L'intervista

La Sicilia scoprirà il Ticino e il gelato al pepe della Vallemaggia

Andrea Rapanaro, informatico di professione ma cuoco per passione, fra pochi giorni parteciperà allo Sherbeth Festival di Palermo, punto di riferimento per chi ama e lavora nel gelato artigianale
© Andrea Rapanaro
Marcello Pelizzari
01.11.2025 15:00

Informatico di professione ma cuoco per passione, fondatore del blog CucinaLi e da anni, oramai, esperto di gelato, Andrea Rapanaro è in partenza. Dal Ticino a Palermo, sede dello Sherbeth Festival, punto di riferimento imprescindibile per chi ama e lavora nel gelato artigianale. Un palcoscenico importante, per Andrea, fra i più importanti in Europa e nel mondo. «A maggior ragione – ci spiega – se pensiamo che c’è una forte selezione dei partecipanti. È un evento davvero sentito fra le gelaterie. Le candidature, ogni anno, sono qualche centinaio ma, alla fine, la direzione del Festival seleziona solo cinquanta partecipanti».

E Andrea Rapanaro, invece, che ruolo avrà allo Sherbeth?
«Io, di fatto, sarò la sola persona presente che, alle spalle, non ha una gelateria. Sono stato invitato a parlare di gelato da un punto di vista, diciamo così, di un casalingo. Un casalingo che, però, ha un approccio professionale. Condurrò un talk e, poi, farò assaggiare due miei gelati. Il messaggio, credo, è semplice: il gelato non è soltanto quello artigianale o, ancora, quello che mangi in gelateria, ma è un prodotto che si può fare anche a casa, con le dovute accortezze, il dovuto studio e la dovuta curiosità. Non nascondo, comunque, di essere un po’ in soggezione».

Perché?
«Perché, davanti a me, ci saranno dei mostri sacri come Corrado Assenza. L’unico attivo nel campo del gelato di cui hanno parlato su Netflix, nella prima stagione di Chefs Table. Lui, ad esempio, è un maestro della granita e io non vedo l’ora di conoscerlo. Però, ecco, ci saranno tutti questi fenomeni e, poi, ci sarò pure io».

Vedo nella cucina e nel gelato in particolare una valvola di sfogo, un qualcosa che mi consente di esprimermi. Ho ritagliato un 20% del mio tempo da dedicare a queste attività

Detto che una passione può essere affrontata in maniera seria e professionale, a immagine del software BilanciaLi per il bilanciamento del gelato, Rapanaro ha mai pensato di fare di questo hobby un lavoro vero?
«Faccio una premessa sul bilanciamento, innanzitutto. Non l’ho inventato io. Il mio software è nato dalle conoscenze apprese leggendo dei libri e, in sostanza, è stato il risultato della mia curiosità. Come molti, quando facevo il gelato a casa mi accorgevo che restava un blocco di ghiaccio. Doveva esserci, insomma, qualche trucco affinché restasse cremoso pure in freezer. Mi sono messo a leggere, appunto, il resto è nato dalla mia mente di ingegnere, arrivando a proporre un prodotto assieme al mio blog grazie al quale mi sono ritagliato una nicchia. Tornando alla domanda, mentirei se dicessi che no, non ci ho mai pensato. Al contempo, non ho mai sentito la spinta a dire d’accordo, buttiamoci. Vedo nella cucina e nel gelato in particolare una valvola di sfogo, un qualcosa che mi consente di esprimermi. Ho ritagliato un 20% del mio tempo da dedicare a queste attività. Non escludo, un domani, di aumentare la percentuale, ma la crescita, sin qui, è stata più che altro qualitativa. Un tempo mi occupavo di sistemare il bilanciatore o di fare articoli per il blog e video per i social, adesso sono subentrate iniziative come i viaggi per registrare un podcast assieme ad altri esperti di gelato o la mia partecipazione allo Sherbeth».

Prima parlavamo di soggezione: che effetto fa rappresentare lintero Ticino a un evento come il Festival?
«È una cosa bella, secondo me. E ci andrò tenendo alta la bandiera del Ticino. Ho pensato, in particolare per uno dei due gusti che proporrò, di rappresentare la mia terra d’adozione, una terra che considero mia dato che sono in Ticino da oltre trent’anni, e la Sicilia».

Di che gelato parliamo?
«Di un gelato gastronomico, ovvero di un gelato che accompagna piatti salati, anche se a dire il vero questo andrebbe benissimo pure come gelato da cono, al pepe della Vallemaggia, olio d’oliva e ricotta affumicata. La ricotta è quella di pecora, un classico della Sicilia, che andrò ad affumicare per darle un sentore un po’ più forte e, se vogliamo, rustico. Il pepe della Vallemaggia, invece, sarà un chiaro richiamo al Ticino. È un prodotto dalle note molto interessanti, che si sposano bene all’interno di questo gelato. Gelato che verrà servito su una fetta di pane tostato con dell’olio crudo e del sale Maldon».

Ai tempi, gelato significava semplicemente andare in gelateria, destate, e scegliere fra un ventaglio di gusti classici, come la fragola o il pistacchio. Quanto si è evoluto, nel tempo, questo prodotto? E quanto merito va dato ai divulgatori del gelato, visto che la risposta dei consumatori è ottima?
«Se penso al gelato gastronomico, una nicchia all’interno del mondo del gelato, dico che ha conosciuto una grande evoluzione. Io, di mio, senza voler peccare di presunzione credo di averlo portato nelle case di molti. Ho compiuto molti sforzi, online, per farlo conoscere. E questo perché, quando imparo qualcosa, mi piace condividere ciò che ho appreso. Il mio pubblico, poi, con il tempo è cresciuto e si è diversificato: oltre a semplici appassionati, c’è un 35% di professionisti che, pur sapendone più di me, mantiene una mente aperta. Il confronto, per me, è stimolante. Tornando alla domanda, il gelato si è evoluto tanto. Sia nell’aspetto puramente gastronomico, penso agli abbinamenti che vengono fatti, dalla carne alla zucca passando per il pesce, i risotti e le paste, sia a livello di studio degli ingredienti, tenendo presente ad esempio le esigenze delle persone celiache o con diabete».

Io faccio molto affidamento sulla curiosità, ma anche sulla casualità: magari mangi qualcosa che ti piace e, dentro, ti dici che potresti trasformare quel qualcosa in un gelato

Detto dello studio, e della scienza, come nasce un determinato gusto di gelato? Basta chiudere gli occhi e immaginarselo?
«Nasce, sempre, dalla curiosità. Restare nella cosiddetta comfort zone, comodi, non aiuta. La base, appunto, è avere voglia di sperimentare, di provare cose nuove. Io faccio molto affidamento sulla curiosità, ma anche sulla casualità: magari mangi qualcosa che ti piace e, dentro, ti dici che potresti trasformare quel qualcosa in un gelato. Alle volte, invece, è la mia stessa community a chiedermi un determinato gusto. Infine, detto che con i bambini non è mai facile, la fonte maggiore di ispirazione restano i viaggi. Andare in posti nuovi, provare nuove culture, dare al nostro cervello sapori mai provati, discutere con le persone».

La spinta, in conclusione, è anche quella di far conoscere a sempre più persone larte del gelato, giusto?
«Sì, e va letto in quest’ottica il Gelato Project, un libro di ricette di gelato sviluppato in modo iterativo e in continua evoluzione. Il progetto nasce dall’esigenza di rendere il sapere tecnico più accessibile, ma anche di interfacciarmi con il pubblico. Si tratta, infatti, di un libro che cresce in base al contributo degli appassionati. Io lo vedo come un ponte per arrivare ad ancora più persone».