La squadra di Mino Raiola

Raiola era nato a Nocera Inferiore, ma della Campania aveva soltanto l’accento. Per il resto era culturalmente più olandese degli olandesi: la famiglia, papà Mario e mamma Annunziata, si era trasferita ad Haarlem quando lui aveva un anno ed aveva fatto fortuna nella ristorazione, arrivando a possedere sette locali, non avendo alcuna nostalgia dell’Italia. Molti giornalisti legati ai club che si vedevano sfuggire i giocatori di Raiola lo definivano in maniera sprezzante ‘Il pizzaiolo’, con la risposta ironica che non tardava ad arrivare: «Mai infornato pizze, semmai ho fatto il cameriere». Poche cose gli davano fastidio come una certa retorica sull’emigrazione: ragazzo ricco e con grande facilità nelle lingue, ne parlava sette, aveva messo in piedi un’attività imprenditoriale propria, nell’import-export, ma aveva l’ossessione del calcio dopo avere tentato di emergere nelle giovanili dell’Haarlem. Non per fare soldi, che già aveva, ma perché sognava di diventare uno che contasse in quel mondo. Missione compiuta, visto che nel 2020 un sondaggio di Voetbal International, la più diffusa rivista olandese di calcio, lo ha incoronato personaggio olandese più importante del calcio. Con lui che aveva ringraziato, non per il premio ma per essere stato considerato olandese.
La svolta
Fin dagli inizi, Raiola mostrò la sua capacità di interpretare tutte le parti in commedia: dirigente di club (nell’Haarlem) ma anche agente dei giocatori, uomo del sistema ma capace di sfidare i potenti, nello stesso momento a volte venditore, mediatore e compratore. Un conflitto di interessi fatto persona, un personaggio che già in Olanda manovrava i media senza bisogno di corromperli e che nell’era del web avrebbe fatto della disinformazione una scienza quasi esatta. Aveva avuto una piccola parte nel passaggio di Rijkaard dallo Sporting Lisbona al Milan, nel 1988, ma il salto di qualità avvenne nel 1992, quando portò Bryan Roy dall’Ajax al Foggia (lì conobbe anche sua moglie, matrimonio che ha resistito a tutto) e già questo dice dei rapporti di forza nel calcio europeo dell’epoca: una squadra italiana da zona retrocessione che ingaggiava un titolare dell’Ajax fresco vincitore della Coppa UEFA. Altre operazioni di alto profilo e alte commissioni, come Bergkamp e Jonk dall’Ajax all’Inter, prima di diventare agente FIFA e stabilire nel 1995 il quartier generale a Monte Carlo. Da lì avrebbe coordinato le carriera di tutti i campioni che si conoscono: Nedved, Ibrahimovic, Balotelli, Pogba, Donnarumma, De Ligt, Haaland e tanti altri, con un rapporto personale sempre profondissimo, al punto che definì la sua agenzia «Una boutique», in contrapposizione ai supermercati, magari più lucrosi, di suoi colleghi, da Jorge Mendes in giù. I messaggi e le visite, da Ibrahimovic in giù, che negli ultimi giorni prima di morire ha ricevuto all’ospedale San Raffaele dicono molto.
I soldi
Quanto ha guadagnato Raiola in carriera? Il calcolo è difficile, perché le commissioni sulle varie operazioni non sono qualcosa di fisso: possono arrivare al 20% ma anche al niente che Raiola ultimamente chiedeva quando doveva piazzare Balotelli, uno dei grandi dolori della sua carriera per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Comunque Raiola ha trattato ingaggi per un totale di circa un miliardo di franchi, facendo il cambio, ed è realistico pensare che con le commissioni prese anche dai club il suo patrimonio fosse come minimo intorno ai 100 milioni. Sono soltanto stime, chi conosce il calciomercato sa che la precisione è impossibile: c’è che chi dice che Raiola abbia guadagnato più del doppio, al netto delle spese. Di sicuro lui da molte operazioni ha tratto il massimo, perché a differenza di tanti procuratori non si limitava a chiedere più soldi per i giocatori, ma accompagnava le parole con l’offerta di un club. In altre parole, poneva un problema dando già la soluzione ed è per questo che si rivolgevano a lui anche tanti presunti nemici.
Il personaggio
Raiola amava molto essere Raiola e giocava con il proprio personaggio, vestendosi volutamente male e comunque non come un uomo che muovesse centinaia di milioni. Grande comunicatore, sapeva rendere credibile qualsiasi iniziativa ed in molti lo presero sul serio quando all’inizio del 2015 annunciò la sua candidatura alla presidenza della FIFA, per contrapporsi a Blatter, definendo ‘comunista’ la FIFA stessa. Abile creatore di storie fra verità e leggenda, facendole raccontare ad altri, come quella che fosse un discendente di Al Capone. In effetti la madre del famoso gangster si chiamava Teresa Raiola e veniva da Angri, paese di origine del padre del procuratore. Che aveva voluto stravincere comprando nel 2016 per 8 milioni di dollari una villa di Miami appartenuta proprio ad Al Capone.
La squadra
Un procuratore non dichiara mai il suo tifo e Raiola non faceva eccezione, ma come tutta la sua famiglia era tifoso del Napoli. E nel 1994 Raiola il Napoli provò addirittura a comprarselo, mettendo insieme una cordata olandese con lui a muovere i fili. Non se ne fece niente e si concentrò sull’attività di procuratore, sempre però con il tarlo della squadra. In certi anni, vista anche l’amicizia con Adriano Galliani, ha fatto molte operazioni con il Milan ma certo non ne è mai stato tifoso e meno che mai aspirante proprietario. Invece è stato vicinissimo, l’ha raccontato lui stesso, un’altra volta a comprare il Napoli: nel 2004, in società con il proprietario dell’Udinese, Giampaolo Pozzo, prima che l’affare lo facesse Aurelio De Laurentiis. Sfumata la sua squadra del cuore, le mire di Raiola si spostarono verso realtà secondo lui poco valorizzate, come la Roma: alla fine dell’era Sensi, nel 2011, si fece avanti, ma fu stoppato da Unicredit, principale creditore del club, che per motivi di immagine preferiva dare la Roma ad americani sconosciuti che a lui. Ma la voglia di mettersi in gioco per alzare un trofeo gli era rimasta. Se la sua vita non si fosse interrotta così presto ci sarebbe di sicuro riuscito.