Lugano

La sua Ferrari è sparita, ma non è colpevole di truffa

Assolto in appello dalle due imputazioni principali il settantunenne che denunciò il furto del suo bolide a Milano – Secondo l’accusa il suo obiettivo era quello di intascarsi i centomila franchi dell’assicurazione
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Giuliano Gasperi
11.05.2024 06:00

L’accusa è finita in testacoda. È stato assolto dalle due imputazioni principali il settantunenne italiano che un anno fa, alle Correzionali, era stato condannato per aver finto il furto della sua Ferrari 599 nera a Milano al fine d’intascare i soldi dell’assicurazione. Questa, almeno, la conclusione a cui era giunto il giudice Amos Pagnamenta che, accogliendo l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Veronica Lipari, aveva inflitto all’uomo una pena di nove mesi sospesi. Lui, difeso dall’avvocato Pierluigi Pasi, si era però detto innocente, annunciando che avrebbe fatto ricorso. Così è stato, e ha vinto. La Corte di appello e revisione penale, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, lo ha prosciolto dalle accuse di tentata truffa e sviamento della giustizia. Non era invece contestato il reato d’infrazione alla legge sulla circolazione per aver guidato senza autorizzazione, costato al settantunenne (con alle spalle alcuni precedenti, soprattutto in Italia) una pena pecuniaria di quattromila franchi sospesa per cinque anni.

Per il giudizio di primo grado avevano pesato le diverse contraddizioni nel racconto dell’imputato, al tempo dei fatti residente nel Luganese, che non ricordava «elementi fondamentali di una giornata non come tutte le altre» come aveva sottolineato Pagnamenta: non sapeva descrivere il tragitto fatto per raggiungere un amico prima del furto, aveva indicato una strada che lo allontanava dal luogo dell’appuntamento e aveva detto di aver seguito un percorso che lo avrebbe portato a ignorare una serie di sensi unici. Incongruenze vistose che, secondo la procuratrice pubblica, erano una chiara testimonianza di menzogna e di volontà d’ingannare. «Nessun uomo ha una memoria sufficiente buona per essere un bugiardo di successo» aveva aggiunto il giudice citando Abramo Lincoln.

Partendo da quelle stesse frasi pronunciate dal settantunenne, tuttavia, la giudice di seconda istanza è arrivata a conclusioni opposte rispetto a quelle del collega: le contraddizioni erano talmente grosse da rendere inverosimile il tentativo di raggiro. In altre parole: se l’imputato avesse voluto fregare l’assicurazione e le autorità, avrebbe costruito una narrazione migliore. La presidente della Corte ha poi sottolineato come quelle incongruenze riguardassero aspetti non strettamente legati alle accuse di tentata truffa e sviamento della giustizia; mentre sugli elementi più rilevanti, la sua versione è stata ritenuta lineare. La pubblica accusa, in primo grado, aveva fatto valere anche l’argomento finanziario, parlando di una situazione non facile dell’imputato che lo avrebbe portato a tentare il raggiro per ottenere oltre centomila franchi dalla sua assicurazione. La Corte d’appello non ha invece ritenuto che le condizioni dell’uomo fossero così critiche da poterlo spingere a tanto.