Bellinzona

La storia raccontata da un frammento di malta

Gli spazi di Castelgrande sono dedicati all'esposizione interattiva e didattica che lega il convento di Müstair alla Fortezza, seguendo il filo degli artigiani medievali
Irene Solari
23.05.2024 19:45

Malta: un collante, un amalgama, infine una pietra. Fondamentale per tenere uniti gli edifici ma anche il filo della storia. Questo speciale elemento è al centro della nuova esposizione nella Sala Arsenale di Castelgrande (visitabile dal prossimo sabato 25 maggio al 3 novembre). Una mostra intitolata, appunto, «Malta. Storia e scienza in frammenti», che segue sì un percorso storico e archeologico ma anche interattivo e didattico, pensato per guidare i visitatori come pure le scolaresche in un racconto che parte dal convento di San Giovanni a Müstair (Canton Grigioni) e arriva fino alla Fortezza di Bellinzona (entrambi monumenti patrimonio UNESCO) sulle tracce del genio degli artigiani medievali. Ad impreziosirla, dei veri e propri "pezzi" del convento di Müstair: oltre ai preziosi frammenti di pietra con affreschi di epoca carolingia e ad una riproduzione in scala del sito, anche stampe di immagini medievali, esposte sulle pareti della sala come dei moderni arazzi.

Alla conferenza di presentazione, tenutasi questa mattina, hanno partecipato Rossana Martini, direttrice del Settore cultura ed eventi della Città; Lorenzo Cantoni, professore, direttore dell’Istituto tecnologie digitali per la comunicazione e della cattedra UNESCO dell’USI; Patrick Cassitti, direttore scientifico della fondazione Pro Kloster St. Johann di Müstair; Marta Caroselli, docente-ricercatrice per l’Istituto materiali e costruzioni, settore conservazione e restauro della SUPSI e Silvia De Ascaniis, docente-ricercatrice e coordinatrice della cattedra UNESCO dell’USI.

Dodici secoli

La storia del convento di Müstair è particolare, racconta Patrick Cassitti: «La sua peculiarità - che poi ha anche dato vita al progetto e a questa mostra - è la complessità. All'interno del sito di Müstair ci sono edifici che datano dall’ottavo secolo fino all’epoca moderna, per un totale di ben dodici secoli di storia architettonica presenti nel convento. Perché, a differenza di altri siti come l’abbazia di San Gallo, questa struttura non è mai stata completamente ristrutturata». Una particolarità che rende il convento un oggetto di studio molto interessante. «Abbiamo testimonianze di tutte le tecniche di costruzione usate in questo lungo periodo della storia europea. In altri siti non sarebbe stato possibile dare vita a un simile progetto». A fargli eco Marta Caroselli: «La malta, a differenza di un materiale lapideo naturale, ha bisogno di un processo tecnologico per essere creata». Nasce infatti dalla miscelazione di calce (fatta di dolomia, la pietra dolomite) e sabbia. «Quindi racconta tantissimo non solo della storia ma anche dei metodi tecnologici utilizzati attraverso il tempo, spiega come erano le società che l’hanno saputa utilizzare, anche in modi diversi. Grazie a questo abbiamo visto tutte le fasi e le storie che si sono succedute lungo dodici secoli e aggiunto elementi scientifici al dibattito archeologico».

Datazione perfetta

Ma non solo. Caroselli ha anche illustrato come questo elemento sia prezioso per una datazione precisa dei manufatti: «La malta è utile anche per la datazione al carbonio». Sì, perché ha una caratteristica particolare: quella di assorbire l’anidride carbonica nell’atmosfera prima di fare presa e solidificarsi, trattenendo al suo interno il carbonio. «E quest'ultimo può essere datato come si datano organismi viventi, ad esempio ossa o legni antichi». «La malta permette così di conoscere l’esatto momento di costruzione e ciò ha consentito la validazione della metodologia di datazione archeologica e permesso di identificare per il convento quattro fasi costruttive principali: carolingia, ottoniana e due fasi romaniche».

Declinare la cultura

«Quando parliamo di cultura – rileva Lorenzo Cantoni, dobbiamo partire dall’origine latina del termine, e parliamo di qualcosa di cui ci si prende cura, che si coltiva. E questo su tre livelli: l’agricoltura, il livello in cui una persona si prende cura del proprio ambiente naturale; poi c’è la cultura a cui siamo più abituati che è la coltivazione di noi stessi e delle nuove generazioni, tant’è che si parla di una persona colta nel senso di “ben coltivata”. E infine c’è un terzo livello che è il come prendersi cura della relazione con Dio, ciò che chiamiamo culto. Bene, in questa mostra troviamo tutti i tre livelli. C’è la malta, quindi il costruire, prendendosi cura dell’ambiente circostante. Ma questa malta è anche usata per costruire un edificio che ha un valore culturale riconosciuto a livello universale. E poi naturalmente questo edificio era ed è tutt’ora un convento dedicato al culto». «È quindi una mostra che – conclude Cantoni – cerca di mettere in dialogo scienza, cultura ed educazione per aiutare le persone a crescere, a coltivarsi bene».

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