La Scozia misura alle urne la sua voglia d'indipendenza

LONDRA - Il conto alla rovescia è iniziato. Il 18 settembre 4,3 milioni di aventi diritto al voto scozzesi (meno del 7% dell'intera popolazione - 63 milioni di abitanti - del Regno Unito) dovranno rispondere alla domanda «La Scozia dovrebbe essere un Paese indipendente?» Per mesi il fronte del no ha dominato i sondaggi, ma nelle ultime settimane c'è stata una netta e improvvisa rimonta dei separatisti.
Adesso l'indipendenza è «a portata di mano», ha dichiarato trionfalmente il premier scozzese Alex Salmond, architetto e promotore del referendum. A pochi giorni dal voto infatti i sondaggi regalano ai separatisti una speranza concreta di vittoria. Per la prima volta dall'inizio della campagna elettorale, i sostenitori dell'indipendenza hanno ridotto a soli sei punti il vantaggio degli unionisti, con il 47 per cento delle intenzioni di voto contro il 53 per cento.
A inizio agosto, secondo YouGov, le percentuali erano del 61per cento per il no e del 39 per cento per il sì. In un mese il divario tra i due schieramenti si è quindi ridotto da 22 a 6 punti. Solo quattro punti in più e «il sogno diventa realtà», ha detto Salmond. Il sondaggio esclude gli indecisi, che si calcola siano il 10 per cento.
La rimonta degli indipendentisti è stata accolta con entusiasmo a Edimburgo, con freddezza da David Cameron e con sconcerto dalla City. La prospettiva finora quasi impensabile di una separazione della Scozia dalla Gran Bretagna dopo 307 anni di unione ha puntato i riflettori sulle tante questioni irrisolte da decidere dopo il voto, dalla futura valuta scozzese alla divisione del debito nazionale, e dalla gestione del petrolio del mare del Nord ai sottomarini nucleari britannici nelle basi scozzesi. La campagna ha acquistato slancio negli ultimi giorni e decine di migliaia di persone si sono affrettate a registrarsi negli elenchi elettorali prima della scadenza. Con una mossa astuta, Salmond ha esteso il voto anche ai ragazzi di 16 e 17 anni, contando sul patriottismo dei giovanissimi. Oltre agli scozzesi, possono votare anche inglesi, irlandesi e cittadini dei Paesi del Commonwealth (l'associazione delle ex colonie britanniche), purché residenti in Scozia. Gli organizzatori prevedono un'affluenza al voto di oltre l'80 per cento degli aventi diritto, di molto superiore a quella delle elezioni politiche.
«Quello che mi incoraggia non sono i sondaggi ma l'effetto che la campagna per il referendum sta avendo sulla gente, – ha dichiarato Salmond – Quello che sta accadendo nelle strade e nelle comunità della Scozia è un trionfo della democrazia. Sta coinvolgendo persone di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali, anche quelli che finora non avevano mostrato alcun interesse per la politica».
Il Governo britannico ha minimizzato la rimonta degli indipendentisti, dichiarando che «l'unico sondaggio che conta è il referendum». Il direttore di Better Together, la campagna unionista, ha ribadito che «un voto per il no è un voto per il migliore dei mondi possibili, mentre un voto per la separazione sarebbe un salto nel buio senza ritorno».
Il referendum, quale che sia l'esito, è già una vittoria per lo Scottish National Party, che fin dalla sua fondazione nel 1933 chiede l'indipendenza da Londra. La svolta è stata nel 2011, quando il partito ha trionfato alle elezioni, in gran parte grazie alla popolarità di Salmond. Il nuovo Governo autonomo scozzese ha mantenuto la promessa fatta agli elettori e ha passato una legge per indire un referendum, che Londra non ha contrastato.
Edimburgo e Londra hanno concordato che l'esito del referendum sarà definitivo e accettato da entrambe le parti. Se il no otterrà più del 50 per cento dei voti, la Scozia resterà parte del Regno Unito, ma con maggiore autonomia, anche in materia fiscale, in linea con le promesse fatte dal Governo britannico. Se invece vincerà il sì all'indipendenza si aprirà una lunga e delicata fase di transizione. I due Governi si sono impegnati ad avviare «trattative costruttive» per risolvere la miriade di questioni istituzionali, legali e burocratiche in sospeso. Edimburgo vuole anche diventare parte dell'Unione europea e avvierà anche negoziati con Bruxelles, che finora è stata molto cauta, soprattutto a causa dell'opposizione di Spagna e Belgio che temono un effetto separatista a catena. Edimburgo, con il consueto ottimismo, ritiene che tutto possa essere risolto in meno di due anni e ha già fissato la data per il vero «Independence Day». Sarà il 24 marzo 2016, esattamente 413 anni dopo l'unione di Scozia e Inghilterra sotto la stessa corona. In seguito alla morte senza eredi di Elisabetta I, suo cugino Giacomo VI di Scozia infatti era diventato Re sia d'Inghilterra che di Scozia e poi dopo quasi due secoli nel 1707 l'Act of Union aveva formalmente sancito la creazione del Regno di Gran Bretagna.
In tanta incertezza solo una cosa sembra sicura: Elisabetta II continuerà a essere Regina. La Scozia indipendente manterrebbe la monarchia, cosí come hanno fatto Canada, Australia e gli altri Paesi del Commonwealth. Elisabetta, che sicuramente attende con trepidazione l'esito del referendum, ha dichiarato: «Tra i miei antenati ci sono re e regine d'Inghilterra e di Scozia e principi del Galles, quindi comprendo perfettamente queste aspirazioni, ma non posso dimenticare che sono stata incoronata Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord».
IL PRIMO PIANO INTEGRALE SULL'EDIZIONE DEL GIORNALE DI SABATO 6 SETTEMBRE 2014.