«La società ha fallito», stretta radicale sui telefonini

Nessuno smartphone a scuola. Semplice. Ma chiaro. Nessun dispositivo deve entrare nel perimetro scolastico. Né spento. Né tanto meno acceso. Lo slogan? «Aiutiamo i nostri figli a diventare gli adulti che desiderano essere».
L’iniziativa popolare «Smartphone: a scuola no» è stata ufficialmente lanciata oggi dal comitato promotore. «Un comitato interpartitico e interprofessionale, che coinvolge un ampio ed eterogeneo fronte politico, oltre che numerosi rappresentanti della società civile», ha fatto notare il vicepresidente e consigliere nazionale del Centro, Giorgio Fonio: «L’iniziativa prevede di regolamentare, con un quadro legislativo più vincolante, la limitazione della presenza degli smartphone all’interno della scuola». Il divieto, è stato spiegato, si applicherà a tutte le scuole dell’obbligo: scuola dell’infanzia, scuola elementare e scuola media.
«La direttiva è insufficiente»
Per il comitato promotore, la direttiva emanata dal DECS nel 2020 - che impone di tenere spenti e non visibili i dispositivi tecnologici personali all’interno dell’istituto scolastico - non rappresenta una misura sufficiente.
«Le direttive attuali non hanno prodotto i risultati attesi, né garantito un’applicazione uniforme», ha osservato Fonio, contrapponendosi alla versione del DECS, secondo cui «il divieto viene rispettato in tutte le sedi». Secondo Fonio, «è sufficiente fare un giro nei perimetri scolastici per farsi un’idea della differenza tra la nostra iniziativa e la situazione attuale».
Ecco servito, allora, il giro di vite attraverso una norma che si vuole inserita nella legge cantonale sulla scuola. «Le buone pratiche e le direttive non bastano più», ha aggiunto il deputato Giuseppe Cotti (Centro), argomentando sull’importanza di promuovere il divieto a livello di legge. «Come società abbiamo fallito e la sensibilizzazione da sola non basta più. Serve una regola semplice, chiara e facilmente applicabile e, soprattutto, vincolante a livello di legge, dove verranno stabilite anche le conseguenze di un’eventuale violazione». Non dobbiamo avere paura delle regole, ha rincarato Cotti. «Sono alla base di una società sana e possono giustamente limitare alcuni aspetti della vita quotidiana per tutelare la salute».
Sulla necessità di regole chiare e un intervento urgente si è espresso anche il primo firmatario dell’iniziativa e presidente del Centro, Fiorenzo Dadò, il quale ha respinto al mittente l’accusa di «marketing politico». Al riguardo, Dadò ha ricordato che l’attuale direttiva in vigore è il risultato dell’impegno del Parlamento – a seguito della mozione del 2018 presentata da Fonio, Bang e Polli – nonostante le forti resistenze incontrate sul piano politico e dipartimentale. «L’impatto degli smartphone, e in particolare dei social, sui nostri ragazzi rende indispensabile un intervento», ha detto Dadò. «È un tema di società troppo importante e va dibattuto coinvolgendo tutta la popolazione». Non solo, come sottolineato da Fonio, «le direttive possono essere cambiate da un momento all’altro senza l’intervento né del Parlamento né del Popolo. Occorre quindi agire a livello di legge».
Pediatri e genitori
Del resto, gli effetti negativi di un uso incontrollato di questi dispositivi sono deleteri, ha evidenziato dal canto suo il consigliere nazionale Paolo Pamini (UDC): «Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di capire che l’abuso digitale compromette il sonno, riduce la capacità di attenzione e aumenta l’ansia e l’insicurezza tra i giovani».
Sull’urgenza di un intervento forte si è espresso anche il pediatra Claudio Codecà, il quale ha portato l’adesione dell’Associazione dei Pediatri della Svizzera italiana. «Come medici vediamo l’impatto sulla salute fisica e mentale dei nostri giovani», ha detto.
Per Simona Genini (PLR) con l’iniziativa si vuole mandare un segnale forte. Tuttavia, questa deve essere accompagnata anche dal buon esempio. «Forse è addirittura già troppo tardi. La limitazione di cui parliamo non basta. Non è sufficiente ma è necessaria. Per il resto, molto dipende da ognuno di noi, dagli esempi che sappiamo dare ai giovani ai quali diciamo di lasciare il cellulare fuori dalla scuola».
Amalia Mirante (Avanti con T&L) ha invece portato l’esperienza diretta di chi insegna e che, quotidianamente, assiste a un progressivo cedimento delle capacità di concentrazione degli studenti: «Una parte importante di giovani è in difficoltà di fronte a un testo della lunghezza di quello che avete davanti», ha detto alla platea, aggiungendo: «Le scuole che limitano l’uso degli smartphone hanno studenti più concentrati, valutazioni migliori, meno bullismo».
«L’iniziativa non risolve tutto», ha concluso Pierfranco Longo, portando l’adesione della Conferenza cantonale dei genitori, «ma è un’occasione straordinaria affinché la società e le famiglie si dotino di una regola comune, una regola di società».
Il tragitto casa scuola
Nella pratica, però, come verrà applicato questo divieto? «L’iniziativa stabilisce semplicemente che lo smartphone non può essere portato a scuola», ha ribadito Fonio. In concreto, dunque, i dispositivi - nella maggioranza dei casi - verrebbero lasciati a casa. Ciò significa che l’iniziativa avrà ripercussioni anche sul tempo extrascolastico, come il tragitto casa–scuola e le ore di doposcuola. «Siamo consapevoli di queste implicazioni, che saranno affrontate durante la campagna», ha precisato Fonio.
Se da un lato infatti la misura estende la pausa tecnologica al percorso casa–scuola, favorendo una maggiore socializzazione, dall’altro espone l’iniziativa alle critiche di chi, per ragioni di conciliabilità tra lavoro e famiglia, ha la necessità di rimanere in contatto con i figli dopo le lezioni. Il dibattito è aperto.
Anche il DECS riconosce che è necessario un giro di vite
Sulla necessità di un ulteriore giro di vite nell’uso degli smartphone a scuola si è espresso, a inizio settimana, anche il DECS che, in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico, lunedì, ha annunciato la volontà di estendere il divieto di utilizzo anche alle scuole comunali. L’orizzonte temporale per l’implementazione della misura è l’autunno 2025. La direttrice Marina Carobbio Guscetti ha detto chiaramente che la salute digitale dei giovani studenti è tra le priorità della scuola, anche perché «la dipendenza dall’utilizzo di dispositivi elettronici pone seri problemi di salute individuale e pubblica». La scuola è quindi pronta a giocare un ruolo, adeguando le direttive che già oggi sono in vigore. Secondo il regolamento, approvato dal Gran Consiglio nel 2020 (valido unicamente nelle Scuole medie) «nel perimetro dell’istituto scolastico i dispositivi tecnologici di comunicazione personali devono restare spenti e non visibili fisicamente». Secondo quanto comunicato lunedì dal DECS, il divieto viene rispettato in tutte le sedi scolastiche, anche se un’indagine svolta durante l’estate ha rivelato che «esistono alcune divergenze per quanto attiene la pausa pranzo nelle mense scolastiche». Nei prossimi mesi, quindi, il DECS lavorerà con i direttori per definire in maniera chiara le regole anche in questa fascia oraria. Da ultimo, la volontà del DECS è di estendere il divieto di utilizzo ad altri dispositivi e apparecchi, come lo smartwatch, orologi connessi alla rete che consentono di realizzare filmati e scattare fotografie. Secondo il comitato promotore, però, questo interesse è tardivo. Al riguardo, Maristella Polli, tra le mozionanti all’origine delle direttive oggi in vigore, ha commentato: «Alla domanda se la limitazione dello smartphone nella scuola dell’obbligo potesse essere una strada percorribile, il Governo aveva risposto in modo categorico definendola “anacronistica e incoerente con il compito educativo che la scuola deve assolvere”».