'evento che avrebbe potuto essere di stimolo per iniziative finalizzate a turbarne il regolare svolgimento. La conoscenza dell'identità delle persone ha consentito, infatti, di poter ritenere con certezza l'assenza di alcun rischio per l'evento».
A far discutere, dunque, non è stato il malessere del tenore Michele Pertusi, Filippo II nel Don Carlo di Verdi, ma appunto Vizzardelli e il suo urlo. Il quale, sempre all'ANSA, ha dichiarato: «Non sono un pericoloso comunista, al massimo un liberale di sinistra. Ma non reggo due cose: qualsiasi vago profumo di fascismo e qualsiasi forma di razzismo. E ieri avevo davanti due rappresentanti dello Stato come Salvini e La Russa che su entrambi questi fronti mi lasciano molto perplesso». Salvini, dal canto suo, è apparso piuttosto irritato: «Se uno viene alla Scala a urlare o agli Ambrogini a fischiare ha un problema» ha ringhiato, a caldo, il vicepremier. Per poi ribadire che «alla Scala si viene per ascoltare, non per urlare. Per fortuna la musica ha spiazzato via le polemiche, è stata un serata bellissima».
«Me lo sono sentito dentro» ha chiosato Vizzardelli, intervistato anche da La Presse. «Direi che lo rifarei, senza dubbio». Il giornalista, infine, ha ripercorso le fasi successive all'urlo: «Durante il primo atto sono stato avvicinato da un agente in borghese. Era buio, mi sono girato e sono trasalito un attimo, mi ha detto di stare tranquillo. Finito il primo atto, mi ha chiesto le generalità tirando fuori il distintivo. Io ho detto: scusi, ma perché? E me ne sono andato. Sono arrivati in quattro durante l’intervallo: siamo della DIGOS e vorremmo le sue generalità. E io: mi sembra un po' strano. Loro mi hanno risposto: purtroppo, se gliele chiediamo, è tenuto a darcele. Io l’ho buttata in ridere e ho detto: se avessi detto viva l’Italia fascista giustamente mi avreste legato e portato via. A questo punto si sono messi a ridere e poi hanno detto: siamo perfettamente d’accordo con lei, ma abbiamo dovuto chiederle le generalità. Ed è finita lì, ma intanto era successo».